ARTICOLI & NEWS
Re: ARTICOLI & NEWS
La Fondazione inoltre reputa urgenti regole specifiche sulla gestazione per altri, ora vietata dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita in vigore dal 2004, più volte modificata in seguito a sentenze della Consulta e dei Tribunali. E aggiunge: «Al fine di scongiurare rischi di potenziale sfruttamento delle donne andrebbe comunque ammessa solo all’interno del territorio nazionale e qualora non si palesino evidenti condizioni di bisogno economico da parte della madre surrogata».
E il rischio che donare il grembo diventi una forma di mercificazione? Flamigni è aperto: «Il commercio deve essere evitato. Però una donna può essere costretta ad affittare una parte del suo corpo per necessità. Meglio della prostituzione.
Insomma credo che la questione nel complesso debba essere valutata con atteggiamento laico e distaccato».
Veronesi equipara la donazione del grembo a quella di organi da trapianto e sangue e affronta l’aspetto più caldo legato all’attualità della discussione sulla legge per le unioni civili non trattato nel documento: «La maternità surrogata per le coppie gay? Perché no. L’omosessualità è una forma di accoppiamento da riconoscere e se riconosciuta non bisogna sorprendersi che due uomini abbiano desiderio di paternità».
E il rischio che donare il grembo diventi una forma di mercificazione? Flamigni è aperto: «Il commercio deve essere evitato. Però una donna può essere costretta ad affittare una parte del suo corpo per necessità. Meglio della prostituzione.
Insomma credo che la questione nel complesso debba essere valutata con atteggiamento laico e distaccato».
Veronesi equipara la donazione del grembo a quella di organi da trapianto e sangue e affronta l’aspetto più caldo legato all’attualità della discussione sulla legge per le unioni civili non trattato nel documento: «La maternità surrogata per le coppie gay? Perché no. L’omosessualità è una forma di accoppiamento da riconoscere e se riconosciuta non bisogna sorprendersi che due uomini abbiano desiderio di paternità».
Re: ARTICOLI & NEWS
«Noi, madri surrogate, non siamo schiave»
La storia della 38enne canadese Jamie, che ha raccontato come ha aiutato una coppia omosessuale italiana a diventare genitori: «Ho sempre sognato di fare qualcosa per gli altri. Cosa c'è di diverso dalla donazione di organi?»
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«Noi, madri surrogate, non siamo schiave»
La storia della 38enne canadese Jamie, che ha raccontato come ha aiutato una coppia omosessuale italiana a diventare genitori: «Ho sempre sognato di fare qualcosa per gli altri. Cosa c'è di diverso dalla donazione di organi?».
ImmagineSi chiama «maternità surrogata», nella sua accezione più critica «utero in affitto». Permette a una donna di provvedere alla gestazione e al parto per conto di una persona o una coppia sterile, che si occuperà di crescere il nascituro. Gli oppositori la chiamano sfruttamento del corpo, nuova schiavitù femminile, businness. Ultimo l’emendamento all’articolo 5 sulle unioni civli l’ha definita un reato da punire «con la reclusione da sei a dodici anni e con una multa da seicento a un milione di euro». Ma la maternità surrogata, per chi sceglie di diventare ‘madre’ in questo modo, è molto altro. È un atto di amore, di altruismo. Come per Jamie, 38enne canadese, ha raccontato a Vanity Fair la sua storia.
«VOLEVO FARE QUALCOSA PER GLI ALTRI»
Sono sposata da 19 anni e ho tre figli adolescenti», racconta Jamie, «lavoro full time per il governo locale della mia città, Orangevale in California, ho sempre sognato di poter fare qualcosa per gli altri quando ero più giovane e dopo essere diventata madre, ho pensato con consapevolezza alle coppie che non possono avere figli». Jamie, Ferdinando e Andrea sono stati messi in contatto da un’agenzia che si occupa di mettere connettere donne disponibili alla gestazione per altri con coppie che vogliono avere figli. Alla portatrice viene corrisposto un compenso che varia di Paese in Paese. Attraverso una serie di analisi, telefonate, incontri, le persone si conoscono e hanno modo di confrontarsi.
«A VOLTE SERVE L’AIUTO DELLA SCIENZA»
«È come fare nuove amicizie e scoprire ciò che all’altro piace oppure no. Ho coinvolto completamente la mia famiglia, volevo che mio marito fosse consapevole del percorso che avremmo affrontato e ho spiegato ai miei figli che avrei aiutato una coppia a diventare genitori, perché non sempre il corpo di una donna funziona alla perfezione e in altri casi esistono famiglie composte da due mamme o due papà, che si amano profondamente ma hanno bisogno dell’aiuto della scienza e di un’altra donna per avere figli. Era fondamentale, per me, che i miei figli capissero che non stavo dando via i miei bambini», continua il racconto.
TESTIMONE DI NOZZE CON LA DONATRICE DI OVULI
Ma come si affronta una gravidanza sapendo che dopo il parto quel figlio con crescerà con te? «Fin dall’inizio del percorso di gestazione sapevo che quel bambino non sarebbe stato mio figlio. Come portatrice, sei parte fondamentale della gestazione, ti sottoponi a molti controlli medici, puoi esprimere opinioni su tutto ciò che riguarda la gravidanza, per me però il fine ultimo, il desiderio più grande, era vedere il bambino che avevo dentro di me tra le braccia dei suoi papà», ha spiegato ancora Jamie. Subito dopo la nascita di loro figlio Pietro, Andrea e Ferdinando si sono sposati in California. Alle nozze Jamie ha partecipato come testimone insieme alla donatrice degli ovuli che hanno permesso a Pietro di nascere.
«SONO UNA MADRE, NON UNA SCHIAVA»
Le donne che si scelgono di affrotare la maternità surrogata non sono schiave, spiega Jamie. Nè sono complici di un reato. «Se vogliamo che la nostra società migliori dobbiamo amarci e rispettarci a vicenda, comprendendo anche che ci sono famiglie che non posso concepire i figli in maniera naturale, la gestazione per altri può essere una bellissima soluzione, molto più che necessaria. Sono adulta, una madre, una donna in carriera, non sono una schiava. Non c’è niente di diverso dalla donazione degli organi per salvare la vita di qualcuno, in ciò che ho fatto, sono una donna sana che ha scelto di aiutare altri a diventare genitori. Per esserlo non è necessario essere una madre e un padre, possono esistere anche due mamme e due papà».
La storia della 38enne canadese Jamie, che ha raccontato come ha aiutato una coppia omosessuale italiana a diventare genitori: «Ho sempre sognato di fare qualcosa per gli altri. Cosa c'è di diverso dalla donazione di organi?»
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«Noi, madri surrogate, non siamo schiave»
La storia della 38enne canadese Jamie, che ha raccontato come ha aiutato una coppia omosessuale italiana a diventare genitori: «Ho sempre sognato di fare qualcosa per gli altri. Cosa c'è di diverso dalla donazione di organi?».
ImmagineSi chiama «maternità surrogata», nella sua accezione più critica «utero in affitto». Permette a una donna di provvedere alla gestazione e al parto per conto di una persona o una coppia sterile, che si occuperà di crescere il nascituro. Gli oppositori la chiamano sfruttamento del corpo, nuova schiavitù femminile, businness. Ultimo l’emendamento all’articolo 5 sulle unioni civli l’ha definita un reato da punire «con la reclusione da sei a dodici anni e con una multa da seicento a un milione di euro». Ma la maternità surrogata, per chi sceglie di diventare ‘madre’ in questo modo, è molto altro. È un atto di amore, di altruismo. Come per Jamie, 38enne canadese, ha raccontato a Vanity Fair la sua storia.
«VOLEVO FARE QUALCOSA PER GLI ALTRI»
Sono sposata da 19 anni e ho tre figli adolescenti», racconta Jamie, «lavoro full time per il governo locale della mia città, Orangevale in California, ho sempre sognato di poter fare qualcosa per gli altri quando ero più giovane e dopo essere diventata madre, ho pensato con consapevolezza alle coppie che non possono avere figli». Jamie, Ferdinando e Andrea sono stati messi in contatto da un’agenzia che si occupa di mettere connettere donne disponibili alla gestazione per altri con coppie che vogliono avere figli. Alla portatrice viene corrisposto un compenso che varia di Paese in Paese. Attraverso una serie di analisi, telefonate, incontri, le persone si conoscono e hanno modo di confrontarsi.
«A VOLTE SERVE L’AIUTO DELLA SCIENZA»
«È come fare nuove amicizie e scoprire ciò che all’altro piace oppure no. Ho coinvolto completamente la mia famiglia, volevo che mio marito fosse consapevole del percorso che avremmo affrontato e ho spiegato ai miei figli che avrei aiutato una coppia a diventare genitori, perché non sempre il corpo di una donna funziona alla perfezione e in altri casi esistono famiglie composte da due mamme o due papà, che si amano profondamente ma hanno bisogno dell’aiuto della scienza e di un’altra donna per avere figli. Era fondamentale, per me, che i miei figli capissero che non stavo dando via i miei bambini», continua il racconto.
TESTIMONE DI NOZZE CON LA DONATRICE DI OVULI
Ma come si affronta una gravidanza sapendo che dopo il parto quel figlio con crescerà con te? «Fin dall’inizio del percorso di gestazione sapevo che quel bambino non sarebbe stato mio figlio. Come portatrice, sei parte fondamentale della gestazione, ti sottoponi a molti controlli medici, puoi esprimere opinioni su tutto ciò che riguarda la gravidanza, per me però il fine ultimo, il desiderio più grande, era vedere il bambino che avevo dentro di me tra le braccia dei suoi papà», ha spiegato ancora Jamie. Subito dopo la nascita di loro figlio Pietro, Andrea e Ferdinando si sono sposati in California. Alle nozze Jamie ha partecipato come testimone insieme alla donatrice degli ovuli che hanno permesso a Pietro di nascere.
«SONO UNA MADRE, NON UNA SCHIAVA»
Le donne che si scelgono di affrotare la maternità surrogata non sono schiave, spiega Jamie. Nè sono complici di un reato. «Se vogliamo che la nostra società migliori dobbiamo amarci e rispettarci a vicenda, comprendendo anche che ci sono famiglie che non posso concepire i figli in maniera naturale, la gestazione per altri può essere una bellissima soluzione, molto più che necessaria. Sono adulta, una madre, una donna in carriera, non sono una schiava. Non c’è niente di diverso dalla donazione degli organi per salvare la vita di qualcuno, in ciò che ho fatto, sono una donna sana che ha scelto di aiutare altri a diventare genitori. Per esserlo non è necessario essere una madre e un padre, possono esistere anche due mamme e due papà».
Re: ARTICOLI & NEWS
Ddl Cirinnà è civiltà, la strumentalizzazione un danno
Ci auguriamo che il Disegno di Legge Cirinnà, approdato in Senato, venga approvato senza modifiche e inutili strumentalizzazioni al ribasso.
E’ una questione di civiltà. Lo abbiamo sostenuto manifestando sabato scorso in tutte le piazze italiane, convinti come siamo che in discussione non ci sia il ruolo della famiglia, che nessuno tocca. Il punto è altro e si traduce nel dovere di allargare la platea dei diritti alle coppie omosessuali.
Il che comprende anche l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio del partner, come previsto dall’articolo 5.
Siamo in un Paese civile – seppure più volte sanzionato a livello europeo – , lo stesso che ha votato per il divorzio, di cui molti italiani, politici compresi, hanno usufruito. Approvare la legge non significa doverne usufruire, significa non limitare la libertà e i diritti altrui, con particolare riferimento ai più piccoli. Averli a cuore impone di tutelarli, non di alzare inutili e anacronistiche barricate tirando in ballo utero in affitto e madri surrogate. Questa legge è molto semplice e chiara. Complicarla e strumentalizzarla fa danno alla società.
Ci auguriamo che il Disegno di Legge Cirinnà, approdato in Senato, venga approvato senza modifiche e inutili strumentalizzazioni al ribasso.
E’ una questione di civiltà. Lo abbiamo sostenuto manifestando sabato scorso in tutte le piazze italiane, convinti come siamo che in discussione non ci sia il ruolo della famiglia, che nessuno tocca. Il punto è altro e si traduce nel dovere di allargare la platea dei diritti alle coppie omosessuali.
Il che comprende anche l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio del partner, come previsto dall’articolo 5.
Siamo in un Paese civile – seppure più volte sanzionato a livello europeo – , lo stesso che ha votato per il divorzio, di cui molti italiani, politici compresi, hanno usufruito. Approvare la legge non significa doverne usufruire, significa non limitare la libertà e i diritti altrui, con particolare riferimento ai più piccoli. Averli a cuore impone di tutelarli, non di alzare inutili e anacronistiche barricate tirando in ballo utero in affitto e madri surrogate. Questa legge è molto semplice e chiara. Complicarla e strumentalizzarla fa danno alla società.
Re: ARTICOLI & NEWS
La strana alleanza contro la maternità surrogata
Chiara Lalli, bioeticista
È più raro e impopolare, rispetto a qualche anno fa, condannare le unioni civili. Sebbene permangano proteste particolarmente arretrate, la furia si è spostata sulla maternità surrogata. “Gli adulti va bene, ma i figli?”. Schiavitù, sfruttamento, mercificazione, sacralità della madre sono i termini che ricorrono in un dibattito sbilenco e caratterizzato da argomenti emotivi e irrazionali.
La maternità surrogata ha compiuto anche una specie di miracolo: ha messo d’accordo ultraconservatori, prolife, entusiasti o ignari partecipanti al Family day e femministe di tutto il mondo (o almeno alcune di loro). Ieri il comunicato dell’associazione ProVita, “Elisa Gomez: il dramma di una madre surrogata”, e il convegno internazionale per il divieto universale della surrogata, organizzato da alcune associazioni lesbiche e femministe presso l’assemblea nazionale di Parigi, sembravano provenire dallo stesso schieramento. Mano nella mano. Contrari alla surrogata di tutti i paesi, unitevi!
Il comunicato di ProVita sulla conferenza stampa di ieri in senato è perfetto: “Maternità surrogata: voce alle vittime”. Si prende un caso singolo, quello di Elisa Gomez, e lo si rende legge universale.
Accanto a Gomez si elencano parole magiche come “dramma”, “madre” (anche se surrogata – che poi ci sarebbe molto da dire sulla frammentazione della madre e sulla conseguente necessità di intenderci sulle parole che usiamo; la gestazione non è una condizione né sufficiente né necessaria per essere madri), “pittrice, organizzatrice di mostre, terapeuta a fianco di disabili e malati” (perché se faceva la ballerina di lap dance sarebbe stata meno presentabile) e si parla di scelta compiuta per necessità.
Ora, o scegli o sei soggiogato dalla necessità. Ma andiamo avanti.
L’ossessione per la coercizione e l’illusione che sia lo strumento migliore è una malattia recente
Il “dramma senza fine” di Gomez è il suo rimpianto. Dieci anni fa ha fatto da portatrice in una maternità surrogata per una coppia gay. Chissà se il rimpianto sarebbe stato diverso con una coppia etero.
Gomez ora è pentita. Consumata dal rimpianto di quella scelta (per necessità, ribadiamo il nonsense).
È il rischio insito nella possibilità di scegliere: pentirsi. Ma cosa significa questo, al di là della storia singola? Quasi nulla. Soprattutto se si evita con cura di citare quante donne hanno scelto (ripeto, scelto) di offrirsi come portatrici e non si sono pentite.
Come non significa nulla tentare la stessa fallace strategia con l’interruzione volontaria di gravidanza (è l’invenzione della sindrome post abortiva) e come non serve in nessun altro caso.
Se Mario si è sposato liberamente e poi ha divorziato e ora è pentito, sono forse da condannare i matrimoni, i divorzi e la facoltà di scegliere? Se ha fatto amicizia con qualcuno che poi l’ha tradito e derubato, dobbiamo salire su una sedia e declamare: “Non fate amicizia con nessuno perché sarete traditi e derubati!”. Anzi, vietiamolo per legge così stiamo più tranquilli.
L’ossessione per la coercizione e l’illusione che sia lo strumento migliore è una malattia recente. Dopo la faticosa conquista delle libertà, assistiamo a un rinculo di bigottismo e paternalismo e moralismo che nemmeno nel ventennio, spesso da parte di chi gode di quelle libertà (in senso formale e sostanziale, negativo o positivo per dirla con Benjamin Constant). Pensare poi che la coercizione possa risolvere tutte le difficoltà è il risultato di una miopia imbarazzante. Qualcosa non vi piace? Vietiamola! Facciamo moratorie universali! Lanciamo petizioni, tanto basta firmare mica serve capire. Se siamo tanti, allora vuol dire che abbiamo ragione! Nemmeno fosse una riunione di condominio.
Al contrario, è indicibile il pensiero opposto: ho fatto un figlio, faccio la madre e sono pentita
Chiara Lalli, bioeticista
È più raro e impopolare, rispetto a qualche anno fa, condannare le unioni civili. Sebbene permangano proteste particolarmente arretrate, la furia si è spostata sulla maternità surrogata. “Gli adulti va bene, ma i figli?”. Schiavitù, sfruttamento, mercificazione, sacralità della madre sono i termini che ricorrono in un dibattito sbilenco e caratterizzato da argomenti emotivi e irrazionali.
La maternità surrogata ha compiuto anche una specie di miracolo: ha messo d’accordo ultraconservatori, prolife, entusiasti o ignari partecipanti al Family day e femministe di tutto il mondo (o almeno alcune di loro). Ieri il comunicato dell’associazione ProVita, “Elisa Gomez: il dramma di una madre surrogata”, e il convegno internazionale per il divieto universale della surrogata, organizzato da alcune associazioni lesbiche e femministe presso l’assemblea nazionale di Parigi, sembravano provenire dallo stesso schieramento. Mano nella mano. Contrari alla surrogata di tutti i paesi, unitevi!
Il comunicato di ProVita sulla conferenza stampa di ieri in senato è perfetto: “Maternità surrogata: voce alle vittime”. Si prende un caso singolo, quello di Elisa Gomez, e lo si rende legge universale.
Accanto a Gomez si elencano parole magiche come “dramma”, “madre” (anche se surrogata – che poi ci sarebbe molto da dire sulla frammentazione della madre e sulla conseguente necessità di intenderci sulle parole che usiamo; la gestazione non è una condizione né sufficiente né necessaria per essere madri), “pittrice, organizzatrice di mostre, terapeuta a fianco di disabili e malati” (perché se faceva la ballerina di lap dance sarebbe stata meno presentabile) e si parla di scelta compiuta per necessità.
Ora, o scegli o sei soggiogato dalla necessità. Ma andiamo avanti.
L’ossessione per la coercizione e l’illusione che sia lo strumento migliore è una malattia recente
Il “dramma senza fine” di Gomez è il suo rimpianto. Dieci anni fa ha fatto da portatrice in una maternità surrogata per una coppia gay. Chissà se il rimpianto sarebbe stato diverso con una coppia etero.
Gomez ora è pentita. Consumata dal rimpianto di quella scelta (per necessità, ribadiamo il nonsense).
È il rischio insito nella possibilità di scegliere: pentirsi. Ma cosa significa questo, al di là della storia singola? Quasi nulla. Soprattutto se si evita con cura di citare quante donne hanno scelto (ripeto, scelto) di offrirsi come portatrici e non si sono pentite.
Come non significa nulla tentare la stessa fallace strategia con l’interruzione volontaria di gravidanza (è l’invenzione della sindrome post abortiva) e come non serve in nessun altro caso.
Se Mario si è sposato liberamente e poi ha divorziato e ora è pentito, sono forse da condannare i matrimoni, i divorzi e la facoltà di scegliere? Se ha fatto amicizia con qualcuno che poi l’ha tradito e derubato, dobbiamo salire su una sedia e declamare: “Non fate amicizia con nessuno perché sarete traditi e derubati!”. Anzi, vietiamolo per legge così stiamo più tranquilli.
L’ossessione per la coercizione e l’illusione che sia lo strumento migliore è una malattia recente. Dopo la faticosa conquista delle libertà, assistiamo a un rinculo di bigottismo e paternalismo e moralismo che nemmeno nel ventennio, spesso da parte di chi gode di quelle libertà (in senso formale e sostanziale, negativo o positivo per dirla con Benjamin Constant). Pensare poi che la coercizione possa risolvere tutte le difficoltà è il risultato di una miopia imbarazzante. Qualcosa non vi piace? Vietiamola! Facciamo moratorie universali! Lanciamo petizioni, tanto basta firmare mica serve capire. Se siamo tanti, allora vuol dire che abbiamo ragione! Nemmeno fosse una riunione di condominio.
Al contrario, è indicibile il pensiero opposto: ho fatto un figlio, faccio la madre e sono pentita
Re: ARTICOLI & NEWS
L’utero in affitto è anche questione di regole
Nel dibattito sulle unioni civili, attraverso la questione della adozione del figlio del partner, la gestazione per altri (maternità surrogata, sprezzantemente definita «utero in affitto») è utilizzata come spauracchio terrorizzante, come fantasma utile per spaventare e impedire di ragionare. Ma non c’è nulla di cui spaventarsi. Portare avanti una gestazione per conto di un’altra persona è certamente questione di massima delicatezza. Proprio per questo, servirebbero buone regole, capaci di distinguere nettamente tra azioni ispirate da solidarietà e consapevolezza e atti di sfruttamento criminale. Purtroppo, la legislazione italiana, che tutto sembra proibire con la minaccia del carcere fino a due anni di carcere, ha come risultato di condannare alla clandestinità persone che cercano soltanto di concepire con amore un figlio assieme. Sarebbe invece indispensabile determinare in modo preciso alcuni casi in cui la maternità/ gestazione per conto di un’altra persona è consentita, in particolare per coloro che per motivi di salute non possono portare avanti una gravidanza o come nel caso delle coppie dello stesso sesso per la natura specifica.
La determinazione di un rimborso economico, se stabilita, dovrà comunque essere mantenuta sotto la soglia oltre la quale la logica commerciale -pur sempre presente a vario titolo in tutte le pratiche mediche, anche le più intime e vitali, in modo ineliminabile all’interno di un’economia di mercato- non prevalga sulla logica solidale della compensazione tra chi è in grado di accogliere nel proprio grembo una nuova vita e di chi, per motivi di malattia o di conformazione, non lo è più. Nella convinzione che soltanto una limitata e controllata legalizzazione sia adeguata a governare un fenomeno tanto delicato quanto ineliminabile – anche attraverso un’adeguata opera di dialogo e informazione – chiediamo ai Parlamentari italiani di aprire al più presto un dibattito laico sul tema, partendo innanzitutto dai risultati ottenuti e dai limiti riscontrati nei Paesi nei quali la legalizzazione a vario titolo è stata realizzata. I principi che secondo l’associazione Luca Coscioni una buona legge dovrebbe fissare sul tema sono semplici….. (l’articolo continua sul numero in edicola)
Dagli Usa all’India alla Thailandia, i paesi che dicono sì
Ricorrere all’utero in affitto è possibile in vario modo in Europa e nel mondo, si va dalle modalità altruistiche a quelle a pagamento
Il fenomeno della maternità surrogata si pone all’interno della dibattuta e generale questione della procreazione medicalmente assistita, pur non costituendo di per sé alcuna tecnica procreativa: infatti, è l’utilizzo di tali procedure, e, in particolare della inseminazione artificiale eterologa, a rappresentare un mezzo per realizzare le diverse ipotesi di surrogazione materna» sostiene l’avvocato Ida Parisi, che ha studiato per l’associazione Luca Coscioni la normativa internazionale. «Oltre a rappresentare una evidente sfida al concetto di maternità intesa in senso naturale, la surrogazione di maternità – suggerisce Parisi – si può ritenere una sorta di “estensione scientifica” della naturale capacità umana di riprodursi, e si presenta come una forma di etero – integrazione dell’insufficienza biologica ovvero fisica della donna, consistente nell’intervento di una volontaria, la “madre su commissione”, estranea alla coppia, che collabora attivamente alla conclusione del suo progetto procreativo, quasi diventando un tramite meramente fisico, l’ “utero” attraverso il quale consentire alle parti committenti di realizzare il loro sogno di diventare genitori». A livello internazionale quali sono i Paesi che hanno legalizzato la pratica della gestazione per altri?
Nel Regno Unito la maternità surrogata è legale da oltre trent’anni. Nel 2017 o nel 2018 nascerà il primo bambino inglese grazie al trapianto di utero.
In Belgio, Olanda e Danimarca è consentita ma ci deve essere un “legame biologico” fra aspiranti genitori e il bambino. La gestante può cambiare idea e non è costretta a dare il neonato alla coppia.
In Grecia la materità surrogata è legale quando la donna che desidera essere madre è impossibilitata a portare avanti una gravidanza. La gestante può ricevere solo un rimborso spese. Gestante e aspiranti genitori devono essere entrambi residenti in Grecia.
In Russia, Ucraina e Bielorussia la gestazione per altri è consentita: le donne ricevono un compenso per la gravidanza. Dopo il parto rinunciano al bambino e gli aspiranti genitori vengono registrati come i legittimi genitori sul certificato di nascita. Possono accedervi solo le coppie eterosessuali sposate e le donne single.
Negli Stati Uniti la situazione cambia da Stato a Stato. In sette Stati è possibile sia nella forma altruistica sia in quella a pagamento, in altri è consentita solo l’altruistica, in altri è vietata. Negli Stati in cui è legale, anche per le coppie gay, ci sono agenzie specializzate che cercano la gestante e seguono tutte le procedure legali e mediche.
In Canada la maternità surrogata è consentita solo nella forma altruistica.
In India è legale, le gestanti sottoscrivono, prima della nascita, un contratto dove rinunciano ai bambini.
In Thailandia, che per anni è stata meta privilegiata per la maternità surrogata, ora questa pratica è consentita solo se la coppia è sposata e uno dei due è thailandese.
Nel dibattito sulle unioni civili, attraverso la questione della adozione del figlio del partner, la gestazione per altri (maternità surrogata, sprezzantemente definita «utero in affitto») è utilizzata come spauracchio terrorizzante, come fantasma utile per spaventare e impedire di ragionare. Ma non c’è nulla di cui spaventarsi. Portare avanti una gestazione per conto di un’altra persona è certamente questione di massima delicatezza. Proprio per questo, servirebbero buone regole, capaci di distinguere nettamente tra azioni ispirate da solidarietà e consapevolezza e atti di sfruttamento criminale. Purtroppo, la legislazione italiana, che tutto sembra proibire con la minaccia del carcere fino a due anni di carcere, ha come risultato di condannare alla clandestinità persone che cercano soltanto di concepire con amore un figlio assieme. Sarebbe invece indispensabile determinare in modo preciso alcuni casi in cui la maternità/ gestazione per conto di un’altra persona è consentita, in particolare per coloro che per motivi di salute non possono portare avanti una gravidanza o come nel caso delle coppie dello stesso sesso per la natura specifica.
La determinazione di un rimborso economico, se stabilita, dovrà comunque essere mantenuta sotto la soglia oltre la quale la logica commerciale -pur sempre presente a vario titolo in tutte le pratiche mediche, anche le più intime e vitali, in modo ineliminabile all’interno di un’economia di mercato- non prevalga sulla logica solidale della compensazione tra chi è in grado di accogliere nel proprio grembo una nuova vita e di chi, per motivi di malattia o di conformazione, non lo è più. Nella convinzione che soltanto una limitata e controllata legalizzazione sia adeguata a governare un fenomeno tanto delicato quanto ineliminabile – anche attraverso un’adeguata opera di dialogo e informazione – chiediamo ai Parlamentari italiani di aprire al più presto un dibattito laico sul tema, partendo innanzitutto dai risultati ottenuti e dai limiti riscontrati nei Paesi nei quali la legalizzazione a vario titolo è stata realizzata. I principi che secondo l’associazione Luca Coscioni una buona legge dovrebbe fissare sul tema sono semplici….. (l’articolo continua sul numero in edicola)
Dagli Usa all’India alla Thailandia, i paesi che dicono sì
Ricorrere all’utero in affitto è possibile in vario modo in Europa e nel mondo, si va dalle modalità altruistiche a quelle a pagamento
Il fenomeno della maternità surrogata si pone all’interno della dibattuta e generale questione della procreazione medicalmente assistita, pur non costituendo di per sé alcuna tecnica procreativa: infatti, è l’utilizzo di tali procedure, e, in particolare della inseminazione artificiale eterologa, a rappresentare un mezzo per realizzare le diverse ipotesi di surrogazione materna» sostiene l’avvocato Ida Parisi, che ha studiato per l’associazione Luca Coscioni la normativa internazionale. «Oltre a rappresentare una evidente sfida al concetto di maternità intesa in senso naturale, la surrogazione di maternità – suggerisce Parisi – si può ritenere una sorta di “estensione scientifica” della naturale capacità umana di riprodursi, e si presenta come una forma di etero – integrazione dell’insufficienza biologica ovvero fisica della donna, consistente nell’intervento di una volontaria, la “madre su commissione”, estranea alla coppia, che collabora attivamente alla conclusione del suo progetto procreativo, quasi diventando un tramite meramente fisico, l’ “utero” attraverso il quale consentire alle parti committenti di realizzare il loro sogno di diventare genitori». A livello internazionale quali sono i Paesi che hanno legalizzato la pratica della gestazione per altri?
Nel Regno Unito la maternità surrogata è legale da oltre trent’anni. Nel 2017 o nel 2018 nascerà il primo bambino inglese grazie al trapianto di utero.
In Belgio, Olanda e Danimarca è consentita ma ci deve essere un “legame biologico” fra aspiranti genitori e il bambino. La gestante può cambiare idea e non è costretta a dare il neonato alla coppia.
In Grecia la materità surrogata è legale quando la donna che desidera essere madre è impossibilitata a portare avanti una gravidanza. La gestante può ricevere solo un rimborso spese. Gestante e aspiranti genitori devono essere entrambi residenti in Grecia.
In Russia, Ucraina e Bielorussia la gestazione per altri è consentita: le donne ricevono un compenso per la gravidanza. Dopo il parto rinunciano al bambino e gli aspiranti genitori vengono registrati come i legittimi genitori sul certificato di nascita. Possono accedervi solo le coppie eterosessuali sposate e le donne single.
Negli Stati Uniti la situazione cambia da Stato a Stato. In sette Stati è possibile sia nella forma altruistica sia in quella a pagamento, in altri è consentita solo l’altruistica, in altri è vietata. Negli Stati in cui è legale, anche per le coppie gay, ci sono agenzie specializzate che cercano la gestante e seguono tutte le procedure legali e mediche.
In Canada la maternità surrogata è consentita solo nella forma altruistica.
In India è legale, le gestanti sottoscrivono, prima della nascita, un contratto dove rinunciano ai bambini.
In Thailandia, che per anni è stata meta privilegiata per la maternità surrogata, ora questa pratica è consentita solo se la coppia è sposata e uno dei due è thailandese.
Re: ARTICOLI & NEWS
Leggere le testimonianze di queste donne che si prestano a fare da surrogate fa capite quanto siamo arretrati! E pensare che ancora fanno dibattiti sull omodessualita! Altro che paese all avanguardia!
Re: ARTICOLI & NEWS
Nati con l'utero in affitto restano con i genitori
Il tribunale lascia i gemellini alla coppia di Lucca che era tornata da Kiev con i bambini. Lei sarà la "madre sociale"m lui è il padre biologico
LUCCA — Erano partiti per l'Ucraina senza figli e sono tronati con ben due gemelli insieme al certificato di nascita ma all'aeroporto di Fiumicino la coppia di Lucca è stata bloccata. Dopo le indagini della polizia di frontiera era emerso che i bimbi erano nati con una maternità "surrogata". A quel punto la procura aveva proposto l'adozione dei gemellino. Ma è stata completamente diversa la decisione del tribunale dei minori di Firenze: l'uomo era davvero il padre biologico dei gemelli e quindi alla moglie è stata riconosciuta la maternità "sociale".
Il tribunale lascia i gemellini alla coppia di Lucca che era tornata da Kiev con i bambini. Lei sarà la "madre sociale"m lui è il padre biologico
LUCCA — Erano partiti per l'Ucraina senza figli e sono tronati con ben due gemelli insieme al certificato di nascita ma all'aeroporto di Fiumicino la coppia di Lucca è stata bloccata. Dopo le indagini della polizia di frontiera era emerso che i bimbi erano nati con una maternità "surrogata". A quel punto la procura aveva proposto l'adozione dei gemellino. Ma è stata completamente diversa la decisione del tribunale dei minori di Firenze: l'uomo era davvero il padre biologico dei gemelli e quindi alla moglie è stata riconosciuta la maternità "sociale".
Re: ARTICOLI & NEWS
Utero in affitto, le storie di 2 donne coinvolte nella maternità surrogata
Maternità surrogata, utero in affitto, gestazione per altri: tre definizioni che raccontano una modalità per diventare genitori a cui in questi anni molte coppie italiane hanno fatto ricorso, nei paesi in cui questa pratica è legale (per esempio Stati Uniti e Olanda). Se ne parla in questi giorni - a sproposito - nell'ambito dell'aspro dibattito sul Disegno di Legge Cirinnà, in votazione al Senato. A sproposito perché la Cirinnà riguarda le Unioni Civili, e diritti che persino l'Unione Europea ci ha richiesto di regolamentare. Ma non riguarda certo l'utero in affitto, pratica vietata in Italia dalla Legge 40 sulla riproduzione assistita. Qualche mese fa su questo tema Marie Claire ha intervistato una donna che ha sperimentato in prima persona tutte le difficoltà emotive, oltre che legali, che il ricorso alla maternità surrogata comporta. E poi ha voluto dare anche voce a una madre "per altri", una surrogata. Ecco le 2 storie.
1. La storia di una donna che ha fatto ricorso all'utero in affitto
«Che bella bambina. è sua figlia, signora?». Era bastata la domanda di un funzionario aeroportuale a tagliarmi il respiro. L’attacco di panico che ero riuscita in qualche modo a domare durante il volo di rientro da Kiev era lì, pronto a scatenarsi. Poi un’occhiata alla lunga fila era bastato a convincerlo: ci aveva fatto passare senza insistere. Certo che era nostra figlia, Francesca. Figlia di una maternità inseguita per 15 anni a costo di cure dolorose, tentativi estenuanti col calendario alla mano, aborti ripetuti che ti si conficcano nel cuore oltre che nella carne, nell’attesa che un miracolo della provetta esaudisca le tue preghiere.
Una figlia che a 43 anni suonati io e mio marito non saremmo mai riusciti ad avere senza l’aiuto di Ljudmila, la giovane donna che ha portato in grembo la nostra bimba per nove mesi e l’ha partorita. Per definire ragazze come lei qualcuno usa parole tipo madre surrogata, utero in affitto, come se dietro a quegli organi non ci fossero volti, persone, storie. La legge italiana ricorre ai divieti. Io riesco solo a pensare all’enorme dono che questa ragazza ci ha fatto: 26 anni, già mamma di Vlady, sposata con un impiegato, Ljudmila ha scelto di affrontare questa esperienza per regalare al suo piccolo un po’ di sicurezza in più. Il compenso per questi nove mesi (circa 20mila euro) lo destinerà all’acquisto di un monolocale da intestare a lui. Una scelta che pare sia abbastanza comune tra le giovani ucraine, reclutate in gran numero dalle cliniche di Kiev, che mi ha ricordato quello che un tempo da noi succedeva con le balie. Del nostro incontro, poco prima del parto, conservo emozioni che non è facile descrivere: impacciate dalla babele linguistica (c’era anche un’interprete), ci siamo guardate come se ci riconoscessimo e abbracciate a lungo, commosse e un po’ confuse.
Poi lei mi ha preso la mano e l’ha appoggiata sul pancione dove stava crescendo Francesca, concepita con uno dei miei ovuli e col seme di mio marito: la figlia che io non avevo potuto portare in grembo, per colpa di un intervento all’utero finito male, molti anni prima. A Ljudmila avrei voluto raccontare di come mi sono sentita quando abbiamo ricevuto la prima ecografia con il profilo della piccola in chiaroscuro. Della notte in cui mi sono svegliata per quei calci che - contro ogni logica - avevo sentito nella pancia. Delle mie ansie, quando controllavo le temperature di Kiev e mi chiedevo se lei fosse abbastanza coperta, se avesse fatto colazione, se avesse finalmente smesso di andare in bicicletta. Di quanto avevo invidiato le sue nausee, il corpo che cambiava. Di quella fitta di gelosia che non sapevo come scacciare. Ma di quei nove mesi vissuti col pensiero fisso a duemila chilometri di distanza non sono riuscita a dirle nulla. Avevo scritto tutto in una poesia che le ho infilato in tasca. Lei invece ha subito voluto rassicurarmi: “Tranquilla, va tutto bene. Io l’ho fatto per il mio bambino, tu per la tua”.
Era tutto così semplice, visto con i suoi occhi. Nata in una famiglia numerosa, Ljudmila aveva vissuto le mille difficoltà che sette fratelli e magre risorse portano con sé. Per questo aveva giurato a se stessa che il suo bambino sarebbe rimasto figlio unico, anche se la sua nuova famiglia era più che benestante. Aveva amato la maternità. Ma un secondo figlio non voleva allevarlo. Una decisione che non si è incrinata nemmeno per un attimo: due giorni dopo il parto ha firmato al volo gli ultimi documenti con i quali io e mio marito siamo diventati genitori di Francesca a tutti gli effetti, secondo la legge ucraina. Poi ci ha salutato, scappando via con la sorella senza voltarsi: Vlady la stava aspettando. D’improvviso eravamo solo noi tre: una famiglia. Dopo gli ultimi controlli Francesca era stata dimessa e ci eravamo ritrovati con la bimba tra le braccia, travolti dalla felicità ma anche impacciati, frastornati. Grazie a dio l’organizzazione della clinica aveva previsto un paio di settimane di soggiorno in un residence lì vicino, per darci il tempo di imparare a destreggiarci tra poppate e pannolini, fare le ultime visite pediatriche. Di quei giorni ho ricordi magnifici e poco lucidi: l’emozione del primo biberon, lo sguardo da latte - trasognato e appagato - della nostra bambina; il primo cambio incerto, con mille salviette; l’intimità del lettone, la mattina.
Maternità surrogata, utero in affitto, gestazione per altri: tre definizioni che raccontano una modalità per diventare genitori a cui in questi anni molte coppie italiane hanno fatto ricorso, nei paesi in cui questa pratica è legale (per esempio Stati Uniti e Olanda). Se ne parla in questi giorni - a sproposito - nell'ambito dell'aspro dibattito sul Disegno di Legge Cirinnà, in votazione al Senato. A sproposito perché la Cirinnà riguarda le Unioni Civili, e diritti che persino l'Unione Europea ci ha richiesto di regolamentare. Ma non riguarda certo l'utero in affitto, pratica vietata in Italia dalla Legge 40 sulla riproduzione assistita. Qualche mese fa su questo tema Marie Claire ha intervistato una donna che ha sperimentato in prima persona tutte le difficoltà emotive, oltre che legali, che il ricorso alla maternità surrogata comporta. E poi ha voluto dare anche voce a una madre "per altri", una surrogata. Ecco le 2 storie.
1. La storia di una donna che ha fatto ricorso all'utero in affitto
«Che bella bambina. è sua figlia, signora?». Era bastata la domanda di un funzionario aeroportuale a tagliarmi il respiro. L’attacco di panico che ero riuscita in qualche modo a domare durante il volo di rientro da Kiev era lì, pronto a scatenarsi. Poi un’occhiata alla lunga fila era bastato a convincerlo: ci aveva fatto passare senza insistere. Certo che era nostra figlia, Francesca. Figlia di una maternità inseguita per 15 anni a costo di cure dolorose, tentativi estenuanti col calendario alla mano, aborti ripetuti che ti si conficcano nel cuore oltre che nella carne, nell’attesa che un miracolo della provetta esaudisca le tue preghiere.
Una figlia che a 43 anni suonati io e mio marito non saremmo mai riusciti ad avere senza l’aiuto di Ljudmila, la giovane donna che ha portato in grembo la nostra bimba per nove mesi e l’ha partorita. Per definire ragazze come lei qualcuno usa parole tipo madre surrogata, utero in affitto, come se dietro a quegli organi non ci fossero volti, persone, storie. La legge italiana ricorre ai divieti. Io riesco solo a pensare all’enorme dono che questa ragazza ci ha fatto: 26 anni, già mamma di Vlady, sposata con un impiegato, Ljudmila ha scelto di affrontare questa esperienza per regalare al suo piccolo un po’ di sicurezza in più. Il compenso per questi nove mesi (circa 20mila euro) lo destinerà all’acquisto di un monolocale da intestare a lui. Una scelta che pare sia abbastanza comune tra le giovani ucraine, reclutate in gran numero dalle cliniche di Kiev, che mi ha ricordato quello che un tempo da noi succedeva con le balie. Del nostro incontro, poco prima del parto, conservo emozioni che non è facile descrivere: impacciate dalla babele linguistica (c’era anche un’interprete), ci siamo guardate come se ci riconoscessimo e abbracciate a lungo, commosse e un po’ confuse.
Poi lei mi ha preso la mano e l’ha appoggiata sul pancione dove stava crescendo Francesca, concepita con uno dei miei ovuli e col seme di mio marito: la figlia che io non avevo potuto portare in grembo, per colpa di un intervento all’utero finito male, molti anni prima. A Ljudmila avrei voluto raccontare di come mi sono sentita quando abbiamo ricevuto la prima ecografia con il profilo della piccola in chiaroscuro. Della notte in cui mi sono svegliata per quei calci che - contro ogni logica - avevo sentito nella pancia. Delle mie ansie, quando controllavo le temperature di Kiev e mi chiedevo se lei fosse abbastanza coperta, se avesse fatto colazione, se avesse finalmente smesso di andare in bicicletta. Di quanto avevo invidiato le sue nausee, il corpo che cambiava. Di quella fitta di gelosia che non sapevo come scacciare. Ma di quei nove mesi vissuti col pensiero fisso a duemila chilometri di distanza non sono riuscita a dirle nulla. Avevo scritto tutto in una poesia che le ho infilato in tasca. Lei invece ha subito voluto rassicurarmi: “Tranquilla, va tutto bene. Io l’ho fatto per il mio bambino, tu per la tua”.
Era tutto così semplice, visto con i suoi occhi. Nata in una famiglia numerosa, Ljudmila aveva vissuto le mille difficoltà che sette fratelli e magre risorse portano con sé. Per questo aveva giurato a se stessa che il suo bambino sarebbe rimasto figlio unico, anche se la sua nuova famiglia era più che benestante. Aveva amato la maternità. Ma un secondo figlio non voleva allevarlo. Una decisione che non si è incrinata nemmeno per un attimo: due giorni dopo il parto ha firmato al volo gli ultimi documenti con i quali io e mio marito siamo diventati genitori di Francesca a tutti gli effetti, secondo la legge ucraina. Poi ci ha salutato, scappando via con la sorella senza voltarsi: Vlady la stava aspettando. D’improvviso eravamo solo noi tre: una famiglia. Dopo gli ultimi controlli Francesca era stata dimessa e ci eravamo ritrovati con la bimba tra le braccia, travolti dalla felicità ma anche impacciati, frastornati. Grazie a dio l’organizzazione della clinica aveva previsto un paio di settimane di soggiorno in un residence lì vicino, per darci il tempo di imparare a destreggiarci tra poppate e pannolini, fare le ultime visite pediatriche. Di quei giorni ho ricordi magnifici e poco lucidi: l’emozione del primo biberon, lo sguardo da latte - trasognato e appagato - della nostra bambina; il primo cambio incerto, con mille salviette; l’intimità del lettone, la mattina.
Re: ARTICOLI & NEWS
Felicità subito incrinata dai primi contatti con la burocrazia nostrana, al consolato di Kiev, che ci aveva fatto sospirare a lungo la traduzione dell’atto di nascita di Francesca, regolarmente rilasciato dalle autorità locali. Eppure non stavamo facendo nulla di illegale: dopo il disconoscimento firmato da Ljudmila, per la legge ucraina gli unici genitori eravamo io e mio marito. Ma al consolato ci avevano avvertito: il nostro caso sarebbe stato segnalato alle autorità aeroportuali italiane, oltre che al nostro Comune. Ecco perché avevo il cuore in gola all’arrivo a Roma: il mio incubo era quello di essere separati alla dogana, come pare sia capitato ad altre coppie. Le domande di quel funzionario solerte ci avevano fatto sentire ladri di bambini, rapitori di neonati, mentre eravamo semplicemente vittime di una tra le norme più severe dei paesi occidentali: la legge 40.
Io e mio marito non smettiamo di chiedercelo. Come può un legislatore entrare tanto pesantemente in uno degli spazi più intimi e privati della vita di una famiglia? Avremmo preferito mille volte fare tutto alla luce del sole, qui nel nostro paese. Eravamo pronti ad affrontare incontri con psicologi, assistenti sociali, come nel caso dell’adozione. All’espatrio siamo stati costretti. Era il nostro ultimo treno, dopo anni di tentativi. Per fortuna all’anagrafe del nostro Comune (viviamo in Romagna), le cose sono andate meglio. L’atto di nascita è stato trascritto senza obiezioni, e questo ci fa sperare che nessuno voglia rimettere le cose in discussione. Ora che Francesca sta per compiere cinque mesi, i suoi occhi chiari ricordano sempre più quelli del padre, le sue dita lunghe e affusolate quelle della mia famiglia. Non c’è stato neanche un attimo in cui non l’abbia sentita mia figlia, da quando ci hanno mandato i primi test positivi sul sangue di Ljudmila. Nel frattempo le foto sul suo album aumentano. Gli scatti con le sue mille espressioni, le prime pappe, l’incontro con i nonni, i cugini, si aggiungono alle ecografie refertate in lingua ucraina, alle immagini della clinica di Kiev, dei suoi medici, delle sue infermiere, delle altre neofamiglie italiane incontrate nel residence ucraino. Manca solo quella di Ljudmila. I nostri incontri sono stati così brevi che non abbiamo fatto nemmeno uno scatto insieme. Magari proverò a scrivere alla clinica...
Ma non ci saranno misteri, nessuna bugia sulla storia della sua nascita. Vogliamo che Francesca cresca nella consapevolezza di essere una bambina speciale, voluta dalla tenacia e dall’amore grandissimo dei suoi genitori, ma anche dalla generosità di una ragazza lontana, che l’ha ospitata per 9 mesi nella sua pancia accogliente. Appena tornerà la calma in un Paese dai confini e padroni sempre meno certi, torneremo a visitare Kiev con Francesca. Nostra figlia, senza nemmeno un dubbio.
2. La storia di una madre surrogata
Tutto così semplice. A questo punto era forte il bisogno di ascoltare la voce di una donna come Ljudmila, di conoscere i pensieri di chi per nove mesi sente crescere dentro di sè un figlio che non sarà mai suo. E poi c’era la storia di Crystal Kelley, l’americana che due anni fa aveva rifiutato di abortire e ha dato alla luce una bambina gravemente handicappata, contro il volere dei genitori con cui aveva stipulato il ferreo contratto di surrogacy.
“Non potrò mai rinunciare a te”, scriveva Crystal nel blog dedicato a Baby S, appena diventato un libro, Fire Within. Invece non ce l’ha fatta. E ha dato la bimba in adozione.
Insomma, sono faccende che aprono molte crepe emotive, ci siamo dette in redazione. E per capirne di più abbiamo intervistato Jessica, giovane californiana che l’anno scorso ha dato alla luce Baby Lee per conto di una coppia di Hong Kong.
Che emozioni vive una “surrogata” e dove trova la forza?
La triste storia di Baby S. mi aveva fatto riflettere. Non voglio giudicare, ma situazioni così non dovrebbero mai succedere. Sin dall’inizio, quando firmi un contratto di surrogacy, ti insegnano a considerare quel bimbo non tuo. Ho imparato subito a prendere le distanze emotive necessarie. Il fatto di avere già una figlia mi ha facilitato le cose.
Sua figlia le ha mai chiesto perché il fratellino poi non è arrivato?
Quando ero incinta Muriel era troppo piccola per farsi certe domande. Ma ora che il compleanno di Baby Lee si avvicina, abbiamo scelto insieme il biglietto di auguri. Per lei è una specie di cugino lontano, di cui riceviamo regolarmente le foto via mail.
Come è arrivata a questa scelta?
L’assicurazione sanitaria, il rimborso spese, la possibilità di una pausa ti incoraggiano parecchio. Ma è capitato tutto un po’ per caso: lavoro come impiegata per un centro di procreazione assistita dove la surrogacy è sempre più richiesta. E c’era una coppia asiatica che non trovava la persona adatta. Qualcuno mi ha passato la loro domanda (avevo molte delle caratteristiche desiderate). Non me la sono sentita di rifiutare: ho la tendenza a prendermi cura degli altri. E poi mi sentivo una privilegiata, con una figlia tutta mia: ho sempre pensato fosse giusto restituire qualcosa al destino, se è stato buono con te.
Dopo il parto, il distacco è stato difficile?
Con gli ormoni a mille e il baby blues, affrontare quel vuoto è stata dura: mi mancava il pancione, ma anche il supporto discreto dei due genitori, che nelle ultime settimane si erano trasferiti a L.A. Ma appena a casa Muriel mi ha subito travolto: non c’era spazio per la tristezza.
Oggi lo rifarebbe?
Non con una nuova coppia. Ma se i genitori di Baby Lee volessero dargli un fratellino, beh, credo proprio di sì.
Testimonianza raccolta da Anna Alberti.
http://www.marieclaire.it/Attualita/int ... oro-storia
Io e mio marito non smettiamo di chiedercelo. Come può un legislatore entrare tanto pesantemente in uno degli spazi più intimi e privati della vita di una famiglia? Avremmo preferito mille volte fare tutto alla luce del sole, qui nel nostro paese. Eravamo pronti ad affrontare incontri con psicologi, assistenti sociali, come nel caso dell’adozione. All’espatrio siamo stati costretti. Era il nostro ultimo treno, dopo anni di tentativi. Per fortuna all’anagrafe del nostro Comune (viviamo in Romagna), le cose sono andate meglio. L’atto di nascita è stato trascritto senza obiezioni, e questo ci fa sperare che nessuno voglia rimettere le cose in discussione. Ora che Francesca sta per compiere cinque mesi, i suoi occhi chiari ricordano sempre più quelli del padre, le sue dita lunghe e affusolate quelle della mia famiglia. Non c’è stato neanche un attimo in cui non l’abbia sentita mia figlia, da quando ci hanno mandato i primi test positivi sul sangue di Ljudmila. Nel frattempo le foto sul suo album aumentano. Gli scatti con le sue mille espressioni, le prime pappe, l’incontro con i nonni, i cugini, si aggiungono alle ecografie refertate in lingua ucraina, alle immagini della clinica di Kiev, dei suoi medici, delle sue infermiere, delle altre neofamiglie italiane incontrate nel residence ucraino. Manca solo quella di Ljudmila. I nostri incontri sono stati così brevi che non abbiamo fatto nemmeno uno scatto insieme. Magari proverò a scrivere alla clinica...
Ma non ci saranno misteri, nessuna bugia sulla storia della sua nascita. Vogliamo che Francesca cresca nella consapevolezza di essere una bambina speciale, voluta dalla tenacia e dall’amore grandissimo dei suoi genitori, ma anche dalla generosità di una ragazza lontana, che l’ha ospitata per 9 mesi nella sua pancia accogliente. Appena tornerà la calma in un Paese dai confini e padroni sempre meno certi, torneremo a visitare Kiev con Francesca. Nostra figlia, senza nemmeno un dubbio.
2. La storia di una madre surrogata
Tutto così semplice. A questo punto era forte il bisogno di ascoltare la voce di una donna come Ljudmila, di conoscere i pensieri di chi per nove mesi sente crescere dentro di sè un figlio che non sarà mai suo. E poi c’era la storia di Crystal Kelley, l’americana che due anni fa aveva rifiutato di abortire e ha dato alla luce una bambina gravemente handicappata, contro il volere dei genitori con cui aveva stipulato il ferreo contratto di surrogacy.
“Non potrò mai rinunciare a te”, scriveva Crystal nel blog dedicato a Baby S, appena diventato un libro, Fire Within. Invece non ce l’ha fatta. E ha dato la bimba in adozione.
Insomma, sono faccende che aprono molte crepe emotive, ci siamo dette in redazione. E per capirne di più abbiamo intervistato Jessica, giovane californiana che l’anno scorso ha dato alla luce Baby Lee per conto di una coppia di Hong Kong.
Che emozioni vive una “surrogata” e dove trova la forza?
La triste storia di Baby S. mi aveva fatto riflettere. Non voglio giudicare, ma situazioni così non dovrebbero mai succedere. Sin dall’inizio, quando firmi un contratto di surrogacy, ti insegnano a considerare quel bimbo non tuo. Ho imparato subito a prendere le distanze emotive necessarie. Il fatto di avere già una figlia mi ha facilitato le cose.
Sua figlia le ha mai chiesto perché il fratellino poi non è arrivato?
Quando ero incinta Muriel era troppo piccola per farsi certe domande. Ma ora che il compleanno di Baby Lee si avvicina, abbiamo scelto insieme il biglietto di auguri. Per lei è una specie di cugino lontano, di cui riceviamo regolarmente le foto via mail.
Come è arrivata a questa scelta?
L’assicurazione sanitaria, il rimborso spese, la possibilità di una pausa ti incoraggiano parecchio. Ma è capitato tutto un po’ per caso: lavoro come impiegata per un centro di procreazione assistita dove la surrogacy è sempre più richiesta. E c’era una coppia asiatica che non trovava la persona adatta. Qualcuno mi ha passato la loro domanda (avevo molte delle caratteristiche desiderate). Non me la sono sentita di rifiutare: ho la tendenza a prendermi cura degli altri. E poi mi sentivo una privilegiata, con una figlia tutta mia: ho sempre pensato fosse giusto restituire qualcosa al destino, se è stato buono con te.
Dopo il parto, il distacco è stato difficile?
Con gli ormoni a mille e il baby blues, affrontare quel vuoto è stata dura: mi mancava il pancione, ma anche il supporto discreto dei due genitori, che nelle ultime settimane si erano trasferiti a L.A. Ma appena a casa Muriel mi ha subito travolto: non c’era spazio per la tristezza.
Oggi lo rifarebbe?
Non con una nuova coppia. Ma se i genitori di Baby Lee volessero dargli un fratellino, beh, credo proprio di sì.
Testimonianza raccolta da Anna Alberti.
http://www.marieclaire.it/Attualita/int ... oro-storia
Re: ARTICOLI & NEWS
Utero in affitto, coppia assolta
Il desiderio irrinunciabile di essere genitori ha spinto marito e moglie residenti in un Comune della Valle del Seprio, una coppia che non poteva aver più figli in via naturale data l’età non più fertile della donna, alla ricerca di un modo alternativo per procreare. Di qui il ricorso alla maternità surrogata (gestazione per altri), pratica di cui si sta parlando molto in queste settimane di aspro dibattito sul disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, ancora oggi proibita nel Belpaese, ma che altrove è del tutto legale. Come, nel caso di specie, in Ucraina. E, guarda caso, proprio a Kiev sono effettivamente nati oltre quattro anni fa i due fratelli gemelli “figli” della coppia di ultrasessantenni finita sotto processo per false dichiarazioni dopo aver chiesto di trascrivere il loro atto di nascita nell’ufficio di Stato civile del Comune di residenza. Un falso, giudicato per certi versi “innocuo” (per effetto di alcune sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) dal gup varesino Stefano Sala, il quale per altro (dopo aver accertato, grazie alla prova del Dna, che il padre aveva donato il seme, ma poi ci si era avvalsi di un utero in affitto) aveva ritenuto opportuno condannare - al termine di un giudizio con rito abbreviato - ad un anno e sei mesi di reclusione ciascuno i genitori di prole nata attraverso maternità surrogata, poiché avevano ottenuto un’iscrizione anagrafica del tutto difforme dal vero, non avendo rappresentato alle autorità italiane la loro effettiva condizione.
Curiosamente, la sentenza varesina è stata invece “spazzata via” dalla Corte d’Appello di Milano. Attenzione: nella vicenda in questione il falso oggetto del processo non si sarebbe consumato nel momento di formazione dell’atto di nascita (accadimento che segue le norme dello Stato in cui il minore è nato, in questo caso l’Ucraina), ma in un momento successivo, e cioè durante la procedura amministrativa che precede l’assegnazione dello status di genitore in conformità all’ordinamento italiano. Durante questa procedura si sarebbe inserita la condotta della coppia di genitori che avrebbero occultato di proposito il ricorso alla maternità surrogata cercando di far apparire la madre e il padre quale genitore biologico del minore. A fronte dell’appello proposto dal difensore dei due imputati, l’avvocato Marco Natola, ecco ora l’inattesa e, per certi versi, sorprendente sentenza firmata dai giudici della quarta Corte d’Appello di Milano (presidente Paolo Maria Giacardi) con la quale marito e moglie sono stati mandati assolti «perché il fatto non sussiste». Perché questa assoluzione? Difficile fornire una risposta precisa. Di sicuro, bisognerà attendere le motivazioni della Corte d’Appello. Quest’ultima depositerà la sentenza entro un paio di mesi.
Luca Testoni
Il desiderio irrinunciabile di essere genitori ha spinto marito e moglie residenti in un Comune della Valle del Seprio, una coppia che non poteva aver più figli in via naturale data l’età non più fertile della donna, alla ricerca di un modo alternativo per procreare. Di qui il ricorso alla maternità surrogata (gestazione per altri), pratica di cui si sta parlando molto in queste settimane di aspro dibattito sul disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, ancora oggi proibita nel Belpaese, ma che altrove è del tutto legale. Come, nel caso di specie, in Ucraina. E, guarda caso, proprio a Kiev sono effettivamente nati oltre quattro anni fa i due fratelli gemelli “figli” della coppia di ultrasessantenni finita sotto processo per false dichiarazioni dopo aver chiesto di trascrivere il loro atto di nascita nell’ufficio di Stato civile del Comune di residenza. Un falso, giudicato per certi versi “innocuo” (per effetto di alcune sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) dal gup varesino Stefano Sala, il quale per altro (dopo aver accertato, grazie alla prova del Dna, che il padre aveva donato il seme, ma poi ci si era avvalsi di un utero in affitto) aveva ritenuto opportuno condannare - al termine di un giudizio con rito abbreviato - ad un anno e sei mesi di reclusione ciascuno i genitori di prole nata attraverso maternità surrogata, poiché avevano ottenuto un’iscrizione anagrafica del tutto difforme dal vero, non avendo rappresentato alle autorità italiane la loro effettiva condizione.
Curiosamente, la sentenza varesina è stata invece “spazzata via” dalla Corte d’Appello di Milano. Attenzione: nella vicenda in questione il falso oggetto del processo non si sarebbe consumato nel momento di formazione dell’atto di nascita (accadimento che segue le norme dello Stato in cui il minore è nato, in questo caso l’Ucraina), ma in un momento successivo, e cioè durante la procedura amministrativa che precede l’assegnazione dello status di genitore in conformità all’ordinamento italiano. Durante questa procedura si sarebbe inserita la condotta della coppia di genitori che avrebbero occultato di proposito il ricorso alla maternità surrogata cercando di far apparire la madre e il padre quale genitore biologico del minore. A fronte dell’appello proposto dal difensore dei due imputati, l’avvocato Marco Natola, ecco ora l’inattesa e, per certi versi, sorprendente sentenza firmata dai giudici della quarta Corte d’Appello di Milano (presidente Paolo Maria Giacardi) con la quale marito e moglie sono stati mandati assolti «perché il fatto non sussiste». Perché questa assoluzione? Difficile fornire una risposta precisa. Di sicuro, bisognerà attendere le motivazioni della Corte d’Appello. Quest’ultima depositerà la sentenza entro un paio di mesi.
Luca Testoni