
Allattamento
Re: Allattamento
Gli idrolisati
Queste formule (dette anche “HA”) vengono utilizzate in caso di allergia alle proteine del latte vaccino (cioè di mucca). Nelle formule idrolisate le proteine del latte vaccino sono state frammentate e quindi rese meno allergizzanti, pur senza essere state modificate nella loro quantità (in gergo tecnico “idrolizzate”). È noto, infatti, che una proteina ridotta in tanti frammenti ha minori probabilità di conservare intatte quelle parti che scatenano più spesso reazioni allergiche. Esistono, poi, gli “idrolisati spinti”, cioè latti in cui le proteine sono state ulteriormente frammentate. Si impiegano nei casi di diarrea intrattabile in altro modo, di seria intolleranza alle proteine del latte e anche nella rialimentazione dopo la diarrea.
Il latte di soia
Non contiene le proteine del latte (cioè quelle “responsabili” dell’allergia) ma proteine vegetali ed è stato adeguatamente trattato. La presenza nel latte di soia di particolari fibre (fitati) può, però, limitare l’assorbimento di alcuni nutrienti e in particolare del calcio, anche perché manca il lattosio, un elemento che facilita invece l’assorbimento di questo minerale. Il latte di soia si presenta in polvere, esattamente come gli altri tipi di latte, e può essere del tipo 1, adatto fino al quarto-quinto mese, o del tipo 2, adatto al proseguimento fino al compimento dell’anno di età.
Se soffre di rigurgito
Ci sono bambini che soffrono tanto di rigurgito, al punto da mettere a rischio l’assorbimento dei nutrienti e la loro crescita equilibrata.
I latti AR
Per i lattanti che presentano frequenti episodi di rigurgito esistono particolari formule contrassegnate dalla sigla “AR”. Questi latti hanno una maggior consistenza grazie all’aggiunta di farina di carruba o di altri ispessenti; con questo tipo di latte gli episodi di rigurgito, se non proprio eliminati, vengono perlomeno ridotti.
Queste formule (dette anche “HA”) vengono utilizzate in caso di allergia alle proteine del latte vaccino (cioè di mucca). Nelle formule idrolisate le proteine del latte vaccino sono state frammentate e quindi rese meno allergizzanti, pur senza essere state modificate nella loro quantità (in gergo tecnico “idrolizzate”). È noto, infatti, che una proteina ridotta in tanti frammenti ha minori probabilità di conservare intatte quelle parti che scatenano più spesso reazioni allergiche. Esistono, poi, gli “idrolisati spinti”, cioè latti in cui le proteine sono state ulteriormente frammentate. Si impiegano nei casi di diarrea intrattabile in altro modo, di seria intolleranza alle proteine del latte e anche nella rialimentazione dopo la diarrea.
Il latte di soia
Non contiene le proteine del latte (cioè quelle “responsabili” dell’allergia) ma proteine vegetali ed è stato adeguatamente trattato. La presenza nel latte di soia di particolari fibre (fitati) può, però, limitare l’assorbimento di alcuni nutrienti e in particolare del calcio, anche perché manca il lattosio, un elemento che facilita invece l’assorbimento di questo minerale. Il latte di soia si presenta in polvere, esattamente come gli altri tipi di latte, e può essere del tipo 1, adatto fino al quarto-quinto mese, o del tipo 2, adatto al proseguimento fino al compimento dell’anno di età.
Se soffre di rigurgito
Ci sono bambini che soffrono tanto di rigurgito, al punto da mettere a rischio l’assorbimento dei nutrienti e la loro crescita equilibrata.
I latti AR
Per i lattanti che presentano frequenti episodi di rigurgito esistono particolari formule contrassegnate dalla sigla “AR”. Questi latti hanno una maggior consistenza grazie all’aggiunta di farina di carruba o di altri ispessenti; con questo tipo di latte gli episodi di rigurgito, se non proprio eliminati, vengono perlomeno ridotti.
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Re: Allattamento
Latte artificiale: delottasati, idrolisati e latte AR
È più frequente di quello che si creda: le intolleranze al latte formulato interessano infatti molti neonati. Nessuna paura: tra i prodotti in commercio, ormai ve ne sono per tutti i tipi di esigenze: dall’intolleranza al lattosio alle formule anti-rigurgito
Se è intollerante al lattosio
In alcuni casi, il piccolo può manifestare un’intolleranza al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte. In pratica, il bambino potrebbe non essere in grado di assimilare questo zucchero. L’intolleranza al lattosio si manifesta, in genere, con diarrea, perché lo zucchero che non viene digerito fermenta a livello dell’intestino e richiama acqua, provocando questo disturbo. Solo raramente si tratta di un problema serio, dovuto alla mancanza di lattasi, un particolare enzima, cioè una sostanza proteica, che permette di scindere il lattosio in due zuccheri più semplici, il glucosio e il galattosio. In questo caso, il pediatra consiglierà delle formule delattosate, nelle quali il lattosio è già scisso nei due zuccheri e quindi è più facilmente digeribile. Più spesso, invece, l’intolleranza al lattosio è secondaria a un altro disturbo, per esempio un’infezione, che ha momentaneamente alterato la capacità dell’intestino del bambino di digerire il lattosio. Una volta risolto questo disturbo, anche l’intolleranza al lattosio si risolve.
I delottasati
In caso di intolleranza al lattosio, il pediatra prescriverà delle speciali formule di latte (i delottasati) nello quali il lattosio (uno zucchero del latte) è stato scisso in due zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) e quindi reso più digeribile. Il pediatra prescrive, di norma, le formule senza lattosio in caso di intolleranza al lattosio o ad altri zuccheri (il galattosio e il fruttosio) oppure dopo la diarrea: questo disturbo, infatti, di solito riduce la capacità dell’intestino del bebè di assorbire il lattosio.
Se è allergico alle proteine del latte
L’intolleranza o l’allergia al latte potrebbe manifestarsi però anche nei confronti delle proteine in esso contenute. In questo caso, il bambino non può mangiare tutti gli alimenti che contengono le proteine del latte: quindi, non solo il latte, ma anche lo yogurt, i formaggi o i biscotti che lo contengono come ingrediente. L’intolleranza alle proteine del latte può manifestarsi con diversi disturbi, tra cui quelli respiratori, cutanei o intestinali. Vi sono più probabilità che il piccolo sia allergico se lo sono anche il papà o la mamma. Se lo sono entrambi i genitori, le probabilità che il piccolo sviluppi un’allergia alle proteine del latte crescono ulteriormente, indipendentemente dal tipo di allergia sofferta dai genitori (per esempio al polline o a un determinato alimento).
È più frequente di quello che si creda: le intolleranze al latte formulato interessano infatti molti neonati. Nessuna paura: tra i prodotti in commercio, ormai ve ne sono per tutti i tipi di esigenze: dall’intolleranza al lattosio alle formule anti-rigurgito
Se è intollerante al lattosio
In alcuni casi, il piccolo può manifestare un’intolleranza al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte. In pratica, il bambino potrebbe non essere in grado di assimilare questo zucchero. L’intolleranza al lattosio si manifesta, in genere, con diarrea, perché lo zucchero che non viene digerito fermenta a livello dell’intestino e richiama acqua, provocando questo disturbo. Solo raramente si tratta di un problema serio, dovuto alla mancanza di lattasi, un particolare enzima, cioè una sostanza proteica, che permette di scindere il lattosio in due zuccheri più semplici, il glucosio e il galattosio. In questo caso, il pediatra consiglierà delle formule delattosate, nelle quali il lattosio è già scisso nei due zuccheri e quindi è più facilmente digeribile. Più spesso, invece, l’intolleranza al lattosio è secondaria a un altro disturbo, per esempio un’infezione, che ha momentaneamente alterato la capacità dell’intestino del bambino di digerire il lattosio. Una volta risolto questo disturbo, anche l’intolleranza al lattosio si risolve.
I delottasati
In caso di intolleranza al lattosio, il pediatra prescriverà delle speciali formule di latte (i delottasati) nello quali il lattosio (uno zucchero del latte) è stato scisso in due zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) e quindi reso più digeribile. Il pediatra prescrive, di norma, le formule senza lattosio in caso di intolleranza al lattosio o ad altri zuccheri (il galattosio e il fruttosio) oppure dopo la diarrea: questo disturbo, infatti, di solito riduce la capacità dell’intestino del bebè di assorbire il lattosio.
Se è allergico alle proteine del latte
L’intolleranza o l’allergia al latte potrebbe manifestarsi però anche nei confronti delle proteine in esso contenute. In questo caso, il bambino non può mangiare tutti gli alimenti che contengono le proteine del latte: quindi, non solo il latte, ma anche lo yogurt, i formaggi o i biscotti che lo contengono come ingrediente. L’intolleranza alle proteine del latte può manifestarsi con diversi disturbi, tra cui quelli respiratori, cutanei o intestinali. Vi sono più probabilità che il piccolo sia allergico se lo sono anche il papà o la mamma. Se lo sono entrambi i genitori, le probabilità che il piccolo sviluppi un’allergia alle proteine del latte crescono ulteriormente, indipendentemente dal tipo di allergia sofferta dai genitori (per esempio al polline o a un determinato alimento).
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Re: Allattamento
Gli idrolisati
Queste formule (dette anche “HA”) vengono utilizzate in caso di allergia alle proteine del latte vaccino (cioè di mucca). Nelle formule idrolisate le proteine del latte vaccino sono state frammentate e quindi rese meno allergizzanti, pur senza essere state modificate nella loro quantità (in gergo tecnico “idrolizzate”). È noto, infatti, che una proteina ridotta in tanti frammenti ha minori probabilità di conservare intatte quelle parti che scatenano più spesso reazioni allergiche. Esistono, poi, gli “idrolisati spinti”, cioè latti in cui le proteine sono state ulteriormente frammentate. Si impiegano nei casi di diarrea intrattabile in altro modo, di seria intolleranza alle proteine del latte e anche nella rialimentazione dopo la diarrea.
Il latte di soia
Non contiene le proteine del latte (cioè quelle “responsabili” dell’allergia) ma proteine vegetali ed è stato adeguatamente trattato. La presenza nel latte di soia di particolari fibre (fitati) può, però, limitare l’assorbimento di alcuni nutrienti e in particolare del calcio, anche perché manca il lattosio, un elemento che facilita invece l’assorbimento di questo minerale. Il latte di soia si presenta in polvere, esattamente come gli altri tipi di latte, e può essere del tipo 1, adatto fino al quarto-quinto mese, o del tipo 2, adatto al proseguimento fino al compimento dell’anno di età.
Se soffre di rigurgito
Ci sono bambini che soffrono tanto di rigurgito, al punto da mettere a rischio l’assorbimento dei nutrienti e la loro crescita equilibrata.
I latti AR
Per i lattanti che presentano frequenti episodi di rigurgito esistono particolari formule contrassegnate dalla sigla “AR”. Questi latti hanno una maggior consistenza grazie all’aggiunta di farina di carruba o di altri ispessenti; con questo tipo di latte gli episodi di rigurgito, se non proprio eliminati, vengono perlomeno ridotti.
Queste formule (dette anche “HA”) vengono utilizzate in caso di allergia alle proteine del latte vaccino (cioè di mucca). Nelle formule idrolisate le proteine del latte vaccino sono state frammentate e quindi rese meno allergizzanti, pur senza essere state modificate nella loro quantità (in gergo tecnico “idrolizzate”). È noto, infatti, che una proteina ridotta in tanti frammenti ha minori probabilità di conservare intatte quelle parti che scatenano più spesso reazioni allergiche. Esistono, poi, gli “idrolisati spinti”, cioè latti in cui le proteine sono state ulteriormente frammentate. Si impiegano nei casi di diarrea intrattabile in altro modo, di seria intolleranza alle proteine del latte e anche nella rialimentazione dopo la diarrea.
Il latte di soia
Non contiene le proteine del latte (cioè quelle “responsabili” dell’allergia) ma proteine vegetali ed è stato adeguatamente trattato. La presenza nel latte di soia di particolari fibre (fitati) può, però, limitare l’assorbimento di alcuni nutrienti e in particolare del calcio, anche perché manca il lattosio, un elemento che facilita invece l’assorbimento di questo minerale. Il latte di soia si presenta in polvere, esattamente come gli altri tipi di latte, e può essere del tipo 1, adatto fino al quarto-quinto mese, o del tipo 2, adatto al proseguimento fino al compimento dell’anno di età.
Se soffre di rigurgito
Ci sono bambini che soffrono tanto di rigurgito, al punto da mettere a rischio l’assorbimento dei nutrienti e la loro crescita equilibrata.
I latti AR
Per i lattanti che presentano frequenti episodi di rigurgito esistono particolari formule contrassegnate dalla sigla “AR”. Questi latti hanno una maggior consistenza grazie all’aggiunta di farina di carruba o di altri ispessenti; con questo tipo di latte gli episodi di rigurgito, se non proprio eliminati, vengono perlomeno ridotti.
Re: Allattamento
Biberon per l’allattamento neonato
Si tratta di un oggetto molto utile fin dai primi giorni di vita del piccolo e anche durante lo svezzamento. Per poter essere sempre adeguato alle varie età del piccolo, si modifica nelle sue parti. Vediamo come
Per i neonati
Quando non è possibile allattare il bebè al seno bisogna ricorrere al latte formulato. È necessario usare i biberon appositamente studiati per il neonato, in quanto hanno caratteristiche particolari:
la tettarella ampia: la base della tettarella studiata per i neonati ha un ampio appoggio labiale, poiché deve simulare il capezzolo materno, rendendo la suzione il più possibile naturale. Il piccolo appoggia così le labbra su un’ampia superficie, come fa al seno, quando prende in bocca non solo il capezzolo, ma anche l’areola.
la valvola anticolica: nella tettarella per i neonati, in genere, vi è una valvola che consente all’aria di entrare quando il piccolo succhia, garantendo un corretto e costante flusso di latte. In mancanza di questa speciale valvola, il liquido nella tettarella fa fatica a uscire e il bebè può ingurgitare molta aria mentre succhia. Tutto ciò può provocare singhiozzi, rigurgiti e coliche gassose. In alcuni modelli la valvola anticolica può essere posta anche sul fondo della bottiglia del biberon, per impedire la formazione di bolle d’aria che il bebè potrebbe ingurgitare.
la forma: alcune bottiglie hanno una forma angolata di 30 gradi, per garantire il riempimento costante della tettarella, riducendo la quantità di aria che il piccolo potrebbe ingoiare. Anche i biberon dalla base larga e dalla forma bassa favoriscono il corretto flusso di latte nella tettarella.
Per i più grandicelli
Con il passare dei mesi, in particolare dallo svezzamento, le esigenze nutrizionali del piccolo cambiano e quindi anche il biberon deve adeguarsi a questa nuova fase. Con il biberon si iniziano a offrirgli, per esempio, i succhi di frutta e il latte con i biscotti. Inoltre, il bimbo potenzia la capacità di afferrare e manipolare gli oggetti, per cui il biberon, se dotato di una forma particolare, può diventare un gioco divertente da tenere in mano. È importante quindi che abbia:
Si tratta di un oggetto molto utile fin dai primi giorni di vita del piccolo e anche durante lo svezzamento. Per poter essere sempre adeguato alle varie età del piccolo, si modifica nelle sue parti. Vediamo come
Per i neonati
Quando non è possibile allattare il bebè al seno bisogna ricorrere al latte formulato. È necessario usare i biberon appositamente studiati per il neonato, in quanto hanno caratteristiche particolari:
la tettarella ampia: la base della tettarella studiata per i neonati ha un ampio appoggio labiale, poiché deve simulare il capezzolo materno, rendendo la suzione il più possibile naturale. Il piccolo appoggia così le labbra su un’ampia superficie, come fa al seno, quando prende in bocca non solo il capezzolo, ma anche l’areola.
la valvola anticolica: nella tettarella per i neonati, in genere, vi è una valvola che consente all’aria di entrare quando il piccolo succhia, garantendo un corretto e costante flusso di latte. In mancanza di questa speciale valvola, il liquido nella tettarella fa fatica a uscire e il bebè può ingurgitare molta aria mentre succhia. Tutto ciò può provocare singhiozzi, rigurgiti e coliche gassose. In alcuni modelli la valvola anticolica può essere posta anche sul fondo della bottiglia del biberon, per impedire la formazione di bolle d’aria che il bebè potrebbe ingurgitare.
la forma: alcune bottiglie hanno una forma angolata di 30 gradi, per garantire il riempimento costante della tettarella, riducendo la quantità di aria che il piccolo potrebbe ingoiare. Anche i biberon dalla base larga e dalla forma bassa favoriscono il corretto flusso di latte nella tettarella.
Per i più grandicelli
Con il passare dei mesi, in particolare dallo svezzamento, le esigenze nutrizionali del piccolo cambiano e quindi anche il biberon deve adeguarsi a questa nuova fase. Con il biberon si iniziano a offrirgli, per esempio, i succhi di frutta e il latte con i biscotti. Inoltre, il bimbo potenzia la capacità di afferrare e manipolare gli oggetti, per cui il biberon, se dotato di una forma particolare, può diventare un gioco divertente da tenere in mano. È importante quindi che abbia:
Re: Allattamento
un’impugnatura facile: per far imparare al piccolo come tenere in mano il biberon e, quindi, insegnargli a “mangiare” da solo. A questo scopo il biberon può avere apposite maniglie, cavità ergonomiche o essere “bucato” al centro per permettere al piccolo di infilarvi le manine.
una maggiore capienza: con il trascorrere dei mesi, la quantità di latte e di liquidi assunti dal bimbo aumenta. Il biberon deve avere una capienza maggiore, per assecondare le esigenze nutrizionali del piccolo: sono indicati i biberon da 250 ml in su.
la bottiglia in materiale resistente: proprio perché il piccolo impara a manovrare e a tenere in mano il biberon, è opportuno che esso sia realizzato in policarbonato, cioè una plastica.
Anche la tettarella si trasforma nel tempo
I fori
La dimensione e la quantità dei fori posti sulla tettarella variano in base alla crescita del bambino e alle sue esigenze nutritive. Per ogni fascia d’età, esistono vari tipi di tettarelle, studiate per regolare il flusso di latte e di liquidi:
a un foro stretto: è indicata per i neonati da 0 a 4 mesi circa, che non hanno bisogno di troppo liquido che esca velocemente dalla tettarella.
a un foro normale: è adatta per i neonati più golosi, che mangiano voracemente. Infatti, sia la quantità del latte sia la velocità del flusso che esce da questo tipo di tettarella è più consistente.
a tre fori: è indicata dopo i quattro mesi di vita, quando il flusso di latte deve essere più rapido per soddisfare la fame del bebè.
con un taglietto o una stellina: è adatta per i bimbi più grandi, perché questo tipo di tettarella consente il passaggio di cibi più consistenti, come latte e biscotti o i succhi di frutta.
Il materiale
in caucciù: si tratta di una gomma naturale che, grazie alle sue caratteristiche di morbidezza ed elasticità, presenta una capacità di allungamento simile al capezzolo materno durante la poppata. Inoltre, questo materiale trasmette calore al passaggio del latte e ripropone, quindi, al piccolo sensazioni molto simili a quelle della suzione al seno. Può essere lavato e sterilizzato, anche se si logora facilmente. La tettarella va sostituita una volta che si è deformata. Il caucciù è indicato anche dopo che sono spuntati i dentini.
in silicone: si tratta di un materiale chimico atossico, a base di silicio (una sostanza presente in molti minerali). È indeformabile e non risente delle numerose sterilizzazioni a cui è sottoposto. Il silicone non assorbe acqua, né odori né sapori. Con il tempo, però, tende a lacerarsi facilmente, quindi quando compaiono i primi dentini al bebè occorre sospenderne l’utilizzo.
una maggiore capienza: con il trascorrere dei mesi, la quantità di latte e di liquidi assunti dal bimbo aumenta. Il biberon deve avere una capienza maggiore, per assecondare le esigenze nutrizionali del piccolo: sono indicati i biberon da 250 ml in su.
la bottiglia in materiale resistente: proprio perché il piccolo impara a manovrare e a tenere in mano il biberon, è opportuno che esso sia realizzato in policarbonato, cioè una plastica.
Anche la tettarella si trasforma nel tempo
I fori
La dimensione e la quantità dei fori posti sulla tettarella variano in base alla crescita del bambino e alle sue esigenze nutritive. Per ogni fascia d’età, esistono vari tipi di tettarelle, studiate per regolare il flusso di latte e di liquidi:
a un foro stretto: è indicata per i neonati da 0 a 4 mesi circa, che non hanno bisogno di troppo liquido che esca velocemente dalla tettarella.
a un foro normale: è adatta per i neonati più golosi, che mangiano voracemente. Infatti, sia la quantità del latte sia la velocità del flusso che esce da questo tipo di tettarella è più consistente.
a tre fori: è indicata dopo i quattro mesi di vita, quando il flusso di latte deve essere più rapido per soddisfare la fame del bebè.
con un taglietto o una stellina: è adatta per i bimbi più grandi, perché questo tipo di tettarella consente il passaggio di cibi più consistenti, come latte e biscotti o i succhi di frutta.
Il materiale
in caucciù: si tratta di una gomma naturale che, grazie alle sue caratteristiche di morbidezza ed elasticità, presenta una capacità di allungamento simile al capezzolo materno durante la poppata. Inoltre, questo materiale trasmette calore al passaggio del latte e ripropone, quindi, al piccolo sensazioni molto simili a quelle della suzione al seno. Può essere lavato e sterilizzato, anche se si logora facilmente. La tettarella va sostituita una volta che si è deformata. Il caucciù è indicato anche dopo che sono spuntati i dentini.
in silicone: si tratta di un materiale chimico atossico, a base di silicio (una sostanza presente in molti minerali). È indeformabile e non risente delle numerose sterilizzazioni a cui è sottoposto. Il silicone non assorbe acqua, né odori né sapori. Con il tempo, però, tende a lacerarsi facilmente, quindi quando compaiono i primi dentini al bebè occorre sospenderne l’utilizzo.
Re: Allattamento
Sterilizzare biberon, giochini e altro
Dai primi giorni di vita fino agli 8-12 mesi è importante sterilizzare tutto ciò che il bimbo può portare alla bocca. Il biberon in tutte le sue parti, in particolare, va disinfettato con cura, perché il latte è un terreno di coltura ideale per il proliferare di virus e batteri. Esistono vari metodi, ecco quali sono
Il metodo a freddo
Sterilizzare a freddo significa servirsi di appositi secchielli, da riempire di acqua e disinfettante (liquido o in pastiglie effervescenti). Occorre immergere gli oggetti (biberon, tettarelle o giochini) e attendere circa 30 minuti prima di estrarli con apposite pinze. Non occorre risciacquare, poiché il disinfettante è atossico e sicuro per il bimbi. È un metodo comodo perché non richiede l’uso di gas o elettricità e consente di avere sempre tutto pronto per l’allattamento.
Il metodo a caldo
Con la bollitura
Si possono sterilizzare gli oggetti facendoli bollire per 20 minuti in una pentola con il coperchio chiuso. È il metodo classico usato anche dalle nostre nonne. Per questo tipo di sterilizzazione sono ideali i biberon in vetro, perché resistono meglio alle bolliture. Quelli in plastica alla lunga si opacizzano e i colori perdono brillantezza.
A vapore
Gli apparecchi elettrici sfruttano l’energia del vapore per eliminare i germi. Lo sterilizzatore richiede solo l’inserimento di acqua. Questi accessori sono fatti in modo di sterilizzare contemporaneamente vari biberon completi così da poter eseguire il ciclo non ogni volta che si allatta. Attenzione se si scelgono biberon dalle forme particolari perché potrebbero non starci.
Con il microonde
In uno specifico contenitore con coperchio si inseriscono gli oggetti da sterilizzare e si pone il tutto nel forno a microonde per pochi minuti. A volte è lo stesso contenitore che si usa per la sterilizzazione a freddo. Alcuni marchi di succhietti sono venduti in box sterilizzanti per il microonde. È un metodo molto veloce e pratico, ma occorre avere a disposizione… un microonde.
Dai primi giorni di vita fino agli 8-12 mesi è importante sterilizzare tutto ciò che il bimbo può portare alla bocca. Il biberon in tutte le sue parti, in particolare, va disinfettato con cura, perché il latte è un terreno di coltura ideale per il proliferare di virus e batteri. Esistono vari metodi, ecco quali sono
Il metodo a freddo
Sterilizzare a freddo significa servirsi di appositi secchielli, da riempire di acqua e disinfettante (liquido o in pastiglie effervescenti). Occorre immergere gli oggetti (biberon, tettarelle o giochini) e attendere circa 30 minuti prima di estrarli con apposite pinze. Non occorre risciacquare, poiché il disinfettante è atossico e sicuro per il bimbi. È un metodo comodo perché non richiede l’uso di gas o elettricità e consente di avere sempre tutto pronto per l’allattamento.
Il metodo a caldo
Con la bollitura
Si possono sterilizzare gli oggetti facendoli bollire per 20 minuti in una pentola con il coperchio chiuso. È il metodo classico usato anche dalle nostre nonne. Per questo tipo di sterilizzazione sono ideali i biberon in vetro, perché resistono meglio alle bolliture. Quelli in plastica alla lunga si opacizzano e i colori perdono brillantezza.
A vapore
Gli apparecchi elettrici sfruttano l’energia del vapore per eliminare i germi. Lo sterilizzatore richiede solo l’inserimento di acqua. Questi accessori sono fatti in modo di sterilizzare contemporaneamente vari biberon completi così da poter eseguire il ciclo non ogni volta che si allatta. Attenzione se si scelgono biberon dalle forme particolari perché potrebbero non starci.
Con il microonde
In uno specifico contenitore con coperchio si inseriscono gli oggetti da sterilizzare e si pone il tutto nel forno a microonde per pochi minuti. A volte è lo stesso contenitore che si usa per la sterilizzazione a freddo. Alcuni marchi di succhietti sono venduti in box sterilizzanti per il microonde. È un metodo molto veloce e pratico, ma occorre avere a disposizione… un microonde.
Re: Allattamento
Come si usa il tiralatte?
Questo accessorio è di fondamentale aiuto quando la mamma, per qualsiasi ragione, non può momentaneamente attaccare il bebè direttamente al seno
Il tiralatte è uno strumento che consente alla neomamma di “tirare”, cioè di estrarre, il latte dal seno per offrirlo al bebè nel biberon laddove, per motivi diversi, non fosse possibile attaccare il piccolo direttamente al capezzolo. Di solito si presenta come un contenitore di plastica dotato di una sorta di ventosa da fare aderire all’areola: messo in azione, esso esercita una pressione che provoca l’estroflessione del capezzolo e, di conseguenza, la fuoriuscita di latte secondo un meccanismo di funzionamento del tutto simile a quello stimolato dalla suzione diretta da parte del bambino. Proprio per questo, il suo utilizzo è in grado di indurre e mantenere attiva la produzione di latte da parte della ghiandola mammaria, permettendo di riprendere l’allattamento una volta risolto il problema che ne ha causato la sospensione ed evitando di ricorrere precocemente al latte artificiale.
Utile in diverse situazioni
Uno dei casi più frequenti che rende necessario l’uso del tiralatte è rappresentato dalla nascita prematura del bambino (prima della 37a settimana di gravidanza) che in genere comporta la sua incapacità di attaccarsi al capezzolo della madre nel modo e per il tempo sufficienti a consentirgli di soddisfare i suoi fabbisogni nutritivi. Questo strumento può rivelarsi molto utile anche se si ricomincia a lavorare prima di avere interrotto l’allattamento: “tirandosi” il latte a casa si possono creare delle scorte che la baby-sitter o la nonna offriranno col biberon al piccolo mentre la mamma è fuori casa. La momentanea sospensione delle poppate e il ricorso al tiralatte potrebbero, infine, essere determinati dalla comparsa di alcuni disturbi al seno che proprio l’allattamento naturale tende a stimolare: tra questi rientrano, per esempio, le ragadi, piccole ferite dolorose che si formano sul capezzolo per lo più per effetto di un modo erroneo del bebè di attaccarsi al seno, l’ingorgo mammario, ovvero l’ostruzione dei dotti galattofori (i sottili canali in cui scorre il latte), e la mastite, un’infezione di alcuni dotti galattofori che può anche provocare la formazione di ascessi.
Come si usa
Prima di iniziare l’estrazione del latte è necessario lavare bene le mani e tenere il seno caldo con un impacco o una doccia. Dopo essersi comodamente sedute e avere inumidito il seno passandovi un po’ d’acqua tiepida, applicare la ventosa o imbuto all’areola e iniziare a tirare piano ma con un’intensità man mano crescente. Se il latte non defluisce subito non allarmarsi ma cercare di rimanere rilassate e continuare a tirare. È meglio, comunque, effettuare pompaggi brevi, di massimo 15 minuti, ma frequenti (6-8 volte al giorno): in questo modo, oltre ad evitare di stressare eccessivamente i tessuti del seno, si svuota del tutto il seno e si stimolano l’attività della ghiandola mammaria e la produzione di altro latte. Il latte estratto va versato in appositi contenitori sterilizzati, raffreddato in frigorifero (dove si manterrà perfettamente per le successive 24 ore) e poi riposto in freezer dove conserva intatte le sue proprietà nutritive fino a 2-3 mesi.
Si può scegliere tra diversi modelli
In commercio sono disponibili due diversi tipi di tiralatte
il tiralatte manuale che comprende i modelli “a pompetta” e quelli “a siringa” e risulta più adatto per le mamme che vi ricorrono meno di frequente. Costano dai 15 ai 90 euro.
il tiralatte elettrico in cui il meccanismo è attivato appunto da un dispositivo elettrico. Ve ne sono di modelli portatili, caratterizzati dalle piccole dimensioni e dal fatto di funzionare anche a batteria, il cui costo varia dai 30 ai 200 euro, e di semi-professionali, simili a quelli usati negli ospedali, particolarmente indicati se serve estrarre consistenti quantità di latte (come nel caso di gemelli). Il loro costo si aggira intorno ai 1.000 euro e, quindi, è consigliabile noleggiarli al prezzo medio di 2 euro al giorno, 70 euro al mese.
Questo accessorio è di fondamentale aiuto quando la mamma, per qualsiasi ragione, non può momentaneamente attaccare il bebè direttamente al seno
Il tiralatte è uno strumento che consente alla neomamma di “tirare”, cioè di estrarre, il latte dal seno per offrirlo al bebè nel biberon laddove, per motivi diversi, non fosse possibile attaccare il piccolo direttamente al capezzolo. Di solito si presenta come un contenitore di plastica dotato di una sorta di ventosa da fare aderire all’areola: messo in azione, esso esercita una pressione che provoca l’estroflessione del capezzolo e, di conseguenza, la fuoriuscita di latte secondo un meccanismo di funzionamento del tutto simile a quello stimolato dalla suzione diretta da parte del bambino. Proprio per questo, il suo utilizzo è in grado di indurre e mantenere attiva la produzione di latte da parte della ghiandola mammaria, permettendo di riprendere l’allattamento una volta risolto il problema che ne ha causato la sospensione ed evitando di ricorrere precocemente al latte artificiale.
Utile in diverse situazioni
Uno dei casi più frequenti che rende necessario l’uso del tiralatte è rappresentato dalla nascita prematura del bambino (prima della 37a settimana di gravidanza) che in genere comporta la sua incapacità di attaccarsi al capezzolo della madre nel modo e per il tempo sufficienti a consentirgli di soddisfare i suoi fabbisogni nutritivi. Questo strumento può rivelarsi molto utile anche se si ricomincia a lavorare prima di avere interrotto l’allattamento: “tirandosi” il latte a casa si possono creare delle scorte che la baby-sitter o la nonna offriranno col biberon al piccolo mentre la mamma è fuori casa. La momentanea sospensione delle poppate e il ricorso al tiralatte potrebbero, infine, essere determinati dalla comparsa di alcuni disturbi al seno che proprio l’allattamento naturale tende a stimolare: tra questi rientrano, per esempio, le ragadi, piccole ferite dolorose che si formano sul capezzolo per lo più per effetto di un modo erroneo del bebè di attaccarsi al seno, l’ingorgo mammario, ovvero l’ostruzione dei dotti galattofori (i sottili canali in cui scorre il latte), e la mastite, un’infezione di alcuni dotti galattofori che può anche provocare la formazione di ascessi.
Come si usa
Prima di iniziare l’estrazione del latte è necessario lavare bene le mani e tenere il seno caldo con un impacco o una doccia. Dopo essersi comodamente sedute e avere inumidito il seno passandovi un po’ d’acqua tiepida, applicare la ventosa o imbuto all’areola e iniziare a tirare piano ma con un’intensità man mano crescente. Se il latte non defluisce subito non allarmarsi ma cercare di rimanere rilassate e continuare a tirare. È meglio, comunque, effettuare pompaggi brevi, di massimo 15 minuti, ma frequenti (6-8 volte al giorno): in questo modo, oltre ad evitare di stressare eccessivamente i tessuti del seno, si svuota del tutto il seno e si stimolano l’attività della ghiandola mammaria e la produzione di altro latte. Il latte estratto va versato in appositi contenitori sterilizzati, raffreddato in frigorifero (dove si manterrà perfettamente per le successive 24 ore) e poi riposto in freezer dove conserva intatte le sue proprietà nutritive fino a 2-3 mesi.
Si può scegliere tra diversi modelli
In commercio sono disponibili due diversi tipi di tiralatte
il tiralatte manuale che comprende i modelli “a pompetta” e quelli “a siringa” e risulta più adatto per le mamme che vi ricorrono meno di frequente. Costano dai 15 ai 90 euro.
il tiralatte elettrico in cui il meccanismo è attivato appunto da un dispositivo elettrico. Ve ne sono di modelli portatili, caratterizzati dalle piccole dimensioni e dal fatto di funzionare anche a batteria, il cui costo varia dai 30 ai 200 euro, e di semi-professionali, simili a quelli usati negli ospedali, particolarmente indicati se serve estrarre consistenti quantità di latte (come nel caso di gemelli). Il loro costo si aggira intorno ai 1.000 euro e, quindi, è consigliabile noleggiarli al prezzo medio di 2 euro al giorno, 70 euro al mese.
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Re: Allattamento
Il reggiseno per l’allattamento
Deve avere particolari caratteristiche per poter rispondere al meglio alle esigenze della neomamma alle prese con le poppate del bebè. Ecco quali
Già durante la gravidanza il seno subisce molti cambiamenti per effetto delle modificazioni ormonali e a causa dell’ingrossamento dei dotti galattofori (i canali in cui scorre il latte materno). Dopo la nascita del bebè, invece, il seno è stimolato dall’azione della prolattina (l’ormone della lattazione) e dalla suzione del capezzolo da parte del piccolo: questo determina l’avvio della produzione del latte. In questa fase e durante tutto il periodo dell’allattamento, il seno raggiunge le sue dimensioni massime, aumentando anche di due taglie. Occorre dunque utilizzare biancheria intima specifica, ideale per le nuove forme e per facilitare la nutrizione del bimbo.
Le caratteristiche che deve avere
La taglia: il reggiseno non deve comprimere il seno. Con l’inizio dell’allattamento si assiste a un ulteriore ingrossamento delle mammelle: occorre attendere quindi qualche giorno dopo il parto prima di acquistarne uno.
Il materiale: è meglio che sia realizzato in fibre naturali, come il cotone, per consentire una corretta traspirazione della pelle e mantenere il seno asciutto. Può essere anche in microfibra, un tessuto elastico, leggero e traspirante. Deve essere privo di cuciture o targhette che diano fastidio o irritino la pelle della mamma.
Le coppe: il reggiseno per l’allattamento deve avere le coppe apribili sul davanti per offrire al piccolo il seno quando è l’ora della poppata. La misura delle coppe viene indicata con le lettere dell’alfabeto: una coppa B corrisponde ad un seno normale, mentre una coppa C corrisponde ad una taglia più abbondante.
Le spalline: devono essere larghe e a fascia dorsale alta per sostenere bene il seno senza segnare la pelle. Occorre che siano regolabili in lunghezza, per adattarsi ai cambiamenti del volume del seno.
I vari modelli
I reggiseni da allattamento sono dotati di coppe apribili per la poppata. Questa caratteristica consente di avere un reggiseno dal sostegno confortevole per il seno e pratico per offrire il latte al piccolo.
Con le coppe apribili: il tipico reggiseno da allattamento ha le coppe che si aprono sul davanti, sganciando una chiusura automatica posta sulla spallina. Una volta slacciata la coppa, a seconda dei modelli, il seno può rimanere completamente libero o scoprirsi solo in parte.
A incrocio: vi sono modelli con l’apertura incrociata, trattenuta da due gancetti sotto il seno: sganciando quello di sinistra si apre la coppa destra e viceversa
Con allacciatura sul davanti: esistono modelli con apertura centrale sul davanti, che si allacciano e si slacciano facilmente grazie ad una fascia di velcro o a una fila di gancetti posti in verticale tra i due seni.
In caso di perdite di latte
Tra una poppata e l’altra si possono verificare delle perdite di latte dai capezzoli. Per evitare di bagnare il reggiseno, con il rischio di sporcare i vestiti e per ridurre il rischio di irritazioni alla pelle, esistono dei dischetti assorbi latte. Sono morbidi ed anatomici, invisibili sotto gli abiti, traspiranti e delicati sulla cute. Vanno inseriti direttamente nella coppa del reggiseno, si trovano in farmacia e si gettano dopo l’uso.
Deve avere particolari caratteristiche per poter rispondere al meglio alle esigenze della neomamma alle prese con le poppate del bebè. Ecco quali
Già durante la gravidanza il seno subisce molti cambiamenti per effetto delle modificazioni ormonali e a causa dell’ingrossamento dei dotti galattofori (i canali in cui scorre il latte materno). Dopo la nascita del bebè, invece, il seno è stimolato dall’azione della prolattina (l’ormone della lattazione) e dalla suzione del capezzolo da parte del piccolo: questo determina l’avvio della produzione del latte. In questa fase e durante tutto il periodo dell’allattamento, il seno raggiunge le sue dimensioni massime, aumentando anche di due taglie. Occorre dunque utilizzare biancheria intima specifica, ideale per le nuove forme e per facilitare la nutrizione del bimbo.
Le caratteristiche che deve avere
La taglia: il reggiseno non deve comprimere il seno. Con l’inizio dell’allattamento si assiste a un ulteriore ingrossamento delle mammelle: occorre attendere quindi qualche giorno dopo il parto prima di acquistarne uno.
Il materiale: è meglio che sia realizzato in fibre naturali, come il cotone, per consentire una corretta traspirazione della pelle e mantenere il seno asciutto. Può essere anche in microfibra, un tessuto elastico, leggero e traspirante. Deve essere privo di cuciture o targhette che diano fastidio o irritino la pelle della mamma.
Le coppe: il reggiseno per l’allattamento deve avere le coppe apribili sul davanti per offrire al piccolo il seno quando è l’ora della poppata. La misura delle coppe viene indicata con le lettere dell’alfabeto: una coppa B corrisponde ad un seno normale, mentre una coppa C corrisponde ad una taglia più abbondante.
Le spalline: devono essere larghe e a fascia dorsale alta per sostenere bene il seno senza segnare la pelle. Occorre che siano regolabili in lunghezza, per adattarsi ai cambiamenti del volume del seno.
I vari modelli
I reggiseni da allattamento sono dotati di coppe apribili per la poppata. Questa caratteristica consente di avere un reggiseno dal sostegno confortevole per il seno e pratico per offrire il latte al piccolo.
Con le coppe apribili: il tipico reggiseno da allattamento ha le coppe che si aprono sul davanti, sganciando una chiusura automatica posta sulla spallina. Una volta slacciata la coppa, a seconda dei modelli, il seno può rimanere completamente libero o scoprirsi solo in parte.
A incrocio: vi sono modelli con l’apertura incrociata, trattenuta da due gancetti sotto il seno: sganciando quello di sinistra si apre la coppa destra e viceversa
Con allacciatura sul davanti: esistono modelli con apertura centrale sul davanti, che si allacciano e si slacciano facilmente grazie ad una fascia di velcro o a una fila di gancetti posti in verticale tra i due seni.
In caso di perdite di latte
Tra una poppata e l’altra si possono verificare delle perdite di latte dai capezzoli. Per evitare di bagnare il reggiseno, con il rischio di sporcare i vestiti e per ridurre il rischio di irritazioni alla pelle, esistono dei dischetti assorbi latte. Sono morbidi ed anatomici, invisibili sotto gli abiti, traspiranti e delicati sulla cute. Vanno inseriti direttamente nella coppa del reggiseno, si trovano in farmacia e si gettano dopo l’uso.
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Re: Allattamento
Tiracapezzolo: come si usa
Quando il capezzolo non sporge dalla mammella può creare problemi a chi vuole allattare al seno. Esiste però un piccolo dispositivo che aiuta a estroflettere il capezzolo
Quando il capezzolo è piatto o addirittura retratto, la mamma che desidera allattare al seno si trova di fronte a un impedimento. Si tratta infatti di un difetto anatomico congenito, dovuto perlopiù ai dotti galattofori più corti del normale, che proprio per questo trattengono all’interno il capezzolo. E’ possibile però correggere il problema ricorrendo al tiracapezzoli, un dispositivo medico clinicamente testato che permette di estroflettere progressivamente il capezzolo. Si tratta di un apparecchietto trasparente collegato ermeticamente a una valvola dotata di siringa aspiratrice o a una pompetta, che permette di creare un effetto vuoto in modo da “risucchiare” all’esterno del seno il capezzolo introflesso. Per ottenere una correzione permanente, l’apparecchio va portato per molte ore di fila, durante il giorno o di notte. Di solito i risultati si ottengono dopo un’applicazione continua per un arco di tempo variabile da uno a tre mesi. E’ consigliabile usare il tiracapezzoli prima ancora di rimanere incinta, ma va bene anche nei primi sei mesi di gravidanza, mentre è sconsigliato nell’ultimo trimestre. Il suo utilizzo è possibile anche dopo la nascita del bebè poco prima di ogni poppata per permettere ogni volta al piccolo di attaccarsi al seno.
Quando il capezzolo non sporge dalla mammella può creare problemi a chi vuole allattare al seno. Esiste però un piccolo dispositivo che aiuta a estroflettere il capezzolo
Quando il capezzolo è piatto o addirittura retratto, la mamma che desidera allattare al seno si trova di fronte a un impedimento. Si tratta infatti di un difetto anatomico congenito, dovuto perlopiù ai dotti galattofori più corti del normale, che proprio per questo trattengono all’interno il capezzolo. E’ possibile però correggere il problema ricorrendo al tiracapezzoli, un dispositivo medico clinicamente testato che permette di estroflettere progressivamente il capezzolo. Si tratta di un apparecchietto trasparente collegato ermeticamente a una valvola dotata di siringa aspiratrice o a una pompetta, che permette di creare un effetto vuoto in modo da “risucchiare” all’esterno del seno il capezzolo introflesso. Per ottenere una correzione permanente, l’apparecchio va portato per molte ore di fila, durante il giorno o di notte. Di solito i risultati si ottengono dopo un’applicazione continua per un arco di tempo variabile da uno a tre mesi. E’ consigliabile usare il tiracapezzoli prima ancora di rimanere incinta, ma va bene anche nei primi sei mesi di gravidanza, mentre è sconsigliato nell’ultimo trimestre. Il suo utilizzo è possibile anche dopo la nascita del bebè poco prima di ogni poppata per permettere ogni volta al piccolo di attaccarsi al seno.
Re: Allattamento
Coppette assorbilatte, paracapezzoli e coppe raccoglilatte
Quando si allatta al seno possono capitare piccoli inconvenienti come perdite di latte o irritazioni ai capezzoli. I rimedi tuttavia non mancano
Allattare al seno il proprio bebè è una cosa naturale e dolcissima, ma per diverse mamme può essere anche fonte di imbarazzo e, in alcuni casi, perfino di dolore. Si possono infatti verificare perdite di latte più o meno evidenti con il conseguente disagio di macchiare i vestiti, oppure fastidiose infiammazioni o addirittura dolorose ragadi ai capezzoli. Ma per ogni problema è facile trovare la soluzione su misura: coppette o dischetti assorbilatte, coppe raccoglilatte, paracapezzoli protettivi.
Coppette assorbilatte
Durante l’allattamento può capitare che il seno perda un po’ di latte (la quantità è variabile da donna a donna). Per risolvere il problema evitando l’imbarazzo di bagnare di abiti, vengono in aiuto le apposite coppette (o dischetti) assorbilatte. Non si tratta però di un problema che interessa tutte le donne, quindi, prima di acquistarle, è bene aspettare qualche giorno dopo la montata lattea per vedere che cosa succede. Per soddisfare le esigenze di ogni singola mamma, il mercato offre prodotti differenziati. Le coppette monouso, per esempio, hanno una forma anatomica che si adatta perfettamente al seno e non si sposta grazie alla striscia adesiva che la fissa al reggiseno. L’imbottitura è superassorbente, rivestite da tessuto traspirante che assicura la circolazione dell’aria e non irrita la pelle. Le coppette sono inoltre confezionate singolarmente per assicurare la massina igiene. Alcuni tipi di dischetti hanno il rivestimento in tessuto antibatterico, in modo da proteggere la delicata zona attorno al capezzolo, difendendola da irritazioni e infezioni. Esistono poi anche le coppette assorbilatte lavabili. Realizzate in cotone, sono anatomiche, traspiranti, morbide sulla pelle e lavabili a 40 o anche a 60 gradi.
Coppe raccoglilatte
Sono utili quando la mamma è soggetta a perdite di latte piuttosto abbondanti. Si tratta di coppe in morbido silicone provviste di un piccolo serbatoio (facilmente svuotabile) che raccoglie il latte. Grazie alla sagoma che riprende quella naturale del seno, non si notano sotto gli abiti.
Paracapezzoli
Se i capezzoli sono screpolati, irritati, feriti dalla presenza di dolorose ragadi, la mamma può ricorrere ai paracapezzoli. Prodotti in morbido silicone o in caucciù, aiutato a proteggere le parti più sensibili e permettono di continuare l’allattamento. La loro caratteristica forma a farfalla favorisce l’attaccamento del bambino al seno. I paracapezzoli sono utili anche quando il piccolo ha difficoltà a stringere il capezzolo. Esistono anche paracapezzoli in argento, efficaci nella prevenzione e nella cicatrizzazione dei taglietti e delle ragadi del capezzolo e dell’areola. La purezza dell’argento evita sia il rischio di reazioni allergiche sia l’annerimento dei paracapezzoli e la conseguente comparsa di aloni scuri sul capezzolo. Inoltre, non hanno bisogno di sterilizzazione prima dell’uso.
Quando si allatta al seno possono capitare piccoli inconvenienti come perdite di latte o irritazioni ai capezzoli. I rimedi tuttavia non mancano
Allattare al seno il proprio bebè è una cosa naturale e dolcissima, ma per diverse mamme può essere anche fonte di imbarazzo e, in alcuni casi, perfino di dolore. Si possono infatti verificare perdite di latte più o meno evidenti con il conseguente disagio di macchiare i vestiti, oppure fastidiose infiammazioni o addirittura dolorose ragadi ai capezzoli. Ma per ogni problema è facile trovare la soluzione su misura: coppette o dischetti assorbilatte, coppe raccoglilatte, paracapezzoli protettivi.
Coppette assorbilatte
Durante l’allattamento può capitare che il seno perda un po’ di latte (la quantità è variabile da donna a donna). Per risolvere il problema evitando l’imbarazzo di bagnare di abiti, vengono in aiuto le apposite coppette (o dischetti) assorbilatte. Non si tratta però di un problema che interessa tutte le donne, quindi, prima di acquistarle, è bene aspettare qualche giorno dopo la montata lattea per vedere che cosa succede. Per soddisfare le esigenze di ogni singola mamma, il mercato offre prodotti differenziati. Le coppette monouso, per esempio, hanno una forma anatomica che si adatta perfettamente al seno e non si sposta grazie alla striscia adesiva che la fissa al reggiseno. L’imbottitura è superassorbente, rivestite da tessuto traspirante che assicura la circolazione dell’aria e non irrita la pelle. Le coppette sono inoltre confezionate singolarmente per assicurare la massina igiene. Alcuni tipi di dischetti hanno il rivestimento in tessuto antibatterico, in modo da proteggere la delicata zona attorno al capezzolo, difendendola da irritazioni e infezioni. Esistono poi anche le coppette assorbilatte lavabili. Realizzate in cotone, sono anatomiche, traspiranti, morbide sulla pelle e lavabili a 40 o anche a 60 gradi.
Coppe raccoglilatte
Sono utili quando la mamma è soggetta a perdite di latte piuttosto abbondanti. Si tratta di coppe in morbido silicone provviste di un piccolo serbatoio (facilmente svuotabile) che raccoglie il latte. Grazie alla sagoma che riprende quella naturale del seno, non si notano sotto gli abiti.
Paracapezzoli
Se i capezzoli sono screpolati, irritati, feriti dalla presenza di dolorose ragadi, la mamma può ricorrere ai paracapezzoli. Prodotti in morbido silicone o in caucciù, aiutato a proteggere le parti più sensibili e permettono di continuare l’allattamento. La loro caratteristica forma a farfalla favorisce l’attaccamento del bambino al seno. I paracapezzoli sono utili anche quando il piccolo ha difficoltà a stringere il capezzolo. Esistono anche paracapezzoli in argento, efficaci nella prevenzione e nella cicatrizzazione dei taglietti e delle ragadi del capezzolo e dell’areola. La purezza dell’argento evita sia il rischio di reazioni allergiche sia l’annerimento dei paracapezzoli e la conseguente comparsa di aloni scuri sul capezzolo. Inoltre, non hanno bisogno di sterilizzazione prima dell’uso.