ARTICOLI & NEWS
Re: ARTICOLI & NEWS
Fecondazione assistita: in alcune regioni è solo a pagamento
In diverse regioni del sud le coppie che vogliono sottoporsi alla fecondazione assistita sono costrette a pagare di tasca propria
In Italia esistono circa 360 centri pubblici di procreazione medicalmente assistita (Pma). Eppure, in tema di fecondazione assistita non a tutte le coppie sono garantiti gli stessi diritti. A fare la differenza non sono tanto le condizioni di salute o l’età, ma piuttosto la regione di appartenenza. Infatti, in alcune regioni chi intende intraprendere questo percorso deve necessariamente sostenere i costi relativi di tasca propria.
La situazione attuale
Le coppie per cui la fecondazione assistita è disponibile solo a pagamento sono quelle che abitano in Puglia, Calabria, Sicilia e Campania. Infatti, recentemente queste regioni hanno stabilito che i trattamenti di Pma sono troppo costosi per poter essere garantiti tramite il Servizio sanitario nazionale in forma del tutto gratuita o dietro pagamento del ticket. Tutta colpa dei bilanci in rosso e della necessità di effettuare tagli per far quadrare la spesa sanitaria. Di conseguenza, le quattro regioni del Sud hanno deciso che le cure per le coppie con problemi di fertilità sono troppo onerose, per cui non possono più essere garantite. Piuttosto che ridimensionare, altre prestazioni hanno preferito colpire queste.
Anche al Nord ci sono delle criticità
E l’ostacolo non può nemmeno essere aggirato facilmente: infatti, la maggior parte degli aspiranti genitori che si rivolge ad alte regioni per ricevere le cure con il sistema pubblico viene rimbalzato. Del resto, c’è da dire che la situazione, sebbene meno difficoltosa, non è del tutto rosea nemmeno nel resto d’Italia. Per esempio, in Piemonte e Lombardia viene rimborsata solo la fecondazione assistita autologa ma non quella eterologa. Ogni regione dunque ha norme, criteri e condizioni proprie. Ecco perché le coppie con problemi di fertilità che intendono intraprendere questa strada devono informarsi attentamente su ciò che è previsto e con quali costi nei centri pubblici della propria regione.
Non è un illecito
È bene sapere che la fecondazione assistita, per legge, non rientra nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, che stabiliscono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento del ticket. Perlomeno dal punto di vista legislativo, dunque, è del tutto lecito che una regione decida di escluderla dalle prestazioni offerte tramite il Snn. “Continua a esserci una discriminazione economica tra le coppie, la stessa rilevata dalla Corte Costituzionale. Al Sud l’offerta è quasi tutta privata, così si continua ad andare all’estero per l’eterologa e a fare le code nelle altre regioni per l’omologa. Ora lo stop. La Toscana ha detto basta alle prestazioni gratuite per chi arriva da regioni che non rimborsano. E ha ragione, il ministro aveva promesso di mettere la Pma nei livelli di assistenza. Ma nulla è ancora accaduto” ha affermato Maria Paola Costantini, avvocato di tanti aspiranti genitori che a suon di ricorsi hanno contribuito a smantellare la legge 40.
In diverse regioni del sud le coppie che vogliono sottoporsi alla fecondazione assistita sono costrette a pagare di tasca propria
In Italia esistono circa 360 centri pubblici di procreazione medicalmente assistita (Pma). Eppure, in tema di fecondazione assistita non a tutte le coppie sono garantiti gli stessi diritti. A fare la differenza non sono tanto le condizioni di salute o l’età, ma piuttosto la regione di appartenenza. Infatti, in alcune regioni chi intende intraprendere questo percorso deve necessariamente sostenere i costi relativi di tasca propria.
La situazione attuale
Le coppie per cui la fecondazione assistita è disponibile solo a pagamento sono quelle che abitano in Puglia, Calabria, Sicilia e Campania. Infatti, recentemente queste regioni hanno stabilito che i trattamenti di Pma sono troppo costosi per poter essere garantiti tramite il Servizio sanitario nazionale in forma del tutto gratuita o dietro pagamento del ticket. Tutta colpa dei bilanci in rosso e della necessità di effettuare tagli per far quadrare la spesa sanitaria. Di conseguenza, le quattro regioni del Sud hanno deciso che le cure per le coppie con problemi di fertilità sono troppo onerose, per cui non possono più essere garantite. Piuttosto che ridimensionare, altre prestazioni hanno preferito colpire queste.
Anche al Nord ci sono delle criticità
E l’ostacolo non può nemmeno essere aggirato facilmente: infatti, la maggior parte degli aspiranti genitori che si rivolge ad alte regioni per ricevere le cure con il sistema pubblico viene rimbalzato. Del resto, c’è da dire che la situazione, sebbene meno difficoltosa, non è del tutto rosea nemmeno nel resto d’Italia. Per esempio, in Piemonte e Lombardia viene rimborsata solo la fecondazione assistita autologa ma non quella eterologa. Ogni regione dunque ha norme, criteri e condizioni proprie. Ecco perché le coppie con problemi di fertilità che intendono intraprendere questa strada devono informarsi attentamente su ciò che è previsto e con quali costi nei centri pubblici della propria regione.
Non è un illecito
È bene sapere che la fecondazione assistita, per legge, non rientra nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, che stabiliscono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento del ticket. Perlomeno dal punto di vista legislativo, dunque, è del tutto lecito che una regione decida di escluderla dalle prestazioni offerte tramite il Snn. “Continua a esserci una discriminazione economica tra le coppie, la stessa rilevata dalla Corte Costituzionale. Al Sud l’offerta è quasi tutta privata, così si continua ad andare all’estero per l’eterologa e a fare le code nelle altre regioni per l’omologa. Ora lo stop. La Toscana ha detto basta alle prestazioni gratuite per chi arriva da regioni che non rimborsano. E ha ragione, il ministro aveva promesso di mettere la Pma nei livelli di assistenza. Ma nulla è ancora accaduto” ha affermato Maria Paola Costantini, avvocato di tanti aspiranti genitori che a suon di ricorsi hanno contribuito a smantellare la legge 40.
Re: ARTICOLI & NEWS
La ministra Lorenzin vìola la privacy
In questi giorni, come associazione Luca Coscioni insieme ad alcune associazioni di pazienti, abbiamo denunciato l`operato di un Ministro che forse non sa che le sentenze della Corte Costituzionale hanno valore superiore alle leggi che modificano e sono inappellabili. Parliamo di nuovo di legge 40 sulla fecondazione assistita. Sarei felice se potessi dire che il Governo e il Parlamento hanno rimosso gli ultimi divieti che limitano o vietano i diritti di tutti i cittadini, e se potessi affermare che dopo 11 anni ci sono finalmente coppie che, con i loro bambini, sono rispettati come cittadini del nostro Paese. Purtroppo non è così.
Numerose sono state le sentenze della Corte Costituzionale volte a eliminare alcuni degli insensati e discriminanti divieti della legge 40: da quella del 2009 sul divieto di produrre più embrioni e l`obbligo di contemporaneo impianto, alla sentenza del 2014 con cui la Consulta ha cancellato il divieto di applicazione di tecniche con donazione di gameti, precisando che non c`è alcun vuoto normativo e che le tecniche possono essere immediatamente applicate. Ma il ministro della salute Lorenzin cosa fa? Preannuncia un decreto sull`eterologa per ostacolare l`immediata applicabilità della sentenza che però non viene iscritto all`ordine del giorno del Consiglio dei ministri.
Ma ciò non è bastato a fermare il Ministro, che ora ha proposto alla Conferenza Stato – Regioni un regolamento che disciplina la donazione di gameti prevedendo una consulenza genetica scritta obbligatoria (non richiesta negli altri Paesi che pure applicano l`eterologa) con conseguenze pesanti per il sistema di donazione su cui poggia l`eterologa. L`Italia infatti esegue questa tecnica principalmente grazie a gameti importati, ma il nuovo obbligo otterrà l`effetto (voluto) di bloccare le importazioni e ancora una volta vanificare il diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale.
Come se non bastasse, il registro dei donatori – che avrebbe potuto essere istituito presso il Registro della Procreazione medicalmente assistita – è stato invece affidato al Centro Nazionale Trapianti diretto da Nanni Costa, il quale centro, nel richiedere a Centri di Pma i dati dei donatori, ha pensato bene di non rispettare per tre mesi l`obbligo di trattamento dei dati personali sensibili tramite codice criptato, e li ha richiesti via fax «in chiaro» violando l`anonimato dei donatori e permettendo di risalire alle coppie riceventi e ai nati. Nonostante la gravità dell`accaduto e la necessità di ristabilire la credibilità dell`eterologa in Italia, il dr. Nanni Costa responsabile del Cnt non è stato sollevato dall`incarico dal Ministro Lorenzin, la quale, invece di agire come garante dell`accesso sanitario a chi lo necessita, lascia che sia violata la privacy di tante famiglie italiane e crea nuovi ostacoli per la donazione di gameti al fine di reintrodurre divieti che non sono più in vigore, «dimenticando» inoltre, nell`aggiornare le linee guida sulla legge 40, che nel 2015 vi sia stata un altra pronuncia della Corte Costituzionale che apre l`accesso alla fecondazione assistita anche per coppie fertili portatrici di patologie genetiche e nonostante le indicazioni della Corte Costituzionale sull`eterologa ha rinviato ad un regolamento successivo il numero di donazioni di gameti per donatore.
Se il Ministro Lorenzin, che con il suo comportamento spinge di fatto molte persone che non possono avere un figlio a cercare cure all`estero, non vuole rendersi responsabile della violazione delle sentenze della Consulta, deve rimuovere il responsabile della violazione dell`anonimato dei donatori e della privacy delle coppie e dei nati Nanni Costa, e rispettare i diritti dei cittadini, abbandonando la difesa ideologica di divieti incostituzionali.
In questi giorni, come associazione Luca Coscioni insieme ad alcune associazioni di pazienti, abbiamo denunciato l`operato di un Ministro che forse non sa che le sentenze della Corte Costituzionale hanno valore superiore alle leggi che modificano e sono inappellabili. Parliamo di nuovo di legge 40 sulla fecondazione assistita. Sarei felice se potessi dire che il Governo e il Parlamento hanno rimosso gli ultimi divieti che limitano o vietano i diritti di tutti i cittadini, e se potessi affermare che dopo 11 anni ci sono finalmente coppie che, con i loro bambini, sono rispettati come cittadini del nostro Paese. Purtroppo non è così.
Numerose sono state le sentenze della Corte Costituzionale volte a eliminare alcuni degli insensati e discriminanti divieti della legge 40: da quella del 2009 sul divieto di produrre più embrioni e l`obbligo di contemporaneo impianto, alla sentenza del 2014 con cui la Consulta ha cancellato il divieto di applicazione di tecniche con donazione di gameti, precisando che non c`è alcun vuoto normativo e che le tecniche possono essere immediatamente applicate. Ma il ministro della salute Lorenzin cosa fa? Preannuncia un decreto sull`eterologa per ostacolare l`immediata applicabilità della sentenza che però non viene iscritto all`ordine del giorno del Consiglio dei ministri.
Ma ciò non è bastato a fermare il Ministro, che ora ha proposto alla Conferenza Stato – Regioni un regolamento che disciplina la donazione di gameti prevedendo una consulenza genetica scritta obbligatoria (non richiesta negli altri Paesi che pure applicano l`eterologa) con conseguenze pesanti per il sistema di donazione su cui poggia l`eterologa. L`Italia infatti esegue questa tecnica principalmente grazie a gameti importati, ma il nuovo obbligo otterrà l`effetto (voluto) di bloccare le importazioni e ancora una volta vanificare il diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale.
Come se non bastasse, il registro dei donatori – che avrebbe potuto essere istituito presso il Registro della Procreazione medicalmente assistita – è stato invece affidato al Centro Nazionale Trapianti diretto da Nanni Costa, il quale centro, nel richiedere a Centri di Pma i dati dei donatori, ha pensato bene di non rispettare per tre mesi l`obbligo di trattamento dei dati personali sensibili tramite codice criptato, e li ha richiesti via fax «in chiaro» violando l`anonimato dei donatori e permettendo di risalire alle coppie riceventi e ai nati. Nonostante la gravità dell`accaduto e la necessità di ristabilire la credibilità dell`eterologa in Italia, il dr. Nanni Costa responsabile del Cnt non è stato sollevato dall`incarico dal Ministro Lorenzin, la quale, invece di agire come garante dell`accesso sanitario a chi lo necessita, lascia che sia violata la privacy di tante famiglie italiane e crea nuovi ostacoli per la donazione di gameti al fine di reintrodurre divieti che non sono più in vigore, «dimenticando» inoltre, nell`aggiornare le linee guida sulla legge 40, che nel 2015 vi sia stata un altra pronuncia della Corte Costituzionale che apre l`accesso alla fecondazione assistita anche per coppie fertili portatrici di patologie genetiche e nonostante le indicazioni della Corte Costituzionale sull`eterologa ha rinviato ad un regolamento successivo il numero di donazioni di gameti per donatore.
Se il Ministro Lorenzin, che con il suo comportamento spinge di fatto molte persone che non possono avere un figlio a cercare cure all`estero, non vuole rendersi responsabile della violazione delle sentenze della Consulta, deve rimuovere il responsabile della violazione dell`anonimato dei donatori e della privacy delle coppie e dei nati Nanni Costa, e rispettare i diritti dei cittadini, abbandonando la difesa ideologica di divieti incostituzionali.
Re: ARTICOLI & NEWS
Nuovi inutili ostacoli all’eterologa
Un inutile ostacolo alla fecondazione “eterologa”, che configura anche una violazione della privacy. È un coro di dissenso quello che ha accolto la proposta del Ministero della Salute di obbligare i donatori di gameti a sottoporsi a una consulenza genetica scritta. Una procedura lunga e complessa che non è prevista in nessun altro paese al mondo. E che, secondo l’Associazione Luca Coscioni, diverse società scientifiche attive nel campo della procreazione assistita – Cecos, Sifes e Mr, e Sios.E – lungi dal tutelare le coppie di aspiranti genitori, avrebbe come effetto finale quello di aumentando le liste di attesa.
Secondo il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, obbligare chi vuole donare i gameti a effettuare uno “screening genetico di geni autosomici recessivi risultati prevalenti nel contesto etnico del donatore e una valutazione del rischio di trasmissione di patologie ereditarie che risultano presenti nella famiglia del donatore”, servirebbe a garantire una maggior sicurezza per le persone coinvolte nel percorso della fecondazione eterologa. Tuttavia, osservano in un comunicato congiunto Associazione Luca Coscioni, Cecos, Sifes e Mr, e Sios.E – è significativo che nessun altro Paese preveda questo obbligo: “Lo screening eseguito fino ad oggi è più che sufficiente: la consulenza genetica è prevista solo quando l’anamnesi o gli esami rilevino fattori di rischio”. L’obbligo, tra l’altro, creerebbe difficoltà all’utilizzo di gameti da banche estere, che oggi sono la fonte principale di rifornimento per le coppie in lista di attesa. Liste destinate inevitabilmente ad allungarsi. Non solo. L’eterologa avrebbe una spesa aggiuntiva di 2mila euro rispetto ai costi attuali, con una penalizzazione rispetto alle coppie che fanno fecondazione omologa, dove non è prevista alcuna diagnostica di questo livello
Ma soprattutto, l’obbligo di consulenza genetica per i donatori non aumenterebbe la sicurezza dei trattamenti per nessuno dei soggetti coinvolti. Per contro, comporterebbe una gravissima violazione del diritto alla privacy sia del donatore sia dei riceventi. Questo perché lo screening genetico – che per essere completo deve essere eseguito anche sul partner fertile della coppia – può portare alla luce situazioni che una persona in cerca di un figlio non è necessariamente intenzionata a conoscere, come predisposizione a patologie tumorali, neurodegenerative, ecc. “Costringere le persone a eseguire queste analisi costituisce una forma di eugenetica”, concludono le società scientifiche.
Un inutile ostacolo alla fecondazione “eterologa”, che configura anche una violazione della privacy. È un coro di dissenso quello che ha accolto la proposta del Ministero della Salute di obbligare i donatori di gameti a sottoporsi a una consulenza genetica scritta. Una procedura lunga e complessa che non è prevista in nessun altro paese al mondo. E che, secondo l’Associazione Luca Coscioni, diverse società scientifiche attive nel campo della procreazione assistita – Cecos, Sifes e Mr, e Sios.E – lungi dal tutelare le coppie di aspiranti genitori, avrebbe come effetto finale quello di aumentando le liste di attesa.
Secondo il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, obbligare chi vuole donare i gameti a effettuare uno “screening genetico di geni autosomici recessivi risultati prevalenti nel contesto etnico del donatore e una valutazione del rischio di trasmissione di patologie ereditarie che risultano presenti nella famiglia del donatore”, servirebbe a garantire una maggior sicurezza per le persone coinvolte nel percorso della fecondazione eterologa. Tuttavia, osservano in un comunicato congiunto Associazione Luca Coscioni, Cecos, Sifes e Mr, e Sios.E – è significativo che nessun altro Paese preveda questo obbligo: “Lo screening eseguito fino ad oggi è più che sufficiente: la consulenza genetica è prevista solo quando l’anamnesi o gli esami rilevino fattori di rischio”. L’obbligo, tra l’altro, creerebbe difficoltà all’utilizzo di gameti da banche estere, che oggi sono la fonte principale di rifornimento per le coppie in lista di attesa. Liste destinate inevitabilmente ad allungarsi. Non solo. L’eterologa avrebbe una spesa aggiuntiva di 2mila euro rispetto ai costi attuali, con una penalizzazione rispetto alle coppie che fanno fecondazione omologa, dove non è prevista alcuna diagnostica di questo livello
Ma soprattutto, l’obbligo di consulenza genetica per i donatori non aumenterebbe la sicurezza dei trattamenti per nessuno dei soggetti coinvolti. Per contro, comporterebbe una gravissima violazione del diritto alla privacy sia del donatore sia dei riceventi. Questo perché lo screening genetico – che per essere completo deve essere eseguito anche sul partner fertile della coppia – può portare alla luce situazioni che una persona in cerca di un figlio non è necessariamente intenzionata a conoscere, come predisposizione a patologie tumorali, neurodegenerative, ecc. “Costringere le persone a eseguire queste analisi costituisce una forma di eugenetica”, concludono le società scientifiche.
Re: ARTICOLI & NEWS
'Giungla' fecondazione, coppie in tribunale contro le Regioni dove si paga
"In molte Regioni, in attesa dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) nazionali, non si sta facendo nulla per le coppie che soffrono di infertilità o hanno necessità di effettuare la diagnosi pre-impianto . Stiamo ricevendo decine e decine di coppie, fornendo informazioni e assistenza legale perché l'unica soluzione rimane quella di rivolgersi al privato, con costi rilevanti". E molte coppie chiedono di essere rimborsate per quanto hanno dovuto pagare. A spiegarlo all'Adnkronos Salute è Maria Paola Costantini, avvocato e referente Cittadinanzattiva per la Pma .
"In Piemonte e in Veneto, come nel Lazio o in Campania e in Puglia - aggiunge - per le coppie portatrici di gravi malattie genetiche non ci sono strutture pubbliche di riferimento. Per sbloccare questa situazione molte coppie ricorrono in tribunale: una coppia di Venezia, una di Torino e una di Milano hanno cercato invano e sono pendenti i loro ricorsi per avere la diagnosi pre-impianto . Sono poche - prosegue - le Regioni che hanno inserito nel loro sistema sanitario le prestazioni e rimangono in effetti scoperte le regioni del Sud e del Centro, escluse Toscana ed Emilia Romagna".
"La storia più paradossale - racconta - è quella di una coppia calabrese migrata in Versilia perché nessuna struttura pubblica calabrese eroga la fecondazione in vitro. Dopo un primo tentativo andato male, ritentare vuol dire pagare il costo pieno (2.500 euro) perché da novembre nessuna coppia di altre Regioni potrà più ottenere la Pma a carico della Toscana, senza il nulla osta della Regione di appartenenza. Strumento necessario perché molte Regioni non provvedevano alla compensazione delle spese e perché sempre queste Regioni non avevano inserito le prestazioni nel loro sistema sanitario".
"Dal 2014 - ricorda il legale - si aspettano i Lea nazionali e intanto coloro che pagano queste disfunzioni sono le coppie, alcune con problemi gravi e basso reddito".
A novembre, infatti, quella che è stata la Regione apripista sulla Pma e che fino al mese precedente accoglieva migliaia di coppie provenienti da altre Regioni, "si è resa conto di dover intervenire per una questione economica. Ora può accedere alla fecondazione assistita - spiega Costantini - solo chi proviene da una Regione che la prevede nei Lea, oppure in presenza di accordi specifici fra le due Regioni. Ma, ad esempio, nel caso della signora calabrese, a lei converrebbe comunque andare in Toscana, pagando per intero i 2.500 euro previsti (contro un ticket di 500 euro), anziché rivolgersi a una struttura privata".
Ci sono poi altre Regioni "in cui è previsto un 'superticket', come la Sicilia o il Lazio (oltre 2.000 euro)". Per quanto riguarda le prestazioni eseguite all'estero, grazie alla direttiva sull'assistenza transfrontaliera "è possibile farsi rimborsare la fecondazione assistita fatta in Spagna o altrove, ma anche in questo caso solo se si proviene da Regioni che l'hanno inserita nei Lea. Eppure, se la Corte costituzionale ha riconosciuto un diritto a queste coppie, si dovrebbe avere la possibilità di accesso totale a queste tecniche in tutta Italia. E' urgente un intervento", conclude l'avvocato.
"In molte Regioni, in attesa dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) nazionali, non si sta facendo nulla per le coppie che soffrono di infertilità o hanno necessità di effettuare la diagnosi pre-impianto . Stiamo ricevendo decine e decine di coppie, fornendo informazioni e assistenza legale perché l'unica soluzione rimane quella di rivolgersi al privato, con costi rilevanti". E molte coppie chiedono di essere rimborsate per quanto hanno dovuto pagare. A spiegarlo all'Adnkronos Salute è Maria Paola Costantini, avvocato e referente Cittadinanzattiva per la Pma .
"In Piemonte e in Veneto, come nel Lazio o in Campania e in Puglia - aggiunge - per le coppie portatrici di gravi malattie genetiche non ci sono strutture pubbliche di riferimento. Per sbloccare questa situazione molte coppie ricorrono in tribunale: una coppia di Venezia, una di Torino e una di Milano hanno cercato invano e sono pendenti i loro ricorsi per avere la diagnosi pre-impianto . Sono poche - prosegue - le Regioni che hanno inserito nel loro sistema sanitario le prestazioni e rimangono in effetti scoperte le regioni del Sud e del Centro, escluse Toscana ed Emilia Romagna".
"La storia più paradossale - racconta - è quella di una coppia calabrese migrata in Versilia perché nessuna struttura pubblica calabrese eroga la fecondazione in vitro. Dopo un primo tentativo andato male, ritentare vuol dire pagare il costo pieno (2.500 euro) perché da novembre nessuna coppia di altre Regioni potrà più ottenere la Pma a carico della Toscana, senza il nulla osta della Regione di appartenenza. Strumento necessario perché molte Regioni non provvedevano alla compensazione delle spese e perché sempre queste Regioni non avevano inserito le prestazioni nel loro sistema sanitario".
"Dal 2014 - ricorda il legale - si aspettano i Lea nazionali e intanto coloro che pagano queste disfunzioni sono le coppie, alcune con problemi gravi e basso reddito".
A novembre, infatti, quella che è stata la Regione apripista sulla Pma e che fino al mese precedente accoglieva migliaia di coppie provenienti da altre Regioni, "si è resa conto di dover intervenire per una questione economica. Ora può accedere alla fecondazione assistita - spiega Costantini - solo chi proviene da una Regione che la prevede nei Lea, oppure in presenza di accordi specifici fra le due Regioni. Ma, ad esempio, nel caso della signora calabrese, a lei converrebbe comunque andare in Toscana, pagando per intero i 2.500 euro previsti (contro un ticket di 500 euro), anziché rivolgersi a una struttura privata".
Ci sono poi altre Regioni "in cui è previsto un 'superticket', come la Sicilia o il Lazio (oltre 2.000 euro)". Per quanto riguarda le prestazioni eseguite all'estero, grazie alla direttiva sull'assistenza transfrontaliera "è possibile farsi rimborsare la fecondazione assistita fatta in Spagna o altrove, ma anche in questo caso solo se si proviene da Regioni che l'hanno inserita nei Lea. Eppure, se la Corte costituzionale ha riconosciuto un diritto a queste coppie, si dovrebbe avere la possibilità di accesso totale a queste tecniche in tutta Italia. E' urgente un intervento", conclude l'avvocato.
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Fecondazione assistita: quanto bisogna aspettare?
Ecco quali sono le liste d’attesa per accedere alla fecondazione assistita nelle diverse regioni italiane
La regione più virtuosa in assoluto è la Valle D’Aosta. Le situazioni più critiche, invece, si registrano in Calabria e in Veneto. Non è vero, dunque, che tutte le coppie italiane con problemi di fertilità hanno gli stessi diritti. Infatti, i tempi per accedere alla fecondazione assistita cambiano a seconda della regione, con uno scarto che in alcuni casi supera addirittura l’anno e che può pregiudicare seriamente le chance di riuscire a ottenere una gravidanza. È la fotografia che emerge da un’indagine realizzata da un gruppo di studenti della Facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma all’interno dei principali centri di sterilità pubblici in Italia, che aveva l’obiettivo di indagare il livello di assistenza e i tempi di accesso per l’esecuzione di una tecnica di procreazione medicalmente assistita (Pma) di secondo livello nel nostro Paese.
Al Nord si aspettano almeno tre mesi
Per quanto riguarda il Nord, i tempi media di attesa sono di tre mesi per la prima visita e di cinque mesi per essere sottoposti a una delle varie procedure di fecondazione assistita. Le coppie più fortunate sono quelle che decidono di rivolgersi ai centri della Valle D’Aosta: infatti, devono aspettare solo due mesi per la prima visita e nemmeno un giorno per ricevere le cure necessarie. La situazione è decisamente più complicata nel Veneto, dove i tempi si dilatano moltissimo: per la prima visita bisogna attendere 15 mesi. Non è molto virtuosa nemmeno la Liguria, con 12 mesi di lista di attesa.
Al Centro “vince” l’Umbria
Per quanto riguarda il centro Italia, la regione più “veloce” sul fronte della fecondazione assistita è l’Umbria: nell’unico centro pubblico di Pma bisogna attendere solo un mese per essere sottoposti ai controlli iniziali e sei mesi per procedere con le tecniche di procreazione assistita di secondo livello. Bene anche la Toscana, che garantisce la prima visita dopo tre mesi di attesa e che in due centri su tre non ha liste d’attesa per i trattamenti veri e propri. Promossa poi l’Emilia Romagna: ci vogliono soli tre mesi sia per aver accesso alla prima visita sia per iniziare il percorso di cura. Rimandato, invece, il Lazio: è vero che si deve attendere solo un mese per la prima visita, ma poi ne trascorrono 10 prima di iniziare le terapie. Fra l’altro non in tutti i centri pubblici si effettuano le tecniche di secondo livello. Unica eccezione il centro di sterilità dell’ospedale romano Sandro Pertini, dove non ci sono liste di attesa per iniziare le metodiche di secondo livello.
La situazione al Sud
Anche al Sud la situazione è abbastanza eterogenea. In Basilicata la lista di attesa per la prima visita è di due-tre mesi, mentre per l’inizio delle cure è di cinque mesi. In Abruzzo bisogna aspettare rispettivamente due e sette mesi, mentre in Campania quattro e 12 mesi.
Ecco quali sono le liste d’attesa per accedere alla fecondazione assistita nelle diverse regioni italiane
La regione più virtuosa in assoluto è la Valle D’Aosta. Le situazioni più critiche, invece, si registrano in Calabria e in Veneto. Non è vero, dunque, che tutte le coppie italiane con problemi di fertilità hanno gli stessi diritti. Infatti, i tempi per accedere alla fecondazione assistita cambiano a seconda della regione, con uno scarto che in alcuni casi supera addirittura l’anno e che può pregiudicare seriamente le chance di riuscire a ottenere una gravidanza. È la fotografia che emerge da un’indagine realizzata da un gruppo di studenti della Facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma all’interno dei principali centri di sterilità pubblici in Italia, che aveva l’obiettivo di indagare il livello di assistenza e i tempi di accesso per l’esecuzione di una tecnica di procreazione medicalmente assistita (Pma) di secondo livello nel nostro Paese.
Al Nord si aspettano almeno tre mesi
Per quanto riguarda il Nord, i tempi media di attesa sono di tre mesi per la prima visita e di cinque mesi per essere sottoposti a una delle varie procedure di fecondazione assistita. Le coppie più fortunate sono quelle che decidono di rivolgersi ai centri della Valle D’Aosta: infatti, devono aspettare solo due mesi per la prima visita e nemmeno un giorno per ricevere le cure necessarie. La situazione è decisamente più complicata nel Veneto, dove i tempi si dilatano moltissimo: per la prima visita bisogna attendere 15 mesi. Non è molto virtuosa nemmeno la Liguria, con 12 mesi di lista di attesa.
Al Centro “vince” l’Umbria
Per quanto riguarda il centro Italia, la regione più “veloce” sul fronte della fecondazione assistita è l’Umbria: nell’unico centro pubblico di Pma bisogna attendere solo un mese per essere sottoposti ai controlli iniziali e sei mesi per procedere con le tecniche di procreazione assistita di secondo livello. Bene anche la Toscana, che garantisce la prima visita dopo tre mesi di attesa e che in due centri su tre non ha liste d’attesa per i trattamenti veri e propri. Promossa poi l’Emilia Romagna: ci vogliono soli tre mesi sia per aver accesso alla prima visita sia per iniziare il percorso di cura. Rimandato, invece, il Lazio: è vero che si deve attendere solo un mese per la prima visita, ma poi ne trascorrono 10 prima di iniziare le terapie. Fra l’altro non in tutti i centri pubblici si effettuano le tecniche di secondo livello. Unica eccezione il centro di sterilità dell’ospedale romano Sandro Pertini, dove non ci sono liste di attesa per iniziare le metodiche di secondo livello.
La situazione al Sud
Anche al Sud la situazione è abbastanza eterogenea. In Basilicata la lista di attesa per la prima visita è di due-tre mesi, mentre per l’inizio delle cure è di cinque mesi. In Abruzzo bisogna aspettare rispettivamente due e sette mesi, mentre in Campania quattro e 12 mesi.
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Re: ARTICOLI & NEWS
Ovodonazione: utilizzata nel 20% dei casi di infertilità
Una donna su cinque con problemi di fertilità ricorre all’ovodonazione, quando non vi sono altre alternative per l’arrivo di un bimbo
Sono molte e differenti le cause che possono provocare problemi di infertilità in una donna. E oggigiorno sono diverse anche le soluzioni a cui possono ricorrere le donne che desiderano avere un figlio. Sempre più diffusa l’ovodonazione, che secondo i dati svizzeri, riguarda ormai una donna su cinque che ricorre alla procreazione assistita.
Ovulo donato, seme del partner
Secondo le stime effettuate dal Centro di Medicina della riproduzione ProCrea di Lugano tra le pazienti con problemi di infertilità, almeno una su cinque per coronare il sogno di diventare madre ha necessità di fare ricorso all’ovodonazione, ovvero ovuli donati da un’altra donna e fecondati con il seme del proprio partner.
Ultimo atto dopo altri tentativi
Per Cesare Taccani, specialista in Medicina della riproduzione del Centro, non si tratta però di un passaggio così semplice e automatico; molti sono infatti i timori che possono subentrare nella coppia e altrettanti gli ostacoli, in particolare psicologici, da affrontare. L’ovodonazione è avviata soltanto in ultimo, dopo aver fatto una serie di esami approfonditi e dopo aver diagnosticato problemi che non si possono risolvere in modo diverso.
Quando vi si ricorre
Si ricorre a questa soluzione quando la donna attraversa la fase di esaurimento della funzione ovarica, è in menopausa precoce fisiologica oppure in menopausa chirurgica dopo l’asportazione parziale o totale delle ovaie per gravi patologie. Inoltre nei casi di fallimenti ripetuti con le tecniche di procreazione assistita e nelle donne affette da endometriosi avanzata. Anche nei casi in cui la donna sia affetta da malattie genetiche trasmissibili alla prole, si considera l’opportunità o meno di affrontare un percorso con l’ovodonazione per evitare il rischio che i figli possano essere affetti della stessa malattia.
La donatrice deve essere giovane
Le donatrici vengono selezionate in modo accurato e sottoposte ad esami specifici: si tiene in considerazione l’età, in media dovrebbero avere intorno ai 25 anni, si controlla l’anamnesi familiare per verificare la presenza di sindromi ereditarie e la presenza di malattie infettive e genetiche. È al medico che spetta il compito di individuare la donatrice specifica per il singolo caso.
E deve “assomigliare” alla mamma
È importante che tra donatrice e futura mamma ci sia una corrispondenza fisica e ci sia anche un riscontro sotto il profilo del gruppo sanguigno. Una volta individuata la donatrice e prelevati gli ovuli, si procede con la fecondazione con il seme del partner e al trasferimento degli embrioni ottenuti nell’utero dell’aspirante mamma. I tassi di successo sono mediamente più elevati rispetto alle fecondazioni omologhe.
MAMME SEMPRE PIÙ TARDI, ANCHE CON LA PMA
Secondo i dati della relazione del ministero della Salute riguardante la Procreazione mediamente assistita, si conferma l’aumento progressivo delle donne con più di 40 anni, mentre diminuiscono quelle con meno di 34 anni. L’età media delle pazienti che in Italia si sottopongono alla Pma (36,6 anni) è più elevata rispetto a quanto osservato negli altri Paesi europei, mediamente 34,7 anni.
Una donna su cinque con problemi di fertilità ricorre all’ovodonazione, quando non vi sono altre alternative per l’arrivo di un bimbo
Sono molte e differenti le cause che possono provocare problemi di infertilità in una donna. E oggigiorno sono diverse anche le soluzioni a cui possono ricorrere le donne che desiderano avere un figlio. Sempre più diffusa l’ovodonazione, che secondo i dati svizzeri, riguarda ormai una donna su cinque che ricorre alla procreazione assistita.
Ovulo donato, seme del partner
Secondo le stime effettuate dal Centro di Medicina della riproduzione ProCrea di Lugano tra le pazienti con problemi di infertilità, almeno una su cinque per coronare il sogno di diventare madre ha necessità di fare ricorso all’ovodonazione, ovvero ovuli donati da un’altra donna e fecondati con il seme del proprio partner.
Ultimo atto dopo altri tentativi
Per Cesare Taccani, specialista in Medicina della riproduzione del Centro, non si tratta però di un passaggio così semplice e automatico; molti sono infatti i timori che possono subentrare nella coppia e altrettanti gli ostacoli, in particolare psicologici, da affrontare. L’ovodonazione è avviata soltanto in ultimo, dopo aver fatto una serie di esami approfonditi e dopo aver diagnosticato problemi che non si possono risolvere in modo diverso.
Quando vi si ricorre
Si ricorre a questa soluzione quando la donna attraversa la fase di esaurimento della funzione ovarica, è in menopausa precoce fisiologica oppure in menopausa chirurgica dopo l’asportazione parziale o totale delle ovaie per gravi patologie. Inoltre nei casi di fallimenti ripetuti con le tecniche di procreazione assistita e nelle donne affette da endometriosi avanzata. Anche nei casi in cui la donna sia affetta da malattie genetiche trasmissibili alla prole, si considera l’opportunità o meno di affrontare un percorso con l’ovodonazione per evitare il rischio che i figli possano essere affetti della stessa malattia.
La donatrice deve essere giovane
Le donatrici vengono selezionate in modo accurato e sottoposte ad esami specifici: si tiene in considerazione l’età, in media dovrebbero avere intorno ai 25 anni, si controlla l’anamnesi familiare per verificare la presenza di sindromi ereditarie e la presenza di malattie infettive e genetiche. È al medico che spetta il compito di individuare la donatrice specifica per il singolo caso.
E deve “assomigliare” alla mamma
È importante che tra donatrice e futura mamma ci sia una corrispondenza fisica e ci sia anche un riscontro sotto il profilo del gruppo sanguigno. Una volta individuata la donatrice e prelevati gli ovuli, si procede con la fecondazione con il seme del partner e al trasferimento degli embrioni ottenuti nell’utero dell’aspirante mamma. I tassi di successo sono mediamente più elevati rispetto alle fecondazioni omologhe.
MAMME SEMPRE PIÙ TARDI, ANCHE CON LA PMA
Secondo i dati della relazione del ministero della Salute riguardante la Procreazione mediamente assistita, si conferma l’aumento progressivo delle donne con più di 40 anni, mentre diminuiscono quelle con meno di 34 anni. L’età media delle pazienti che in Italia si sottopongono alla Pma (36,6 anni) è più elevata rispetto a quanto osservato negli altri Paesi europei, mediamente 34,7 anni.
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Re: ARTICOLI & NEWS
Il federalismo della fecondazione
Nel nostro Paese le coppie che per diventare genitori hanno bisogno di ricorrere alla fecondazione assistita devono fare i conti con regole e costi diversi da Regione a Regione. Accesso alle prestazioni e spese cambiano infatti da zona a zona, con un profondo divario fra il Sud e il resto d’Italia. La scarsità di centri pubblici o convenzionati - si vedano le grafiche) e le situazioni di deficit sanitario penalizzano soprattutto le coppie meridionali e si traducono in liste di attesa più lunghe, costi più alti e spostamenti obbligati verso le Regioni del Centro-Nord.
Dalla fotografia della situazione emerge un mosaico complesso caratterizzato, da una parte da una forte frammentazione regionale e, dall’altra, dalla progressiva demolizione della legge 40/2004, caduta, verdetto dopo verdetto, sotto i colpi della Corte Costituzionale.
La situazione territoriale
«La discrepanza fra Nord e Sud è notevole», dice Giulia Scaravelli, responsabile del Registro nazionale per la procreazione medicalmente assistita (Pma)dell’Istituto superiore di sanità. «Nel Lazio, in Sicilia, in Campania e in Calabria più dell’80% dei centri è costituito da strutture private non convenzionate, in cui i trattamenti vanno pagati integralmente».
Molte Regioni meridionali sono inoltre soggette a piani di rientro dai deficit sanitari. Una condizione che danneggia in particolar modo le coppie interessate alla fecondazione assistita perché le prestazioni di Pma (procreazione medicalmente assistita, sia omologa che eterologa) ancora non rientrano nei Livelli essenziali di assistenza nazionali (Lea). Si tratta, cioè, di prestazioni aggiuntive che le Autonomie con un piano di rientro non possono finanziare. «Non possiamo aggiungere voci non presenti nei Lea nazionali - spiega Elena Memeo, funzionario della Regione Puglia che si occupa dell’assistenza ospedaliera - e quindi tutti i trattamenti sono a carico degli utenti, anche quelle effettuate nei centri pubblici».
La Puglia è stata anche la prima Regione a decidere di non rimborsare più le prestazioni effettuate in altre Regioni. Una scelta via via seguita anche da altre autonomie meridionali. Oltre ai costi dei trasferimenti le coppie devono quindi farsi carico anche delle spese dei trattamenti. «Essendo a pagamento in Regione - continua Memeo - non era più possibile rimborsare prestazioni fatte altrove».
«È in atto una macroscopica lesione del diritto di uguaglianza rispetto alla stessa prestazione sanitaria, con grave penalizzazione tra Nord e Sud e tra Regione e Regione», accusa Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Anche nel Lazio, Regione non meridionale ma pure in piano di rientro, la situazione è complicata. Un provvedimento in fase di predisposizione dovrebbe prevedere una parziale compartecipazione pubblica alle spese, così come ai rimborsi. Nel frattempo, però, la situazione è alquanto confusa, visto che i pochi centri pubblici autorizzati si regolano in maniera differente e con tariffe diverse.
Nel nostro Paese le coppie che per diventare genitori hanno bisogno di ricorrere alla fecondazione assistita devono fare i conti con regole e costi diversi da Regione a Regione. Accesso alle prestazioni e spese cambiano infatti da zona a zona, con un profondo divario fra il Sud e il resto d’Italia. La scarsità di centri pubblici o convenzionati - si vedano le grafiche) e le situazioni di deficit sanitario penalizzano soprattutto le coppie meridionali e si traducono in liste di attesa più lunghe, costi più alti e spostamenti obbligati verso le Regioni del Centro-Nord.
Dalla fotografia della situazione emerge un mosaico complesso caratterizzato, da una parte da una forte frammentazione regionale e, dall’altra, dalla progressiva demolizione della legge 40/2004, caduta, verdetto dopo verdetto, sotto i colpi della Corte Costituzionale.
La situazione territoriale
«La discrepanza fra Nord e Sud è notevole», dice Giulia Scaravelli, responsabile del Registro nazionale per la procreazione medicalmente assistita (Pma)dell’Istituto superiore di sanità. «Nel Lazio, in Sicilia, in Campania e in Calabria più dell’80% dei centri è costituito da strutture private non convenzionate, in cui i trattamenti vanno pagati integralmente».
Molte Regioni meridionali sono inoltre soggette a piani di rientro dai deficit sanitari. Una condizione che danneggia in particolar modo le coppie interessate alla fecondazione assistita perché le prestazioni di Pma (procreazione medicalmente assistita, sia omologa che eterologa) ancora non rientrano nei Livelli essenziali di assistenza nazionali (Lea). Si tratta, cioè, di prestazioni aggiuntive che le Autonomie con un piano di rientro non possono finanziare. «Non possiamo aggiungere voci non presenti nei Lea nazionali - spiega Elena Memeo, funzionario della Regione Puglia che si occupa dell’assistenza ospedaliera - e quindi tutti i trattamenti sono a carico degli utenti, anche quelle effettuate nei centri pubblici».
La Puglia è stata anche la prima Regione a decidere di non rimborsare più le prestazioni effettuate in altre Regioni. Una scelta via via seguita anche da altre autonomie meridionali. Oltre ai costi dei trasferimenti le coppie devono quindi farsi carico anche delle spese dei trattamenti. «Essendo a pagamento in Regione - continua Memeo - non era più possibile rimborsare prestazioni fatte altrove».
«È in atto una macroscopica lesione del diritto di uguaglianza rispetto alla stessa prestazione sanitaria, con grave penalizzazione tra Nord e Sud e tra Regione e Regione», accusa Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Anche nel Lazio, Regione non meridionale ma pure in piano di rientro, la situazione è complicata. Un provvedimento in fase di predisposizione dovrebbe prevedere una parziale compartecipazione pubblica alle spese, così come ai rimborsi. Nel frattempo, però, la situazione è alquanto confusa, visto che i pochi centri pubblici autorizzati si regolano in maniera differente e con tariffe diverse.
Re: ARTICOLI & NEWS
Tumore al seno, farmaco scongiura il rischio di infertilità
Studio rivela l'efficacia di triptorelina nella preservazione della fertilità
Uno degli aspetti più difficili da gestire di fronte a una diagnosi di tumore al seno è la preoccupazione per il rischio di infertilità connesso con la patologia e con la sua cura. Un farmaco sembra poter risolvere questo problema ridando fiducia alle donne colpite dal cancro. È la triptorelina che, secondo uno studio italiano pubblicato su Jama, preserva la funzione ovarica delle donne sottoposte a chemioterapia.
Lucia Del Mastro, che lavora presso l'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, spiega: «La maggior parte delle giovani donne con carcinoma mammario invasivo sono candidate a ricevere sia chemioterapia sia terapia endocrina, con perdita della funzione ovarica e ridotta fertilità come possibili conseguenze».
I ricercatori hanno randomizzato 281 donne in premenopausa con età media di 39 anni e tumore al seno ad assumere la chemioterapia da sola o in associazione a triptorelina.
«L'incidenza cumulativa di ripresa mestruale a 5 anni è stata del 73% nel gruppo triptorelina e del 64% in quello di controllo, mentre le gravidanze sono state rispettivamente 8 e 3», scrivono gli autori. La sopravvivenza libera da malattia si è attestata all'80,5 per cento nel gruppo triptorelina e all'84 per cento nel gruppo di controllo.
«Lo studio fornisce interessanti informazioni sul follow-up a lungo termine nelle pazienti trattate con triptorelina durante chemioterapia per la prevenzione della menopausa precoce e dei suoi effetti negativi sullo stato di salute», scrive Ann Partridge del Dana-Farber Cancer Institute di Boston in un editoriale di commento. «Anche se questi risultati suggeriscono modesti benefici in termini di prevenzione della sterilità associata alla terapia, gli studi finora svolti riflettono l'importanza emergente di comprendere e migliorare la qualità della vita delle giovani donne con tumore mammario, offrendo loro nuove opzioni di trattamento», conclude la ricercatrice.
La triptorelina è una sostanza che sopprime la produzione di GnRH, l'ormone che regola la sintesi delle gonadotropine, gli ormoni che controllano l'attività delle ovaie.
In Italia, ogni anno, circa 1.500 donne con età inferiore ai 40 anni (4% di tutti i casi) vengono colpite da un cancro alla mammella. Il 33% di loro non ha ancora avuto figli. Purtroppo, i farmaci usati per la chemioterapia compromettono la possibilità di avere una gravidanza nel 60-70% dei casi perché riducono il numero di ovuli (le cellule che devono essere fecondate dagli spermatozoi), provocando una menopausa precoce. In alcune donne, in genere dopo un anno dalla fine delle cure, si ha una ripresa della funzione ovarica, in altre no. Per questo, alle donne giovani sottoposte a chemioterapia per la cura di un tumore al seno che vogliono avere figli, i medici consigliano di congelare gli ovuli prima dell'inizio della terapia per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro. Ora, lo studio italiano apre nuovi scenari.
Studio rivela l'efficacia di triptorelina nella preservazione della fertilità
Uno degli aspetti più difficili da gestire di fronte a una diagnosi di tumore al seno è la preoccupazione per il rischio di infertilità connesso con la patologia e con la sua cura. Un farmaco sembra poter risolvere questo problema ridando fiducia alle donne colpite dal cancro. È la triptorelina che, secondo uno studio italiano pubblicato su Jama, preserva la funzione ovarica delle donne sottoposte a chemioterapia.
Lucia Del Mastro, che lavora presso l'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, spiega: «La maggior parte delle giovani donne con carcinoma mammario invasivo sono candidate a ricevere sia chemioterapia sia terapia endocrina, con perdita della funzione ovarica e ridotta fertilità come possibili conseguenze».
I ricercatori hanno randomizzato 281 donne in premenopausa con età media di 39 anni e tumore al seno ad assumere la chemioterapia da sola o in associazione a triptorelina.
«L'incidenza cumulativa di ripresa mestruale a 5 anni è stata del 73% nel gruppo triptorelina e del 64% in quello di controllo, mentre le gravidanze sono state rispettivamente 8 e 3», scrivono gli autori. La sopravvivenza libera da malattia si è attestata all'80,5 per cento nel gruppo triptorelina e all'84 per cento nel gruppo di controllo.
«Lo studio fornisce interessanti informazioni sul follow-up a lungo termine nelle pazienti trattate con triptorelina durante chemioterapia per la prevenzione della menopausa precoce e dei suoi effetti negativi sullo stato di salute», scrive Ann Partridge del Dana-Farber Cancer Institute di Boston in un editoriale di commento. «Anche se questi risultati suggeriscono modesti benefici in termini di prevenzione della sterilità associata alla terapia, gli studi finora svolti riflettono l'importanza emergente di comprendere e migliorare la qualità della vita delle giovani donne con tumore mammario, offrendo loro nuove opzioni di trattamento», conclude la ricercatrice.
La triptorelina è una sostanza che sopprime la produzione di GnRH, l'ormone che regola la sintesi delle gonadotropine, gli ormoni che controllano l'attività delle ovaie.
In Italia, ogni anno, circa 1.500 donne con età inferiore ai 40 anni (4% di tutti i casi) vengono colpite da un cancro alla mammella. Il 33% di loro non ha ancora avuto figli. Purtroppo, i farmaci usati per la chemioterapia compromettono la possibilità di avere una gravidanza nel 60-70% dei casi perché riducono il numero di ovuli (le cellule che devono essere fecondate dagli spermatozoi), provocando una menopausa precoce. In alcune donne, in genere dopo un anno dalla fine delle cure, si ha una ripresa della funzione ovarica, in altre no. Per questo, alle donne giovani sottoposte a chemioterapia per la cura di un tumore al seno che vogliono avere figli, i medici consigliano di congelare gli ovuli prima dell'inizio della terapia per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro. Ora, lo studio italiano apre nuovi scenari.
Re: ARTICOLI & NEWS
Fecondazione assistita: l’Italia contro la scienza
Parla Ettore Cittadini, pioniere della fecondazione assistita
La legge 40: una delle più grandi vergogne italiane. Con la sua abolizione la ricerca sulla fecondazione assistita può fare grossi passi, ma il “becero oscurantismo” della politica è sempre all'attacco. Parla il medico che nel 1984 fece nascere la prima bimba italiana concepita in vitro
La legge 40: una delle più grandi vergogne italiane. Con la sua abolizione la ricerca sulla fecondazione assistita può fare grossi passi, ma il “becero oscurantismo” della politica è sempre all'attacco. Parla il medico che nel 1984 fece nascere la prima bimba italiana concepita in vitro
fecondazione-assistita-1
di Antonella Sferrazza - 29 gennaio 2016
Riassumere in poche righe la carriera e la personalità di Ettore Cittadini è impresa ardua. Potremmo cominciare col dire che è uno di quei pochi siciliani che è riuscito a porre la Sicilia al centro di una rete di rapporti internazionali, di scambi, di incroci di competenze.
Un siciliano di scoglio e di mare aperto, allo stesso tempo: è sempre rimasto nella sua terra, ma ne ha fatto la base da cui partire per acquisire conoscenze all’estero e riportarle indietro. Medico ginecologo, professore universitario, si è laureato a Palermo per poi specializzarsi a Parigi, nella scuola di Raul Palmer, considerato uno dei più grandi ginecologi al mondo. Ha fatto tappa in diversi Paesi: da Lubiana, dove ha lavorato con il noto chirurgo Franc Novac all’Australia dove ha studiato la tecnica della procreazione medicalmente assistita.
Tecnica che, per primo, ha portato in Italia: è nata a Palermo, alla clinica Candela (tuttora della sua famiglia), nel 1984 la prima bimba fecondata in vitro grazie ad una equipe tutta italiana, la sua. Il giornale L’Ora dedica a questo evento tutta la prima pagina, sottolineando il primato scientifico di una Sicilia su cui nessuno avrebbe scommesso.
fecondazione-assistitaMa non è il primo successo di questo medico dalla personalità vulcanica e generosa. Già prima si era imposto nel panorama scientifico internazionale per avere scritto il primo libro di divulgazione sulla contraccezione in Italia. Il primo ad istituire una banca per la conservazione dello sperma da donatore, il primo a dedicare una monografia alla celioscopia in ginecologia, e poi anche all’endoscopia ginecologica. Testi studiati ovunque: non a caso, è proprio a Palermo che si svolge, nel 1964, il primo congresso di endoscopia al mondo. Poi, tantissime pubblicazioni sulla fertilità e problemi connessi.
Di lui, pochi anni fa, l’ex ministro della Salute Ferruccio Fazio, scrisse che è “un luminare della procreazione in vitro, un grande medico, un sognatore con la testa e le idee nel futuro e i piedi ben piantati nella sua terra siciliana”. Leggere il suo curriculum e le celebrazioni a lui dedicate da grandi medici e scienziati intimidisce un poco. Subito si pensa ad un uomo inavvicinabile. Si scopre, invece, un uomo alla mano, dal tratto umano profondo ed empatico. Con lui parliamo delle legge 40, quel complesso di norme che per più di dieci anni ha impedito alle coppie italiane con problemi di fertilità l’accesso alla procreazione medicalmente assistita e che la Corte Costituzionale ha finito di demolire l’anno scorso. Ma parliamo anche delle prospettive future e di come l’Italia affronti il tema della ricerca scientifica rispetto agli altri Paesi, USA inclusi.
Parla Ettore Cittadini, pioniere della fecondazione assistita
La legge 40: una delle più grandi vergogne italiane. Con la sua abolizione la ricerca sulla fecondazione assistita può fare grossi passi, ma il “becero oscurantismo” della politica è sempre all'attacco. Parla il medico che nel 1984 fece nascere la prima bimba italiana concepita in vitro
La legge 40: una delle più grandi vergogne italiane. Con la sua abolizione la ricerca sulla fecondazione assistita può fare grossi passi, ma il “becero oscurantismo” della politica è sempre all'attacco. Parla il medico che nel 1984 fece nascere la prima bimba italiana concepita in vitro
fecondazione-assistita-1
di Antonella Sferrazza - 29 gennaio 2016
Riassumere in poche righe la carriera e la personalità di Ettore Cittadini è impresa ardua. Potremmo cominciare col dire che è uno di quei pochi siciliani che è riuscito a porre la Sicilia al centro di una rete di rapporti internazionali, di scambi, di incroci di competenze.
Un siciliano di scoglio e di mare aperto, allo stesso tempo: è sempre rimasto nella sua terra, ma ne ha fatto la base da cui partire per acquisire conoscenze all’estero e riportarle indietro. Medico ginecologo, professore universitario, si è laureato a Palermo per poi specializzarsi a Parigi, nella scuola di Raul Palmer, considerato uno dei più grandi ginecologi al mondo. Ha fatto tappa in diversi Paesi: da Lubiana, dove ha lavorato con il noto chirurgo Franc Novac all’Australia dove ha studiato la tecnica della procreazione medicalmente assistita.
Tecnica che, per primo, ha portato in Italia: è nata a Palermo, alla clinica Candela (tuttora della sua famiglia), nel 1984 la prima bimba fecondata in vitro grazie ad una equipe tutta italiana, la sua. Il giornale L’Ora dedica a questo evento tutta la prima pagina, sottolineando il primato scientifico di una Sicilia su cui nessuno avrebbe scommesso.
fecondazione-assistitaMa non è il primo successo di questo medico dalla personalità vulcanica e generosa. Già prima si era imposto nel panorama scientifico internazionale per avere scritto il primo libro di divulgazione sulla contraccezione in Italia. Il primo ad istituire una banca per la conservazione dello sperma da donatore, il primo a dedicare una monografia alla celioscopia in ginecologia, e poi anche all’endoscopia ginecologica. Testi studiati ovunque: non a caso, è proprio a Palermo che si svolge, nel 1964, il primo congresso di endoscopia al mondo. Poi, tantissime pubblicazioni sulla fertilità e problemi connessi.
Di lui, pochi anni fa, l’ex ministro della Salute Ferruccio Fazio, scrisse che è “un luminare della procreazione in vitro, un grande medico, un sognatore con la testa e le idee nel futuro e i piedi ben piantati nella sua terra siciliana”. Leggere il suo curriculum e le celebrazioni a lui dedicate da grandi medici e scienziati intimidisce un poco. Subito si pensa ad un uomo inavvicinabile. Si scopre, invece, un uomo alla mano, dal tratto umano profondo ed empatico. Con lui parliamo delle legge 40, quel complesso di norme che per più di dieci anni ha impedito alle coppie italiane con problemi di fertilità l’accesso alla procreazione medicalmente assistita e che la Corte Costituzionale ha finito di demolire l’anno scorso. Ma parliamo anche delle prospettive future e di come l’Italia affronti il tema della ricerca scientifica rispetto agli altri Paesi, USA inclusi.
Re: ARTICOLI & NEWS
Professor Cittadini, l’anno scorso la Corte Costituzione ha dato il colpo di grazia alla legge 40 del 2004. Possiamo dire che l’Italia, in tema di fecondazione assistita, si è allineata agli altri Paesi europei e all’America?
“La legge 40 è stata una delle più grandi vergogne italiane, figlia del più becero oscurantismo della nostra politica. Peggio avevano fatto solo in Costa Rica. Quella legge, che proibiva praticamente tutto, ha danneggiato la ricerca italiana e creato danni morali ed economici a migliaia di coppie costrette ad andare all’estero per potere accedere alle tecniche della procreazione medicalmente assistita”.
E dove andavano?
“Ovunque ci fosse una legislazione migliore della nostra. Cioè nella maggior parte dei Pesi europei, oltre che in altri continenti. Basti ricordare che anche in Paesi cattolici come la Spagna e la Polonia, la legislazione su questo tema è sempre stata molto più liberale. Per non parlare della Francia e del Belgio. Alla fine, però, possiamo dire che quel movimento cattolico che in Italia aveva voluto quelle norme oscurantiste, ha segnato un vero e proprio autogol, perché anche le coppie cattoliche hanno disobbedito, non hanno accettato quelle vessazioni della politica e sono andate all’estero”.
La Corte Costituzionale ha rimediato alle vessazioni della politica?
fecondazione-assistita“Hanno cominciato i tribunali ordinari, ma sono state numerose anche le sentenze della Corte Costituzionale: da quella del 2009 che ha cancellato il divieto di produrre più embrioni e l’obbligo di contemporaneo impianto, alla sentenza del 2014 con cui la Consulta ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa (la donazione di gameti maschili e femminili, nda), il divieto della diagnosi pre-impianto e quello sulla crio-conservazione. La Corte Costituzionale ha anche precisato che non c’è alcun vuoto normativo e che le tecniche possono essere immediatamente applicate”.
Perché lo sottolinea?
“Perché il governo nazionale avrebbe intenzione di intervenire, con un decreto, sull’eterologa. Si tratta solo del tentativo di creare continui ostacoli all’immediata applicabilità della sentenza della Consulta. Non solo. Le Regioni, ed in questo la Sicilia ha un altro triste primato, non si sono ancora adeguate con il risultato che ,sia nelle strutture pubbliche che in quelle private, è ancora impossibile accedere al rimborso anche per la fecondazione omologa, quando cioè il seme e l’ovulo utilizzati nella fecondazione assistita appartengono alla coppia di genitori del nascituro. Figuriamoci l’eterologa. In Sicilia il ritardo è scandaloso”.
“La legge 40 è stata una delle più grandi vergogne italiane, figlia del più becero oscurantismo della nostra politica. Peggio avevano fatto solo in Costa Rica. Quella legge, che proibiva praticamente tutto, ha danneggiato la ricerca italiana e creato danni morali ed economici a migliaia di coppie costrette ad andare all’estero per potere accedere alle tecniche della procreazione medicalmente assistita”.
E dove andavano?
“Ovunque ci fosse una legislazione migliore della nostra. Cioè nella maggior parte dei Pesi europei, oltre che in altri continenti. Basti ricordare che anche in Paesi cattolici come la Spagna e la Polonia, la legislazione su questo tema è sempre stata molto più liberale. Per non parlare della Francia e del Belgio. Alla fine, però, possiamo dire che quel movimento cattolico che in Italia aveva voluto quelle norme oscurantiste, ha segnato un vero e proprio autogol, perché anche le coppie cattoliche hanno disobbedito, non hanno accettato quelle vessazioni della politica e sono andate all’estero”.
La Corte Costituzionale ha rimediato alle vessazioni della politica?
fecondazione-assistita“Hanno cominciato i tribunali ordinari, ma sono state numerose anche le sentenze della Corte Costituzionale: da quella del 2009 che ha cancellato il divieto di produrre più embrioni e l’obbligo di contemporaneo impianto, alla sentenza del 2014 con cui la Consulta ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa (la donazione di gameti maschili e femminili, nda), il divieto della diagnosi pre-impianto e quello sulla crio-conservazione. La Corte Costituzionale ha anche precisato che non c’è alcun vuoto normativo e che le tecniche possono essere immediatamente applicate”.
Perché lo sottolinea?
“Perché il governo nazionale avrebbe intenzione di intervenire, con un decreto, sull’eterologa. Si tratta solo del tentativo di creare continui ostacoli all’immediata applicabilità della sentenza della Consulta. Non solo. Le Regioni, ed in questo la Sicilia ha un altro triste primato, non si sono ancora adeguate con il risultato che ,sia nelle strutture pubbliche che in quelle private, è ancora impossibile accedere al rimborso anche per la fecondazione omologa, quando cioè il seme e l’ovulo utilizzati nella fecondazione assistita appartengono alla coppia di genitori del nascituro. Figuriamoci l’eterologa. In Sicilia il ritardo è scandaloso”.