
Allattamento
Re: Allattamento
Il cardo del latte
Utilizzato fin dai tempi antichi come epatoprotettore e come protezione contro l’intossicazione da Amanita phalloides (un fungo velenosissimo) e altre tossine, il cardo del latte (silibum marianum) è stato definito sicuro, se consumato in modo appropriato, dall’American herbal products association, che non ne controindica l’utilizzo durante l’allattamento. La silimarina, la componente attiva della pianta, è un estratto standardizzato costituito per circa il 70-80% da flavonolignani e flavonoidi, e per il rimanente 20-30% da composti polimerici e polifenolici ossidati. Possiede un’ampia gamma di effetti biologici e farmacologici, inclusi un’attività antiossidante, la stimolazione della sintesi proteica (caratteristica che la rende utile nel trattamento del danno tossico epatico e nella cirrosi). I frutti del silibum marianum sono stati usati tradizionalmente per stimolare la produzione di latte e recentemente è stato dimostrato che il cardo mariano aumenta la lattazione nelle mucche. Sulle donne a termine un singolo studio ha dimostrato un effetto favorente la produzione di latte. Non è stato rilevato nessun effetto collaterale e non è stata evidenziata la presenza della sostanza nel latte materno.
Con i rimedi omeopatici
Alcuni rimedi omeopatici considerati ad azione galattogoga sono: Ricinus 4 CH, Lactuca Virosa 5 CH, Urtica urens 5 CH, Alfa Alfa 3 DH. Non esistono, però, studi che comprovino la loro efficacia come galattogoghi. Si trovano solamente dei commenti basati sull’esperienza del singolo autore che ne sottolinea l’efficacia potenziale.
Con l’agopuntura
In letteratura un solo report ha sottolineato la potenziale efficacia di questa tecnica nell’aumentare la produzione di latte.
Con gli integratori
Tra i prodotti naturali la silimarina (componente attiva del cardo del latte), disponibile in confezioni e concentrazioni standardizzate, è uno dei pochi prodotti in cui la sostanza naturale sia titolata e non proposta come infuso. A supporto della sua efficacia esiste un unico studio clinico condotto su madri a termine. Sono presenti anche alcune evidenze sulla sicurezza della silimarina, che non ha mostrato effetti collaterali nelle mamme né nei neonati poiché non passa nel latte. Esistono, infine, farmaci anti-emetici (contro nausea e vomito) come il domperidone e la metoclopramide dall’azione galattogena, che è tuttavia un effetto secondario del farmaco ed è riportato come effetto collaterale. In ogni caso questi farmaci vanno assunti solo su prescrizione medica e dopo attento colloquio con il proprio medico.
Utilizzato fin dai tempi antichi come epatoprotettore e come protezione contro l’intossicazione da Amanita phalloides (un fungo velenosissimo) e altre tossine, il cardo del latte (silibum marianum) è stato definito sicuro, se consumato in modo appropriato, dall’American herbal products association, che non ne controindica l’utilizzo durante l’allattamento. La silimarina, la componente attiva della pianta, è un estratto standardizzato costituito per circa il 70-80% da flavonolignani e flavonoidi, e per il rimanente 20-30% da composti polimerici e polifenolici ossidati. Possiede un’ampia gamma di effetti biologici e farmacologici, inclusi un’attività antiossidante, la stimolazione della sintesi proteica (caratteristica che la rende utile nel trattamento del danno tossico epatico e nella cirrosi). I frutti del silibum marianum sono stati usati tradizionalmente per stimolare la produzione di latte e recentemente è stato dimostrato che il cardo mariano aumenta la lattazione nelle mucche. Sulle donne a termine un singolo studio ha dimostrato un effetto favorente la produzione di latte. Non è stato rilevato nessun effetto collaterale e non è stata evidenziata la presenza della sostanza nel latte materno.
Con i rimedi omeopatici
Alcuni rimedi omeopatici considerati ad azione galattogoga sono: Ricinus 4 CH, Lactuca Virosa 5 CH, Urtica urens 5 CH, Alfa Alfa 3 DH. Non esistono, però, studi che comprovino la loro efficacia come galattogoghi. Si trovano solamente dei commenti basati sull’esperienza del singolo autore che ne sottolinea l’efficacia potenziale.
Con l’agopuntura
In letteratura un solo report ha sottolineato la potenziale efficacia di questa tecnica nell’aumentare la produzione di latte.
Con gli integratori
Tra i prodotti naturali la silimarina (componente attiva del cardo del latte), disponibile in confezioni e concentrazioni standardizzate, è uno dei pochi prodotti in cui la sostanza naturale sia titolata e non proposta come infuso. A supporto della sua efficacia esiste un unico studio clinico condotto su madri a termine. Sono presenti anche alcune evidenze sulla sicurezza della silimarina, che non ha mostrato effetti collaterali nelle mamme né nei neonati poiché non passa nel latte. Esistono, infine, farmaci anti-emetici (contro nausea e vomito) come il domperidone e la metoclopramide dall’azione galattogena, che è tuttavia un effetto secondario del farmaco ed è riportato come effetto collaterale. In ogni caso questi farmaci vanno assunti solo su prescrizione medica e dopo attento colloquio con il proprio medico.
Re: Allattamento
Che cos’è l’ingorgo mammario?
Insieme alla mastite, di cui è spesso l’anticamera, questo disturbo può compromettere l’allattamento al seno del piccolo. Come intervenire
Nei primi periodi di allattamento al seno può essere difficile calibrare la produzione di latte rispetto alla suzione del piccolo. La lattazione si basa, infatti, su un meccanismo di domanda e offerta: in pratica, quanto più il bimbo succhia tanto più latte viene prodotto. Tuttavia può accadere che se il seno non viene drenato (ossia svuotato) a sufficienza, si riempia di latte dando origine a un disturbo chiamato ingorgo mammario: la mamma prova dolore e il bimbo fa fatica ad attaccarsi, perché l’areola è troppo dura e il flusso di latte è rallentato. La mammella si presenta tesa, gonfia, talvolta lucida, tumefatta e dolorante, a volte arrossata soltanto in un punto che diventa più duro e di colore rosso e si avverte una sensazione di malessere, anche se di solito non compare febbre. I sintomi dell’ingorgo mammario si manifestano pochi giorni dopo il parto e scompaiono da soli se la mamma continua ad allattare il piccolo al seno: così facendo, infatti, si riesce a svuotarlo prima che si riempia nuovamente di latte.
Tante cause all’origine
Una delle cause principali dell’ingorgo è un allattamento non ben avviato: magari per una posizione scorretta del bambino durante la suzione, che non consente un sufficiente svuotamento del seno. Esistono però tutta una serie di altre cause concomitanti. L’ingorgo può, infatti, essere dovuto anche a:
un mancato allattamento a richiesta: si allungano così i tempi tra una poppata e l’altra dando al piccolo sostituto del seno come ciuccio, acqua, tisane;
un reggiseno troppo stretto;
riduzione del numero delle poppate: ciò capita soprattutto in occasione dello svezzamento o quando il piccolo comincia a svegliarsi meno la notte: la produzione del latte, però, prosegue e il seno può ingorgarsi;
abitudine di offrire al bebè sempre per prima la stessa mammella: l’altra, svuotandosi meno, rischia l’ingorgo.
È importante continuare ad allattare
La prima cosa da fare è assolutamente continuare ad allattare alternando le mammelle: in questo modo si facilita lo svuotamento naturale del seno. È anche importante iniziare la poppata attaccando il bambino al seno gonfio. Se la mammella è molto dolorante e il piccolo fatica ad attaccarsi può essere utile effettuare la spremitura manuale o con il tiralatte e offrirlo poi al bebè con il biberon. Per lenire il dolore e favorire il riflesso ossitocinico (e quindi la discesa del latte) sono vantaggiosi impacchi caldo-umidi prima della poppata. Per evitare il ristagno del latte, invece, massaggiare delicatamente il seno con movimenti circolari, procedendo a spirale dall’attaccatura verso il capezzolo: in massaggio aiuta la fuoriuscita del latte e rilassa i tessuti.
Lo sapevi che?
È possibile alleviare l’ingorgo mammario applicando sul seno per circa 20 minuti alcune foglie di cavolo verza schiacciate con un matterello. È necessario ripetere il trattamento 2 o 3 volte al giorno.
Insieme alla mastite, di cui è spesso l’anticamera, questo disturbo può compromettere l’allattamento al seno del piccolo. Come intervenire
Nei primi periodi di allattamento al seno può essere difficile calibrare la produzione di latte rispetto alla suzione del piccolo. La lattazione si basa, infatti, su un meccanismo di domanda e offerta: in pratica, quanto più il bimbo succhia tanto più latte viene prodotto. Tuttavia può accadere che se il seno non viene drenato (ossia svuotato) a sufficienza, si riempia di latte dando origine a un disturbo chiamato ingorgo mammario: la mamma prova dolore e il bimbo fa fatica ad attaccarsi, perché l’areola è troppo dura e il flusso di latte è rallentato. La mammella si presenta tesa, gonfia, talvolta lucida, tumefatta e dolorante, a volte arrossata soltanto in un punto che diventa più duro e di colore rosso e si avverte una sensazione di malessere, anche se di solito non compare febbre. I sintomi dell’ingorgo mammario si manifestano pochi giorni dopo il parto e scompaiono da soli se la mamma continua ad allattare il piccolo al seno: così facendo, infatti, si riesce a svuotarlo prima che si riempia nuovamente di latte.
Tante cause all’origine
Una delle cause principali dell’ingorgo è un allattamento non ben avviato: magari per una posizione scorretta del bambino durante la suzione, che non consente un sufficiente svuotamento del seno. Esistono però tutta una serie di altre cause concomitanti. L’ingorgo può, infatti, essere dovuto anche a:
un mancato allattamento a richiesta: si allungano così i tempi tra una poppata e l’altra dando al piccolo sostituto del seno come ciuccio, acqua, tisane;
un reggiseno troppo stretto;
riduzione del numero delle poppate: ciò capita soprattutto in occasione dello svezzamento o quando il piccolo comincia a svegliarsi meno la notte: la produzione del latte, però, prosegue e il seno può ingorgarsi;
abitudine di offrire al bebè sempre per prima la stessa mammella: l’altra, svuotandosi meno, rischia l’ingorgo.
È importante continuare ad allattare
La prima cosa da fare è assolutamente continuare ad allattare alternando le mammelle: in questo modo si facilita lo svuotamento naturale del seno. È anche importante iniziare la poppata attaccando il bambino al seno gonfio. Se la mammella è molto dolorante e il piccolo fatica ad attaccarsi può essere utile effettuare la spremitura manuale o con il tiralatte e offrirlo poi al bebè con il biberon. Per lenire il dolore e favorire il riflesso ossitocinico (e quindi la discesa del latte) sono vantaggiosi impacchi caldo-umidi prima della poppata. Per evitare il ristagno del latte, invece, massaggiare delicatamente il seno con movimenti circolari, procedendo a spirale dall’attaccatura verso il capezzolo: in massaggio aiuta la fuoriuscita del latte e rilassa i tessuti.
Lo sapevi che?
È possibile alleviare l’ingorgo mammario applicando sul seno per circa 20 minuti alcune foglie di cavolo verza schiacciate con un matterello. È necessario ripetere il trattamento 2 o 3 volte al giorno.
Re: Allattamento
Mastite al seno durante l’allattamento
È un’infiammazione che può colpire una o entrambe le mammelle, con una sensazione di dolore, gonfiore e arrossamento. La mastite deve essere affrontata in modo corretto, per evitare complicazioni e per non compromettere il prosieguo delle poppate. Ecco come fare
Che cos’è
La mastite è un’infiammazione acuta di tutta la mammella o di una sua parte, raramente di entrambe. La più diffusa è quella definita puerperale, che si manifesta nel periodo dell’allattamento e interessa molte neomamme. La causa più comune è un’infezione causata da batteri che sono presenti a livello cutaneo, come lo streptococco o lo stafilococco, ma anche l’ostruzione di un dotto galattoforo (da dove esce il latte) che fa ristagnare il latte causando infiammazione.
Quando compare
In genere si presenta nelle prime settimane dopo il parto o durante lo svezzamento, quando il bambino riduce, o smette del tutto, le poppate al seno. La mastite può comunque colpire in ogni momento dell’allattamento.
Come riconoscerla
Questo disturbo si presenta con sintomi caratteristici:
intenso dolore al seno interessato;
pelle arrossata, calda e in tensione;
seno duro;
a volte può comparire anche qualche linea di febbre sopra i 38 gradi, senso di spossatezza e di “ossa rotte”, proprio come quando si ha l’influenza.
Il rischio ascesso
Se non curata adeguatamente, la mastite può dar luogo a un ascesso mammario, che si manifesta con un’accentuazione del dolore, tumefazione, febbre e ingrossamento delle linfoghiandole ascellari. Se gli antibiotici non risolvono l’infezione, occorre incidere chirurgicamente l’ascesso, in modo da far drenare il pus (sostanza giallastra formata da globuli bianchi contenenti i batteri). Per questo va curata appena si manifesta.
Come intervenire
Occorre, innanzitutto, precisare che spetta al medico prescrivere le cure più indicate per la mastite. In ogni caso è bene:
continuare ad allattare il bambino direttamente al seno. Se il dolore rende la poppata insopportabile, si può ricorrere al tiralatte in modo da non fermare la produzione di latte;
provare diverse posizioni per allattare il piccolo, per esempio, stando sdraiate: in questo caso la mammella poggia sulla superficie del letto e il contatto stesso ne favorisce lo svuotamento. Oppure, si può provare mettendosi carponi: la forza di gravità attira il latte verso il basso. Utile, infine, è la posizione “da rugby”: la mamma può stare in piedi o seduta, tenendo il bimbo sotto il braccio come i giocatori di rugby tengono la palla, cioè con la testina verso l’interno e i piedi rivolti all’esterno. Questa posizione è la migliore per favorire lo svuotamento del seno;
praticare impacchi caldi;
assumere un farmaco antifebbrile e antinfiammatorio (come l’ibuprofene o il paracetamolo) in caso di febbre alta o di dolore molto intenso;
ricorrere all’assunzione di antibiotici, prescritti del medico, se la mastite non si risolve nel giro di due o tre giorni. Nel frattempo, è possibile continuare ad allattare, in quanto gli antibiotici utilizzati non sono nocivi per il bambino. Al contrario, interrompere le poppate potrebbe provocare un ristagno di latte e rendere più seria l’infezione;
riposare il più possibile a letto: il riposo aiuta a combattere l’infezione.
È un’infiammazione che può colpire una o entrambe le mammelle, con una sensazione di dolore, gonfiore e arrossamento. La mastite deve essere affrontata in modo corretto, per evitare complicazioni e per non compromettere il prosieguo delle poppate. Ecco come fare
Che cos’è
La mastite è un’infiammazione acuta di tutta la mammella o di una sua parte, raramente di entrambe. La più diffusa è quella definita puerperale, che si manifesta nel periodo dell’allattamento e interessa molte neomamme. La causa più comune è un’infezione causata da batteri che sono presenti a livello cutaneo, come lo streptococco o lo stafilococco, ma anche l’ostruzione di un dotto galattoforo (da dove esce il latte) che fa ristagnare il latte causando infiammazione.
Quando compare
In genere si presenta nelle prime settimane dopo il parto o durante lo svezzamento, quando il bambino riduce, o smette del tutto, le poppate al seno. La mastite può comunque colpire in ogni momento dell’allattamento.
Come riconoscerla
Questo disturbo si presenta con sintomi caratteristici:
intenso dolore al seno interessato;
pelle arrossata, calda e in tensione;
seno duro;
a volte può comparire anche qualche linea di febbre sopra i 38 gradi, senso di spossatezza e di “ossa rotte”, proprio come quando si ha l’influenza.
Il rischio ascesso
Se non curata adeguatamente, la mastite può dar luogo a un ascesso mammario, che si manifesta con un’accentuazione del dolore, tumefazione, febbre e ingrossamento delle linfoghiandole ascellari. Se gli antibiotici non risolvono l’infezione, occorre incidere chirurgicamente l’ascesso, in modo da far drenare il pus (sostanza giallastra formata da globuli bianchi contenenti i batteri). Per questo va curata appena si manifesta.
Come intervenire
Occorre, innanzitutto, precisare che spetta al medico prescrivere le cure più indicate per la mastite. In ogni caso è bene:
continuare ad allattare il bambino direttamente al seno. Se il dolore rende la poppata insopportabile, si può ricorrere al tiralatte in modo da non fermare la produzione di latte;
provare diverse posizioni per allattare il piccolo, per esempio, stando sdraiate: in questo caso la mammella poggia sulla superficie del letto e il contatto stesso ne favorisce lo svuotamento. Oppure, si può provare mettendosi carponi: la forza di gravità attira il latte verso il basso. Utile, infine, è la posizione “da rugby”: la mamma può stare in piedi o seduta, tenendo il bimbo sotto il braccio come i giocatori di rugby tengono la palla, cioè con la testina verso l’interno e i piedi rivolti all’esterno. Questa posizione è la migliore per favorire lo svuotamento del seno;
praticare impacchi caldi;
assumere un farmaco antifebbrile e antinfiammatorio (come l’ibuprofene o il paracetamolo) in caso di febbre alta o di dolore molto intenso;
ricorrere all’assunzione di antibiotici, prescritti del medico, se la mastite non si risolve nel giro di due o tre giorni. Nel frattempo, è possibile continuare ad allattare, in quanto gli antibiotici utilizzati non sono nocivi per il bambino. Al contrario, interrompere le poppate potrebbe provocare un ristagno di latte e rendere più seria l’infezione;
riposare il più possibile a letto: il riposo aiuta a combattere l’infezione.
Re: Allattamento
È facilitata da:
Ingorgo mammario
La mastite può comparire come conseguenza di un ingorgo mammario, ossia l’ostruzione dei dotti galattofori (i sottili canalini attraverso cui il latte prodotto confluisce al capezzolo). L’ingorgo mammario è più frequente all’inizio dell’allattamento, quando il latte non riesce a defluire completamente dai dotti galattofori perché il bambino non succhia abbastanza o in modo corretto (cioè, che “non si attacca bene”). Il latte prodotto dalla ghiandola mammaria, quindi, tende a ristagnare all’interno del dotto e a formare coaguli che bloccano ulteriormente il flusso di altro latte. Il dotto otturato allora si infiamma e, al tatto, è possibile avvertire una massa dolorosa nella mammella. Spesso la neomamma è portata a confondere l’otturazione dei dotti per una forma di mastite, ma in realtà si tratta di un problema diverso. Infatti, l’ostruzione dei dotti non provoca febbre. Se, però, l’ingorgo mammario non viene curato adeguatamente, favorendo il deflusso del latte all’esterno, può dare origine alla mastite, in quanto il latte, molto zuccherino, diventa l’ambiente favorevole alla proliferazione dei germi che determinano l’infezione.
I rimedi da adottare
Continuare ad allattare dal seno colpito dall’ingorgo. Non sarà un problema per il bambino perché il latte non è in alcun modo contaminato. Se, anzi, il neonato succhia con energia può aiutare a sbloccare il dotto;
applicare un impacco caldo-umido prima di attaccare il bebè per favorire il deflusso di latte. Si può applicare sul seno una borsa dell’acqua calda avvolta in un telo di spugna bagnato oppure fare una doccia o spugnature calde;
esercitare una pressione manuale mentre il bambino succhia per favorire ulteriormente lo svuotamento del seno;
svuotare bene il seno al termine della poppata, spremendolo manualmente per far fuoriuscire tutto il latte eventualmente rimasto.
Ragadi
Si tratta di taglietti presenti nell’area del capezzolo, simili a ferite dai bordi leggermente in rilievo. Sono dolorose e possono sanguinare, in quanto queste fissurazioni mettono allo scoperto il derma, lo strato intermedio della pelle, ricco di terminazioni nervose e di vasi sanguigni. Le ragadi non vanno trascurate perché si infettano facilmente, diventando così il veicolo di germi nocivi. Le ragadi si formano in conseguenza di una scorretta suzione del bambino che afferra solo la punta del capezzolo invece che prendere in bocca tutta l’areola, provocando così piccoli traumi al capezzolo stesso. Queste lesioni sono favorite anche da un’eccessiva umidità della zona: la saliva del piccolo e le frequenti secrezioni di latte non asciugate possono provocare la macerazione della pelle e favorire la formazione dei tagli. Anche l’aumento di volume del seno sottopone la pelle della mammella a una notevole tensione che può provocare la rottura della cute. Per prevenirne la formazione, occorre applicare tutti i giorni olio di mandorle dolci o creme preparatorie specifiche per rendere le pelle più elastica, a cominciare dal quarto-quinto mese di gestazione.
I rimedi da adottare
pulire capezzoli e areole prima e dopo ogni poppata con batuffoli di cotone imbevuti d’acqua distillata o utilizzare i dischetti detergenti specifici;
alternare i seni al momento della poppata, per stimolare in ugual modo i capezzoli;
tenere sempre asciutto il seno tamponando ogni secrezione con garza sterile e indossando le coppette assorbilatte tra una poppata e l’altra;
massaggiare il capezzolo e l’areola con qualche goccia del proprio latte che ha un notevole potere cicatrizzante;
lasciare il seno il più possibile scoperto perché l’aria rende più resistenti i capezzoli.
applicare, dopo ogni poppata, creme cicatrizzanti. Occorre però detergere accuratamente il seno prima di attaccare il bimbo. La cura va continuata per 3-4 giorni.
Si può prevenire?
La mastite può essere evitata cercando di svuotare sempre bene il seno, al limite con l’aiuto di un tiralatte se il bimbo non succhia abbastanza, e controllando che il piccolo si attacchi correttamente al seno.
Ingorgo mammario
La mastite può comparire come conseguenza di un ingorgo mammario, ossia l’ostruzione dei dotti galattofori (i sottili canalini attraverso cui il latte prodotto confluisce al capezzolo). L’ingorgo mammario è più frequente all’inizio dell’allattamento, quando il latte non riesce a defluire completamente dai dotti galattofori perché il bambino non succhia abbastanza o in modo corretto (cioè, che “non si attacca bene”). Il latte prodotto dalla ghiandola mammaria, quindi, tende a ristagnare all’interno del dotto e a formare coaguli che bloccano ulteriormente il flusso di altro latte. Il dotto otturato allora si infiamma e, al tatto, è possibile avvertire una massa dolorosa nella mammella. Spesso la neomamma è portata a confondere l’otturazione dei dotti per una forma di mastite, ma in realtà si tratta di un problema diverso. Infatti, l’ostruzione dei dotti non provoca febbre. Se, però, l’ingorgo mammario non viene curato adeguatamente, favorendo il deflusso del latte all’esterno, può dare origine alla mastite, in quanto il latte, molto zuccherino, diventa l’ambiente favorevole alla proliferazione dei germi che determinano l’infezione.
I rimedi da adottare
Continuare ad allattare dal seno colpito dall’ingorgo. Non sarà un problema per il bambino perché il latte non è in alcun modo contaminato. Se, anzi, il neonato succhia con energia può aiutare a sbloccare il dotto;
applicare un impacco caldo-umido prima di attaccare il bebè per favorire il deflusso di latte. Si può applicare sul seno una borsa dell’acqua calda avvolta in un telo di spugna bagnato oppure fare una doccia o spugnature calde;
esercitare una pressione manuale mentre il bambino succhia per favorire ulteriormente lo svuotamento del seno;
svuotare bene il seno al termine della poppata, spremendolo manualmente per far fuoriuscire tutto il latte eventualmente rimasto.
Ragadi
Si tratta di taglietti presenti nell’area del capezzolo, simili a ferite dai bordi leggermente in rilievo. Sono dolorose e possono sanguinare, in quanto queste fissurazioni mettono allo scoperto il derma, lo strato intermedio della pelle, ricco di terminazioni nervose e di vasi sanguigni. Le ragadi non vanno trascurate perché si infettano facilmente, diventando così il veicolo di germi nocivi. Le ragadi si formano in conseguenza di una scorretta suzione del bambino che afferra solo la punta del capezzolo invece che prendere in bocca tutta l’areola, provocando così piccoli traumi al capezzolo stesso. Queste lesioni sono favorite anche da un’eccessiva umidità della zona: la saliva del piccolo e le frequenti secrezioni di latte non asciugate possono provocare la macerazione della pelle e favorire la formazione dei tagli. Anche l’aumento di volume del seno sottopone la pelle della mammella a una notevole tensione che può provocare la rottura della cute. Per prevenirne la formazione, occorre applicare tutti i giorni olio di mandorle dolci o creme preparatorie specifiche per rendere le pelle più elastica, a cominciare dal quarto-quinto mese di gestazione.
I rimedi da adottare
pulire capezzoli e areole prima e dopo ogni poppata con batuffoli di cotone imbevuti d’acqua distillata o utilizzare i dischetti detergenti specifici;
alternare i seni al momento della poppata, per stimolare in ugual modo i capezzoli;
tenere sempre asciutto il seno tamponando ogni secrezione con garza sterile e indossando le coppette assorbilatte tra una poppata e l’altra;
massaggiare il capezzolo e l’areola con qualche goccia del proprio latte che ha un notevole potere cicatrizzante;
lasciare il seno il più possibile scoperto perché l’aria rende più resistenti i capezzoli.
applicare, dopo ogni poppata, creme cicatrizzanti. Occorre però detergere accuratamente il seno prima di attaccare il bimbo. La cura va continuata per 3-4 giorni.
Si può prevenire?
La mastite può essere evitata cercando di svuotare sempre bene il seno, al limite con l’aiuto di un tiralatte se il bimbo non succhia abbastanza, e controllando che il piccolo si attacchi correttamente al seno.
Re: Allattamento
Attenzione alle ragadi durante l’allattamento
Si tratta di dolorosi taglietti attorno al capezzolo causati quasi sempre da uno scorretto ancoraggio del bebè al seno. Vanno curate, perché possono provocare la mastite
Si formano in conseguenza della suzione del bambino durante l’allattamento: se il neonato succhia in modo scorretto, afferrando solo la punta del capezzolo, provoca piccoli traumi all’areola. Inoltre, l’eccessiva umidità della zona, dovuta alla presenza della saliva del piccolo e le frequenti secrezioni di latte non asciugate possono provocare la macerazione della pelle e favorire la formazione dei tagli. Anche l’aumento di volume del seno sottopone la pelle della mammella a una notevole tensione e può favorire la rottura della cute. Le ragadi possono guarire da sole nel giro di pochi giorni. Per accelerarne la guarigione, si possono applicare, dopo ogni poppata, creme cicatrizzanti che non sempre vanno rimosse prima della poppata. Eventuali istruzioni in merito vengono fornite al momento della prescrizione. La cura va continuata per 3-4 giorni. Le ragadi non vanno trascurate perché si infettano facilmente.
L’importanza della prevenzione
Anche nel caso delle ragadi, è importante pensare a una corretta prevenzione che può iniziare già in gravidanza. Dal quinto-sesto mese circa di gestazione è utile prendersi cura dei propri capezzoli. Esistono semplici tecniche di “ginnastica del capezzolo” che possono essere d’aiuto nella preparazione del seno: si tratta dell’applicazione di oli o creme specifiche per rendere la pelle più elastica. Durante i corsi di preparazione alla nascita, in genere, l’ostetrica affronta questi argomenti con le donne del gruppo. Dopo il parto è importante attaccare il bambino precocemente e in modo “corretto”. Anche per questo è importante ricevere un aiuto dal personale di assistenza. Una volta impostata la poppata si può continuare l’allattamento seguendo i ritmi propri e del bambino. È meglio, a ogni poppata, proporre al bambino i due seni. Se invece si prova dolore a uno dei capezzoli, è bene offrire al bambino il seno non dolente. La pelle va tenuta pulita, asciutta e idratata con creme specifiche. Il seno andrebbe lasciato il più possibile scoperto, perché l’aria asciuga e rende più resistenti i tessuti.
Si tratta di dolorosi taglietti attorno al capezzolo causati quasi sempre da uno scorretto ancoraggio del bebè al seno. Vanno curate, perché possono provocare la mastite
Si formano in conseguenza della suzione del bambino durante l’allattamento: se il neonato succhia in modo scorretto, afferrando solo la punta del capezzolo, provoca piccoli traumi all’areola. Inoltre, l’eccessiva umidità della zona, dovuta alla presenza della saliva del piccolo e le frequenti secrezioni di latte non asciugate possono provocare la macerazione della pelle e favorire la formazione dei tagli. Anche l’aumento di volume del seno sottopone la pelle della mammella a una notevole tensione e può favorire la rottura della cute. Le ragadi possono guarire da sole nel giro di pochi giorni. Per accelerarne la guarigione, si possono applicare, dopo ogni poppata, creme cicatrizzanti che non sempre vanno rimosse prima della poppata. Eventuali istruzioni in merito vengono fornite al momento della prescrizione. La cura va continuata per 3-4 giorni. Le ragadi non vanno trascurate perché si infettano facilmente.
L’importanza della prevenzione
Anche nel caso delle ragadi, è importante pensare a una corretta prevenzione che può iniziare già in gravidanza. Dal quinto-sesto mese circa di gestazione è utile prendersi cura dei propri capezzoli. Esistono semplici tecniche di “ginnastica del capezzolo” che possono essere d’aiuto nella preparazione del seno: si tratta dell’applicazione di oli o creme specifiche per rendere la pelle più elastica. Durante i corsi di preparazione alla nascita, in genere, l’ostetrica affronta questi argomenti con le donne del gruppo. Dopo il parto è importante attaccare il bambino precocemente e in modo “corretto”. Anche per questo è importante ricevere un aiuto dal personale di assistenza. Una volta impostata la poppata si può continuare l’allattamento seguendo i ritmi propri e del bambino. È meglio, a ogni poppata, proporre al bambino i due seni. Se invece si prova dolore a uno dei capezzoli, è bene offrire al bambino il seno non dolente. La pelle va tenuta pulita, asciutta e idratata con creme specifiche. Il seno andrebbe lasciato il più possibile scoperto, perché l’aria asciuga e rende più resistenti i tessuti.
Re: Allattamento
Il capezzolo retratto: che cosa fare
Questa particolare conformazione del capezzolo non impedisce di allattare il bebè. Sono necessarie, però, alcune attenzioni in più per favorire le poppate
Si tratta di una conformazione particolare del capezzolo, che può risultare rivolto verso l’interno (come una specie di fossetta) o appiattito nell’areola. Questo fenomeno è legato, per lo più, a fattori costituzionali e non deve preoccupare la mamma in quanto non comporta di per sé nessuna conseguenza sul normale scorrimento del latte e quindi sulla possibilità di allattare. È, infatti, sufficiente “fare uscire” il capezzolo e ciò, in genere, avviene proprio grazie alla suzione da parte del piccolo. Attaccare spesso il bimbo al seno corrisponde, infatti, al metodo migliore per fare assumere al capezzolo la forma più indicata per la poppata. Specifici massaggi possono, inoltre, contribuire a raggiungere il medesimo scopo.
Che cosa fare
Cominciare a praticare qualche massaggio già nel corso della gravidanza per predisporre i capezzoli retratti in vista dell’allattamento. Ecco due esercizi indicati:
ruotare il capezzolo tra il pollice e l’indice, prima in un senso poi nell’altro e praticare lievi stiramenti per stimolarne la fuoriuscita. Eseguire l’esercizio ogni mattina per una decina di volte;
distendere il capezzolo appoggiando la punta delle dita delle due mani ai suoi lati e facendole discendere lentamente fino alla base del seno. Ripetere l’esercizio ogni mattina per una decina di volte.
Stimolare naturalmente la fuoriuscita del capezzolo attaccando spesso il bebè al seno. È importante non lasciarsi scoraggiare se le prime volte il piccolo non riesce a succhiare bene: è, infatti, necessario insistere un po’. Questo metodo naturale è sicuramente il più efficace e può essere abbinato agli esercizi descritti sopra. Utilizzare, in alternativa, gli appositi copricapezzoli (disponibili in farmacia) che consentono al bambino di succhiare anche se il capezzolo è ancora retratto. È meglio, comunque, ricorrervi solo nel caso in cui si presentassero particolari difficoltà nella poppata.
Questa particolare conformazione del capezzolo non impedisce di allattare il bebè. Sono necessarie, però, alcune attenzioni in più per favorire le poppate
Si tratta di una conformazione particolare del capezzolo, che può risultare rivolto verso l’interno (come una specie di fossetta) o appiattito nell’areola. Questo fenomeno è legato, per lo più, a fattori costituzionali e non deve preoccupare la mamma in quanto non comporta di per sé nessuna conseguenza sul normale scorrimento del latte e quindi sulla possibilità di allattare. È, infatti, sufficiente “fare uscire” il capezzolo e ciò, in genere, avviene proprio grazie alla suzione da parte del piccolo. Attaccare spesso il bimbo al seno corrisponde, infatti, al metodo migliore per fare assumere al capezzolo la forma più indicata per la poppata. Specifici massaggi possono, inoltre, contribuire a raggiungere il medesimo scopo.
Che cosa fare
Cominciare a praticare qualche massaggio già nel corso della gravidanza per predisporre i capezzoli retratti in vista dell’allattamento. Ecco due esercizi indicati:
ruotare il capezzolo tra il pollice e l’indice, prima in un senso poi nell’altro e praticare lievi stiramenti per stimolarne la fuoriuscita. Eseguire l’esercizio ogni mattina per una decina di volte;
distendere il capezzolo appoggiando la punta delle dita delle due mani ai suoi lati e facendole discendere lentamente fino alla base del seno. Ripetere l’esercizio ogni mattina per una decina di volte.
Stimolare naturalmente la fuoriuscita del capezzolo attaccando spesso il bebè al seno. È importante non lasciarsi scoraggiare se le prime volte il piccolo non riesce a succhiare bene: è, infatti, necessario insistere un po’. Questo metodo naturale è sicuramente il più efficace e può essere abbinato agli esercizi descritti sopra. Utilizzare, in alternativa, gli appositi copricapezzoli (disponibili in farmacia) che consentono al bambino di succhiare anche se il capezzolo è ancora retratto. È meglio, comunque, ricorrervi solo nel caso in cui si presentassero particolari difficoltà nella poppata.
Re: Allattamento
Latte artificiale di inizio (tipo 1)
Quello materno risponde in modo perfetto a tutte le esigenze nutrizionali del piccolo. Esistono però anche speciali formule, dette di partenza, per i bimbi che non possono essere allattati al seno
I sostituti del seno
Il latte materno è l’alimento ideale per il bambino per tutto il primo anno di vita. Si tratta, infatti, di una fonte di nutrimento inimitabile, in quanto fornisce al piccolo tutte le sostanze indispensabili per la sua crescita. Nel caso in cui però l’allattamento al seno non sia possibile o la mamma non abbia latte a sufficienza, esistono formule di partenza, indicate per i primi quattro mesi di vita, che forniscono al piccolo un latte vicino per composizione a quello della mamma. Detti anche “starting formulas”, sono contrassegnati dal numero “1”. Hanno un contenuto energetico compreso tra 64 e 72 calorie ogni 100 cc (centimetri cubici) di prodotto e possono avere come fonte di zuccheri il solo lattosio (il principale zucchero del latte) o anche le maltodestrine, zuccheri caratterizzati da un buon contenuto energetico, da un rapido assorbimento e da bassa fermentazione. Devono avere, inoltre, gli acidi grassi essenziali omega 6 e omega 3 e avere un contenuto di proteine compreso tra 1,2 e 1,9 grammi ogni 100 millilitri, un valore quasi dimezzato rispetto ai latti di qualche anno fa in quanto, come hanno dimostrato numerose ricerche, è in grado di soddisfare i fabbisogni del bambino senza però comportare un inutile sovraccarico di lavoro per i reni.
Consultare il pediatra
Per la scelta dei latti formulati è bene chiedere consiglio al proprio pediatra, che in base alle caratteristiche del bimbo saprà indicare quello più adatto. Tutti i prodotti delle grandi marche, infatti, si adeguano alle linee guida europee in modo da soddisfare le esigenze dietetiche del bambino nel periodo dello svezzamento. Alcuni prodotti, poi, utilizzano solo ingredienti biologici, ma bisogna ricordare che per tutta l’alimentazione infantile ci sono norme strettissime per la qualità degli ingredienti e per la modalità di preparazione.
Quello materno risponde in modo perfetto a tutte le esigenze nutrizionali del piccolo. Esistono però anche speciali formule, dette di partenza, per i bimbi che non possono essere allattati al seno
I sostituti del seno
Il latte materno è l’alimento ideale per il bambino per tutto il primo anno di vita. Si tratta, infatti, di una fonte di nutrimento inimitabile, in quanto fornisce al piccolo tutte le sostanze indispensabili per la sua crescita. Nel caso in cui però l’allattamento al seno non sia possibile o la mamma non abbia latte a sufficienza, esistono formule di partenza, indicate per i primi quattro mesi di vita, che forniscono al piccolo un latte vicino per composizione a quello della mamma. Detti anche “starting formulas”, sono contrassegnati dal numero “1”. Hanno un contenuto energetico compreso tra 64 e 72 calorie ogni 100 cc (centimetri cubici) di prodotto e possono avere come fonte di zuccheri il solo lattosio (il principale zucchero del latte) o anche le maltodestrine, zuccheri caratterizzati da un buon contenuto energetico, da un rapido assorbimento e da bassa fermentazione. Devono avere, inoltre, gli acidi grassi essenziali omega 6 e omega 3 e avere un contenuto di proteine compreso tra 1,2 e 1,9 grammi ogni 100 millilitri, un valore quasi dimezzato rispetto ai latti di qualche anno fa in quanto, come hanno dimostrato numerose ricerche, è in grado di soddisfare i fabbisogni del bambino senza però comportare un inutile sovraccarico di lavoro per i reni.
Consultare il pediatra
Per la scelta dei latti formulati è bene chiedere consiglio al proprio pediatra, che in base alle caratteristiche del bimbo saprà indicare quello più adatto. Tutti i prodotti delle grandi marche, infatti, si adeguano alle linee guida europee in modo da soddisfare le esigenze dietetiche del bambino nel periodo dello svezzamento. Alcuni prodotti, poi, utilizzano solo ingredienti biologici, ma bisogna ricordare che per tutta l’alimentazione infantile ci sono norme strettissime per la qualità degli ingredienti e per la modalità di preparazione.
Re: Allattamento
Che cosa contiene
Il latte che si utilizza per preparare le “formule” adatte ai bambini con meno di un anno è latte vaccino (cioè di mucca) modificato, basandosi sullo studio delle caratteristiche del latte materno, per renderlo adatto alle necessità del bambino. Ecco quali caratteristiche vengono modificate.
Si tolgono
i grassi saturi. Il latte vaccino è ricco di grassi saturi (una volta assorbiti dall’organismo formano il colesterolo, una sostanza che in quantità eccessive può diventare dannosa), non adatti allo sviluppo del bambino;
le proteine, il cui smaltimento affatica eccessivamente i reni;
i sali minerali (fosforo, sodio, potassio e cloro), in quanto interferiscono con l’assorbimento di altre sostanze e sovraccaricano i reni, ancora immaturi fino al compimento del primo anno di vita.
Si aggiungono
i grassi polinsaturi, indispensabili per il corretto sviluppo della retina, del cervello e di tutte le strutture nervose;
il ferro. Questo minerale (fondamentale per la formazione dei globuli rossi del sangue) è contenuto in percentuali abbastanza basse nel latte di mucca, oltretutto in una forma che può può venire utilizzata correttamente dal bambino. Per questo il latte formulato viene arricchito di questa sostanza;
il lattosio (lo zucchero del latte) utile per l’assorbimento del calcio (minerale che favorisce lo sviluppo delle ossa e dei denti);
lo zinco, in quanto è importante per lo sviluppo del sistema immunitario, cioè di difesa naturale;
le vitamine A, C, D, necessarie al bambino per l’assorbimento del calcio e del ferro, per la vista e la pelle. La vitamina C, in particolare, viene ridotta drasticamente durante il processo di pastorizzazione del latte.
Le sostanze in più
Alcuni elementi presenti nel latte materno hanno dimostrato di avere ruoli ben precisi dal punto di vista nutritivo e, per questo, si trovano aggiunti nei latti prodotti da alcune ditte. Sarà il pediatra a consigliare, in base alle caratteristiche del bambino, se e quale adottare.
gli oligosaccaridi
Si tratta di tipi di zuccheri che sembrano intervenire in numerosi processi metabolici (reazioni chimiche che avvengono nell’organismo), svolgendo un’azione antinfettiva, antinfiammatoria, selettiva sulla flora batterica intestinale e strutturale, cioè costituente, per il sistema nervoso.
i probiotici
Sono particolari fermenti, cioè microrganismi che hanno un effetto positivo sull’organismo, che sono stati scoperti recentemente nel latte materno. Vengono aggiunti da alcuni marche nei latti adattati in quanto favoriscono lo sviluppo della flora batterica intestinale e ne migliorano la qualità.
In polvere o liquido?
Il latte formulato, sia di partenza sia di proseguimento, è disponibile in due versioni: in polvere o liquido. L’unica differenza tra i due tipi sta nella praticità d’uso. Rispetto al latte in polvere, quello liquido ha il vantaggio di essere già pronto, ben amalgamato, più igienico, in quanto non richiede manipolazioni, e più sicuro, perché non si possono fare errori nella diluizione. Presenta però qualche svantaggio per quanto riguarda lo stoccaggio, in quanto richiede grandi scorte e, una volta aperto, dura solo 48 ore in frigorifero. Dal punto di vista nutrizionale, comunque, i due tipi di latte hanno formulazioni praticamente identiche: di conseguenza, una volta ricostituito, cioè dopo che è stata aggiunta l’acqua al biberon, il latte in polvere ha la medesima composizione del latte liquido.
Il latte che si utilizza per preparare le “formule” adatte ai bambini con meno di un anno è latte vaccino (cioè di mucca) modificato, basandosi sullo studio delle caratteristiche del latte materno, per renderlo adatto alle necessità del bambino. Ecco quali caratteristiche vengono modificate.
Si tolgono
i grassi saturi. Il latte vaccino è ricco di grassi saturi (una volta assorbiti dall’organismo formano il colesterolo, una sostanza che in quantità eccessive può diventare dannosa), non adatti allo sviluppo del bambino;
le proteine, il cui smaltimento affatica eccessivamente i reni;
i sali minerali (fosforo, sodio, potassio e cloro), in quanto interferiscono con l’assorbimento di altre sostanze e sovraccaricano i reni, ancora immaturi fino al compimento del primo anno di vita.
Si aggiungono
i grassi polinsaturi, indispensabili per il corretto sviluppo della retina, del cervello e di tutte le strutture nervose;
il ferro. Questo minerale (fondamentale per la formazione dei globuli rossi del sangue) è contenuto in percentuali abbastanza basse nel latte di mucca, oltretutto in una forma che può può venire utilizzata correttamente dal bambino. Per questo il latte formulato viene arricchito di questa sostanza;
il lattosio (lo zucchero del latte) utile per l’assorbimento del calcio (minerale che favorisce lo sviluppo delle ossa e dei denti);
lo zinco, in quanto è importante per lo sviluppo del sistema immunitario, cioè di difesa naturale;
le vitamine A, C, D, necessarie al bambino per l’assorbimento del calcio e del ferro, per la vista e la pelle. La vitamina C, in particolare, viene ridotta drasticamente durante il processo di pastorizzazione del latte.
Le sostanze in più
Alcuni elementi presenti nel latte materno hanno dimostrato di avere ruoli ben precisi dal punto di vista nutritivo e, per questo, si trovano aggiunti nei latti prodotti da alcune ditte. Sarà il pediatra a consigliare, in base alle caratteristiche del bambino, se e quale adottare.
gli oligosaccaridi
Si tratta di tipi di zuccheri che sembrano intervenire in numerosi processi metabolici (reazioni chimiche che avvengono nell’organismo), svolgendo un’azione antinfettiva, antinfiammatoria, selettiva sulla flora batterica intestinale e strutturale, cioè costituente, per il sistema nervoso.
i probiotici
Sono particolari fermenti, cioè microrganismi che hanno un effetto positivo sull’organismo, che sono stati scoperti recentemente nel latte materno. Vengono aggiunti da alcuni marche nei latti adattati in quanto favoriscono lo sviluppo della flora batterica intestinale e ne migliorano la qualità.
In polvere o liquido?
Il latte formulato, sia di partenza sia di proseguimento, è disponibile in due versioni: in polvere o liquido. L’unica differenza tra i due tipi sta nella praticità d’uso. Rispetto al latte in polvere, quello liquido ha il vantaggio di essere già pronto, ben amalgamato, più igienico, in quanto non richiede manipolazioni, e più sicuro, perché non si possono fare errori nella diluizione. Presenta però qualche svantaggio per quanto riguarda lo stoccaggio, in quanto richiede grandi scorte e, una volta aperto, dura solo 48 ore in frigorifero. Dal punto di vista nutrizionale, comunque, i due tipi di latte hanno formulazioni praticamente identiche: di conseguenza, una volta ricostituito, cioè dopo che è stata aggiunta l’acqua al biberon, il latte in polvere ha la medesima composizione del latte liquido.
Re: Allattamento
Latte artificiale di proseguimento (tipo 2)
L’Organizzazione mondiale della sanità consiglia l’allattamento esclusivo al seno fino ai sei mesi di vita del bebè. Se ciò non fosse possibile, si può ricorrere a formule specifiche. Ecco quelle più adatte dai 4 mesi
A partire dai 4-6 mesi
Tra i quattro e i sei mesi di vita del piccolo viene programmato lo svezzamento, il cui significato è quello di integrare con altri alimenti le sostanze nutritive che sono ormai carenti nel latte: quest’ultimo, infatti, da solo, non è più sufficiente a far fronte alle necessità di crescita del bambino. L’alimentazione del piccolo, dunque, a partire da quest’età, dovrebbe comprendere il latte (circa 500 millilitri al giorno fino all’anno) per il 50 per cento dell’apporto calorico giornaliero e per l’altro 50 per cento altri alimenti, come le pappe, la frutta o lo yogurt. A partire da questa età, se la mamma non può più allattare, sono stati studiati specifici latti di proseguimento, contrassegnati dal numero “2”: rappresentano il miglior sostituto del latte materno, anche perché la loro composizione ricalca proprio quella del latte della mamma. Un errore comune, in mancanza del latte materno, è quello di dare al piccolo il latte vaccino (di mucca) prima dell’anno di età. Tutte le principali società scientifiche e di nutrizione internazionali sono concordi: sconsigliano l’assunzione di questo latte al di sotto dei 12 mesi. Si tratta infatti di un latte che è perfetto per i piccoli della mucca, i vitelli, ma non per il bebè, che ha esigenze nutrizionali differenti. Rispetto al latte vaccino, quello formulato di proseguimento contiene più ferro, contro l’anemia, zinco, per il sistema immunitario, acidi grassi essenziali, indispensabili per lo sviluppo del sistema nervoso centrale, e vitamine D, A e C, utili a tutto l’organismo. Al tempo stesso è più leggero e non appesantisce il bambino con troppi grassi, proteine, carboidrati e sodio, così da risultare anche più facilmente assimilabile e a minore rischio di intolleranze e allergie. Recentemente sono stati introdotti sul mercato anche nuovi latti biologici, che rispettano normative di lavorazione ancora più severe (le stesse imposte ai prodotti biologici) di quelle già di per sé rigorose che disciplinano gli alimenti per l’infanzia.
Con il latte vaccino rischio anemia
Tutti i bambini sono a rischio anemia, un disturbo dei globuli rossi del sangue provocato da carenza di ferro, per le esigenze di crescita del loro organismo. Non ci sono problemi se il piccolo è nutrito al seno, ma se prima del compimento dei 12 mesi si dà loro il latte vaccino, cioè quello di mucca, questo rischio diventa molto più elevato. È soprattutto il contenuto di ferro che è differente. Per avere un’idea del rischio di carenza che si fa correre al bambino se gli si dà il latte vaccino al posto di quello formulato, basta fare un confronto diretto. Davanti a un fabbisogno di ferro assorbito nel secondo semestre di vita di circa 0,75 mg al giorno, 750 ml di latte formulato ne apportano, come ferro assorbito, da 1 a 2 mg/l, mentre il latte vaccino solo 0,015. Questo perché non solo il latte vaccino contiene molto meno ferro del latte formulato o di quello materno, ma anche quel poco ha una biodisponibilità, cioè la possibilità di essere effettivamente assorbito dall’organismo, nettamente inferiore.
L’Organizzazione mondiale della sanità consiglia l’allattamento esclusivo al seno fino ai sei mesi di vita del bebè. Se ciò non fosse possibile, si può ricorrere a formule specifiche. Ecco quelle più adatte dai 4 mesi
A partire dai 4-6 mesi
Tra i quattro e i sei mesi di vita del piccolo viene programmato lo svezzamento, il cui significato è quello di integrare con altri alimenti le sostanze nutritive che sono ormai carenti nel latte: quest’ultimo, infatti, da solo, non è più sufficiente a far fronte alle necessità di crescita del bambino. L’alimentazione del piccolo, dunque, a partire da quest’età, dovrebbe comprendere il latte (circa 500 millilitri al giorno fino all’anno) per il 50 per cento dell’apporto calorico giornaliero e per l’altro 50 per cento altri alimenti, come le pappe, la frutta o lo yogurt. A partire da questa età, se la mamma non può più allattare, sono stati studiati specifici latti di proseguimento, contrassegnati dal numero “2”: rappresentano il miglior sostituto del latte materno, anche perché la loro composizione ricalca proprio quella del latte della mamma. Un errore comune, in mancanza del latte materno, è quello di dare al piccolo il latte vaccino (di mucca) prima dell’anno di età. Tutte le principali società scientifiche e di nutrizione internazionali sono concordi: sconsigliano l’assunzione di questo latte al di sotto dei 12 mesi. Si tratta infatti di un latte che è perfetto per i piccoli della mucca, i vitelli, ma non per il bebè, che ha esigenze nutrizionali differenti. Rispetto al latte vaccino, quello formulato di proseguimento contiene più ferro, contro l’anemia, zinco, per il sistema immunitario, acidi grassi essenziali, indispensabili per lo sviluppo del sistema nervoso centrale, e vitamine D, A e C, utili a tutto l’organismo. Al tempo stesso è più leggero e non appesantisce il bambino con troppi grassi, proteine, carboidrati e sodio, così da risultare anche più facilmente assimilabile e a minore rischio di intolleranze e allergie. Recentemente sono stati introdotti sul mercato anche nuovi latti biologici, che rispettano normative di lavorazione ancora più severe (le stesse imposte ai prodotti biologici) di quelle già di per sé rigorose che disciplinano gli alimenti per l’infanzia.
Con il latte vaccino rischio anemia
Tutti i bambini sono a rischio anemia, un disturbo dei globuli rossi del sangue provocato da carenza di ferro, per le esigenze di crescita del loro organismo. Non ci sono problemi se il piccolo è nutrito al seno, ma se prima del compimento dei 12 mesi si dà loro il latte vaccino, cioè quello di mucca, questo rischio diventa molto più elevato. È soprattutto il contenuto di ferro che è differente. Per avere un’idea del rischio di carenza che si fa correre al bambino se gli si dà il latte vaccino al posto di quello formulato, basta fare un confronto diretto. Davanti a un fabbisogno di ferro assorbito nel secondo semestre di vita di circa 0,75 mg al giorno, 750 ml di latte formulato ne apportano, come ferro assorbito, da 1 a 2 mg/l, mentre il latte vaccino solo 0,015. Questo perché non solo il latte vaccino contiene molto meno ferro del latte formulato o di quello materno, ma anche quel poco ha una biodisponibilità, cioè la possibilità di essere effettivamente assorbito dall’organismo, nettamente inferiore.
Re: Allattamento
Latte artificiale: delottasati, idrolisati e latte AR
È più frequente di quello che si creda: le intolleranze al latte formulato interessano infatti molti neonati. Nessuna paura: tra i prodotti in commercio, ormai ve ne sono per tutti i tipi di esigenze: dall’intolleranza al lattosio alle formule anti-rigurgito
Se è intollerante al lattosio
In alcuni casi, il piccolo può manifestare un’intolleranza al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte. In pratica, il bambino potrebbe non essere in grado di assimilare questo zucchero. L’intolleranza al lattosio si manifesta, in genere, con diarrea, perché lo zucchero che non viene digerito fermenta a livello dell’intestino e richiama acqua, provocando questo disturbo. Solo raramente si tratta di un problema serio, dovuto alla mancanza di lattasi, un particolare enzima, cioè una sostanza proteica, che permette di scindere il lattosio in due zuccheri più semplici, il glucosio e il galattosio. In questo caso, il pediatra consiglierà delle formule delattosate, nelle quali il lattosio è già scisso nei due zuccheri e quindi è più facilmente digeribile. Più spesso, invece, l’intolleranza al lattosio è secondaria a un altro disturbo, per esempio un’infezione, che ha momentaneamente alterato la capacità dell’intestino del bambino di digerire il lattosio. Una volta risolto questo disturbo, anche l’intolleranza al lattosio si risolve.
I delottasati
In caso di intolleranza al lattosio, il pediatra prescriverà delle speciali formule di latte (i delottasati) nello quali il lattosio (uno zucchero del latte) è stato scisso in due zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) e quindi reso più digeribile. Il pediatra prescrive, di norma, le formule senza lattosio in caso di intolleranza al lattosio o ad altri zuccheri (il galattosio e il fruttosio) oppure dopo la diarrea: questo disturbo, infatti, di solito riduce la capacità dell’intestino del bebè di assorbire il lattosio.
Se è allergico alle proteine del latte
L’intolleranza o l’allergia al latte potrebbe manifestarsi però anche nei confronti delle proteine in esso contenute. In questo caso, il bambino non può mangiare tutti gli alimenti che contengono le proteine del latte: quindi, non solo il latte, ma anche lo yogurt, i formaggi o i biscotti che lo contengono come ingrediente. L’intolleranza alle proteine del latte può manifestarsi con diversi disturbi, tra cui quelli respiratori, cutanei o intestinali. Vi sono più probabilità che il piccolo sia allergico se lo sono anche il papà o la mamma. Se lo sono entrambi i genitori, le probabilità che il piccolo sviluppi un’allergia alle proteine del latte crescono ulteriormente, indipendentemente dal tipo di allergia sofferta dai genitori (per esempio al polline o a un determinato alimento).
È più frequente di quello che si creda: le intolleranze al latte formulato interessano infatti molti neonati. Nessuna paura: tra i prodotti in commercio, ormai ve ne sono per tutti i tipi di esigenze: dall’intolleranza al lattosio alle formule anti-rigurgito
Se è intollerante al lattosio
In alcuni casi, il piccolo può manifestare un’intolleranza al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte. In pratica, il bambino potrebbe non essere in grado di assimilare questo zucchero. L’intolleranza al lattosio si manifesta, in genere, con diarrea, perché lo zucchero che non viene digerito fermenta a livello dell’intestino e richiama acqua, provocando questo disturbo. Solo raramente si tratta di un problema serio, dovuto alla mancanza di lattasi, un particolare enzima, cioè una sostanza proteica, che permette di scindere il lattosio in due zuccheri più semplici, il glucosio e il galattosio. In questo caso, il pediatra consiglierà delle formule delattosate, nelle quali il lattosio è già scisso nei due zuccheri e quindi è più facilmente digeribile. Più spesso, invece, l’intolleranza al lattosio è secondaria a un altro disturbo, per esempio un’infezione, che ha momentaneamente alterato la capacità dell’intestino del bambino di digerire il lattosio. Una volta risolto questo disturbo, anche l’intolleranza al lattosio si risolve.
I delottasati
In caso di intolleranza al lattosio, il pediatra prescriverà delle speciali formule di latte (i delottasati) nello quali il lattosio (uno zucchero del latte) è stato scisso in due zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) e quindi reso più digeribile. Il pediatra prescrive, di norma, le formule senza lattosio in caso di intolleranza al lattosio o ad altri zuccheri (il galattosio e il fruttosio) oppure dopo la diarrea: questo disturbo, infatti, di solito riduce la capacità dell’intestino del bebè di assorbire il lattosio.
Se è allergico alle proteine del latte
L’intolleranza o l’allergia al latte potrebbe manifestarsi però anche nei confronti delle proteine in esso contenute. In questo caso, il bambino non può mangiare tutti gli alimenti che contengono le proteine del latte: quindi, non solo il latte, ma anche lo yogurt, i formaggi o i biscotti che lo contengono come ingrediente. L’intolleranza alle proteine del latte può manifestarsi con diversi disturbi, tra cui quelli respiratori, cutanei o intestinali. Vi sono più probabilità che il piccolo sia allergico se lo sono anche il papà o la mamma. Se lo sono entrambi i genitori, le probabilità che il piccolo sviluppi un’allergia alle proteine del latte crescono ulteriormente, indipendentemente dal tipo di allergia sofferta dai genitori (per esempio al polline o a un determinato alimento).