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Allattamento

jenna77
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Re: Allattamento

Messaggio da jenna77 »

Come attaccare il neonato al seno
È una fase importante perché da questo dipende la buona riuscita dell’allattamento al seno. Dovrebbe venire naturale ma è sempre bene controllare che l’ancoraggio sia corretto. Il rischio, inoltre, è la comparsa di ragadi
Al di la delle posizioni con cui allattare, è fondamentale che il bimbo di attacchi bene al capezzolo. La suzione è sempre la stessa, sia che la donna allatti da sdraiata, a presa di rugby o seduta con il cuscino da allattamento. Una volta ben avviato l’allattamento, non ci saranno più problemi, ma all’inizio è bene verificare spesso che il neonato succhi senza tirare o strattonare il capezzolo. Ecco che cosa controllare.
Tutta l’areola in bocca

La cosa fondamentale è che il bebè abbia in bocca tutta l’areola completamente. Solo così la suzione si può definire corretta. Questo significa che il bebè deve prendere in bocca non solo il capezzolo ma anche la parte intorno, così da succhiare in modo efficiente.
Posizione comoda

È importante che mamma e bimbo trovino una posizione comoda per allattare. Se infatti la poppata avviene in una posizione difficile da mantenere a lungo per la mamma, sarà inevitabile che impercettibilmente si spostino mamma o neonato, con il rischio che l’attaccamento al capezzolo diventi sbagliato, per esempio tirando verso il basso.
No al dolore

Se l’ancoraggio del bebè è corretto, non si deve avvertire dolore durante la poppata. I primi giorni, in realtà, è inevitabile che appena il piccolo inizia a succhiare, la mamma avverta un fastidio, anche intenso, al capezzolo ma nel giro di pochi minuti dovrebbe passare. Se persiste, è molto probabile che il piccolo sia attaccato male.
preziosa
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Re: Allattamento

Messaggio da preziosa »

Attenzione alle ragadi durante l’allattamento
Si tratta di dolorosi taglietti attorno al capezzolo causati quasi sempre da uno scorretto ancoraggio del bebè al seno. Vanno curate, perché possono provocare la mastite
Si formano in conseguenza della suzione del bambino durante l’allattamento: se il neonato succhia in modo scorretto, afferrando solo la punta del capezzolo, provoca piccoli traumi all’areola. Inoltre, l’eccessiva umidità della zona, dovuta alla presenza della saliva del piccolo e le frequenti secrezioni di latte non asciugate possono provocare la macerazione della pelle e favorire la formazione dei tagli. Anche l’aumento di volume del seno sottopone la pelle della mammella a una notevole tensione e può favorire la rottura della cute. Le ragadi possono guarire da sole nel giro di pochi giorni. Per accelerarne la guarigione, si possono applicare, dopo ogni poppata, creme cicatrizzanti che non sempre vanno rimosse prima della poppata. Eventuali istruzioni in merito vengono fornite al momento della prescrizione. La cura va continuata per 3-4 giorni. Le ragadi non vanno trascurate perché si infettano facilmente.

L’importanza della prevenzione

Anche nel caso delle ragadi, è importante pensare a una corretta prevenzione che può iniziare già in gravidanza. Dal quinto-sesto mese circa di gestazione è utile prendersi cura dei propri capezzoli. Esistono semplici tecniche di “ginnastica del capezzolo” che possono essere d’aiuto nella preparazione del seno: si tratta dell’applicazione di oli o creme specifiche per rendere la pelle più elastica. Durante i corsi di preparazione alla nascita, in genere, l’ostetrica affronta questi argomenti con le donne del gruppo. Dopo il parto è importante attaccare il bambino precocemente e in modo “corretto”. Anche per questo è importante ricevere un aiuto dal personale di assistenza. Una volta impostata la poppata si può continuare l’allattamento seguendo i ritmi propri e del bambino. È meglio, a ogni poppata, proporre al bambino i due seni. Se invece si prova dolore a uno dei capezzoli, è bene offrire al bambino il seno non dolente. La pelle va tenuta pulita, asciutta e idratata con creme specifiche. Il seno andrebbe lasciato il più possibile scoperto, perché l’aria asciuga e rende più resistenti i tessuti.
preziosa
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Re: Allattamento

Messaggio da preziosa »

Mastite al seno durante l’allattamento
È un’infiammazione che può colpire una o entrambe le mammelle, con una sensazione di dolore, gonfiore e arrossamento. La mastite deve essere affrontata in modo corretto, per evitare complicazioni e per non compromettere il prosieguo delle poppate. Ecco come fare
Che cos’è

La mastite è un’infiammazione acuta di tutta la mammella o di una sua parte, raramente di entrambe. La più diffusa è quella definita puerperale, che si manifesta nel periodo dell’allattamento e interessa molte neomamme. La causa più comune è un’infezione causata da batteri che sono presenti a livello cutaneo, come lo streptococco o lo stafilococco, ma anche l’ostruzione di un dotto galattoforo (da dove esce il latte) che fa ristagnare il latte causando infiammazione.

Quando compare

In genere si presenta nelle prime settimane dopo il parto o durante lo svezzamento, quando il bambino riduce, o smette del tutto, le poppate al seno. La mastite può comunque colpire in ogni momento dell’allattamento.

Come riconoscerla

Questo disturbo si presenta con sintomi caratteristici:

intenso dolore al seno interessato;
pelle arrossata, calda e in tensione;
seno duro;
a volte può comparire anche qualche linea di febbre sopra i 38 gradi, senso di spossatezza e di “ossa rotte”, proprio come quando si ha l’influenza.

Il rischio ascesso

Se non curata adeguatamente, la mastite può dar luogo a un ascesso mammario, che si manifesta con un’accentuazione del dolore, tumefazione, febbre e ingrossamento delle linfoghiandole ascellari. Se gli antibiotici non risolvono l’infezione, occorre incidere chirurgicamente l’ascesso, in modo da far drenare il pus (sostanza giallastra formata da globuli bianchi contenenti i batteri). Per questo va curata appena si manifesta.

Come intervenire

Occorre, innanzitutto, precisare che spetta al medico prescrivere le cure più indicate per la mastite. In ogni caso è bene:

continuare ad allattare il bambino direttamente al seno. Se il dolore rende la poppata insopportabile, si può ricorrere al tiralatte in modo da non fermare la produzione di latte;
provare diverse posizioni per allattare il piccolo, per esempio, stando sdraiate: in questo caso la mammella poggia sulla superficie del letto e il contatto stesso ne favorisce lo svuotamento. Oppure, si può provare mettendosi carponi: la forza di gravità attira il latte verso il basso. Utile, infine, è la posizione “da rugby”: la mamma può stare in piedi o seduta, tenendo il bimbo sotto il braccio come i giocatori di rugby tengono la palla, cioè con la testina verso l’interno e i piedi rivolti all’esterno. Questa posizione è la migliore per favorire lo svuotamento del seno;
praticare impacchi caldi;
assumere un farmaco antifebbrile e antinfiammatorio (come l’ibuprofene o il paracetamolo) in caso di febbre alta o di dolore molto intenso;
ricorrere all’assunzione di antibiotici, prescritti del medico, se la mastite non si risolve nel giro di due o tre giorni. Nel frattempo, è possibile continuare ad allattare, in quanto gli antibiotici utilizzati non sono nocivi per il bambino. Al contrario, interrompere le poppate potrebbe provocare un ristagno di latte e rendere più seria l’infezione;
riposare il più possibile a letto: il riposo aiuta a combattere l’infezione.

È facilitata da:

Ingorgo mammario

La mastite può comparire come conseguenza di un ingorgo mammario, ossia l’ostruzione dei dotti galattofori (i sottili canalini attraverso cui il latte prodotto confluisce al capezzolo). L’ingorgo mammario è più frequente all’inizio dell’allattamento, quando il latte non riesce a defluire completamente dai dotti galattofori perché il bambino non succhia abbastanza o in modo corretto (cioè, che “non si attacca bene”). Il latte prodotto dalla ghiandola mammaria, quindi, tende a ristagnare all’interno del dotto e a formare coaguli che bloccano ulteriormente il flusso di altro latte. Il dotto otturato allora si infiamma e, al tatto, è possibile avvertire una massa dolorosa nella mammella. Spesso la neomamma è portata a confondere l’otturazione dei dotti per una forma di mastite, ma in realtà si tratta di un problema diverso. Infatti, l’ostruzione dei dotti non provoca febbre. Se, però, l’ingorgo mammario non viene curato adeguatamente, favorendo il deflusso del latte all’esterno, può dare origine alla mastite, in quanto il latte, molto zuccherino, diventa l’ambiente favorevole alla proliferazione dei germi che determinano l’infezione.
preziosa
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Re: Allattamento

Messaggio da preziosa »

I rimedi da adottare

Continuare ad allattare dal seno colpito dall’ingorgo. Non sarà un problema per il bambino perché il latte non è in alcun modo contaminato. Se, anzi, il neonato succhia con energia può aiutare a sbloccare il dotto;
applicare un impacco caldo-umido prima di attaccare il bebè per favorire il deflusso di latte. Si può applicare sul seno una borsa dell’acqua calda avvolta in un telo di spugna bagnato oppure fare una doccia o spugnature calde;
esercitare una pressione manuale mentre il bambino succhia per favorire ulteriormente lo svuotamento del seno;
svuotare bene il seno al termine della poppata, spremendolo manualmente per far fuoriuscire tutto il latte eventualmente rimasto.

Ragadi

Si tratta di taglietti presenti nell’area del capezzolo, simili a ferite dai bordi leggermente in rilievo. Sono dolorose e possono sanguinare, in quanto queste fissurazioni mettono allo scoperto il derma, lo strato intermedio della pelle, ricco di terminazioni nervose e di vasi sanguigni. Le ragadi non vanno trascurate perché si infettano facilmente, diventando così il veicolo di germi nocivi. Le ragadi si formano in conseguenza di una scorretta suzione del bambino che afferra solo la punta del capezzolo invece che prendere in bocca tutta l’areola, provocando così piccoli traumi al capezzolo stesso. Queste lesioni sono favorite anche da un’eccessiva umidità della zona: la saliva del piccolo e le frequenti secrezioni di latte non asciugate possono provocare la macerazione della pelle e favorire la formazione dei tagli. Anche l’aumento di volume del seno sottopone la pelle della mammella a una notevole tensione che può provocare la rottura della cute. Per prevenirne la formazione, occorre applicare tutti i giorni olio di mandorle dolci o creme preparatorie specifiche per rendere le pelle più elastica, a cominciare dal quarto-quinto mese di gestazione.

I rimedi da adottare

pulire capezzoli e areole prima e dopo ogni poppata con batuffoli di cotone imbevuti d’acqua distillata o utilizzare i dischetti detergenti specifici;
alternare i seni al momento della poppata, per stimolare in ugual modo i capezzoli;
tenere sempre asciutto il seno tamponando ogni secrezione con garza sterile e indossando le coppette assorbilatte tra una poppata e l’altra;
massaggiare il capezzolo e l’areola con qualche goccia del proprio latte che ha un notevole potere cicatrizzante;
lasciare il seno il più possibile scoperto perché l’aria rende più resistenti i capezzoli.
applicare, dopo ogni poppata, creme cicatrizzanti. Occorre però detergere accuratamente il seno prima di attaccare il bimbo. La cura va continuata per 3-4 giorni.

Si può prevenire?

La mastite può essere evitata cercando di svuotare sempre bene il seno, al limite con l’aiuto di un tiralatte se il bimbo non succhia abbastanza, e controllando che il piccolo si attacchi correttamente al seno.
didina
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Re: Allattamento

Messaggio da didina »

Che cos’è l’ingorgo mammario?
Insieme alla mastite, di cui è spesso l’anticamera, questo disturbo può compromettere l’allattamento al seno del piccolo. Come intervenire
Nei primi periodi di allattamento al seno può essere difficile calibrare la produzione di latte rispetto alla suzione del piccolo. La lattazione si basa, infatti, su un meccanismo di domanda e offerta: in pratica, quanto più il bimbo succhia tanto più latte viene prodotto. Tuttavia può accadere che se il seno non viene drenato (ossia svuotato) a sufficienza, si riempia di latte dando origine a un disturbo chiamato ingorgo mammario: la mamma prova dolore e il bimbo fa fatica ad attaccarsi, perché l’areola è troppo dura e il flusso di latte è rallentato. La mammella si presenta tesa, gonfia, talvolta lucida, tumefatta e dolorante, a volte arrossata soltanto in un punto che diventa più duro e di colore rosso e si avverte una sensazione di malessere, anche se di solito non compare febbre. I sintomi dell’ingorgo mammario si manifestano pochi giorni dopo il parto e scompaiono da soli se la mamma continua ad allattare il piccolo al seno: così facendo, infatti, si riesce a svuotarlo prima che si riempia nuovamente di latte.

Tante cause all’origine

Una delle cause principali dell’ingorgo è un allattamento non ben avviato: magari per una posizione scorretta del bambino durante la suzione, che non consente un sufficiente svuotamento del seno. Esistono però tutta una serie di altre cause concomitanti. L’ingorgo può, infatti, essere dovuto anche a:

un mancato allattamento a richiesta: si allungano così i tempi tra una poppata e l’altra dando al piccolo sostituto del seno come ciuccio, acqua, tisane;
un reggiseno troppo stretto;
riduzione del numero delle poppate: ciò capita soprattutto in occasione dello svezzamento o quando il piccolo comincia a svegliarsi meno la notte: la produzione del latte, però, prosegue e il seno può ingorgarsi;
abitudine di offrire al bebè sempre per prima la stessa mammella: l’altra, svuotandosi meno, rischia l’ingorgo.

È importante continuare ad allattare

La prima cosa da fare è assolutamente continuare ad allattare alternando le mammelle: in questo modo si facilita lo svuotamento naturale del seno. È anche importante iniziare la poppata attaccando il bambino al seno gonfio. Se la mammella è molto dolorante e il piccolo fatica ad attaccarsi può essere utile effettuare la spremitura manuale o con il tiralatte e offrirlo poi al bebè con il biberon. Per lenire il dolore e favorire il riflesso ossitocinico (e quindi la discesa del latte) sono vantaggiosi impacchi caldo-umidi prima della poppata. Per evitare il ristagno del latte, invece, massaggiare delicatamente il seno con movimenti circolari, procedendo a spirale dall’attaccatura verso il capezzolo: in massaggio aiuta la fuoriuscita del latte e rilassa i tessuti.

Lo sapevi che?

È possibile alleviare l’ingorgo mammario applicando sul seno per circa 20 minuti alcune foglie di cavolo verza schiacciate con un matterello. È necessario ripetere il trattamento 2 o 3 volte al giorno.
didina
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Iscritto il: 15 giu 2015, 21:32

Re: Allattamento

Messaggio da didina »

Guida alle poppate – Le indicazioni dell’Oms
Anche se sull’allattamento non esistono regole assolute, ecco alcune raccomandazioni suggerite dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità)

Avviare l’allattamento al seno nella prima ora di vita del bebè: questa indicazione significa che è importante, per un buon avvio dell’allattamento, creare già nella prima ora di vita le condizioni perché questo avvenga, ma senza forzare. I bambini hanno un comportamento che si manifesta in un tempo variabile, per cui alcuni si orientano verso il seno già nella prima mezz’ora di vita, altri invece hanno bisogno di un tempo maggiore;
mostrare alle mamme come allattare e mantenere la produzione di latte anche nel caso in cui vengano momentaneamente separate dai neonati (per esempio, per un problema di salute): in tal caso bisognerà estrarre il latte con un apparecchio, il tiralatte, per continuare a stimolare la ghiandola mammaria alla lattazione;
evitare l’uso del latte artificiale, a meno che non sia davvero necessario;
vietare la pubblicità dei latti artificiali negli ospedali;
favorire il rooming in, cioè la possibilità per il neonato di stare nella stessa stanza della mamma nei primi giorni di vita: in questo modo, è più facile attaccare il bebè al seno ogni volta che lo richiede;
incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta, cioè la possibilità per il piccolo di attaccarsi al seno ogni volta che ha fame e non a orari rigidi;
promuovere l’allattamento esclusivo al seno fino al sesto mese: questo vuol dire che, in condizioni di benessere della mamma e del bimbo, il piccolo trae solo vantaggi dall’allattamento al seno fino ai sei mesi;
introdurre alimenti diversi dal latte dai sei mesi: intorno a questa età, il latte materno non è più sufficiente dal punto di vista nutrizionale per il bambino e inizia a essere inadeguato sotto il profilo dell’apporto di ferro. Il fatto che sia arrivato il momento di integrare l’alimentazione del piccolo con nuovi cibi non significa, però interrompere le poppate al seno, che, anzi, possono proseguire fino all’anno.
delissa
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Iscritto il: 11 giu 2015, 22:44

Re: Allattamento

Messaggio da delissa »

Guida alle poppate: consigli e vantaggi per il neonato
Ecco tutto quello che c'è da sapere, dalla durata alla frequenza, per allattare al seno senza problemi, nel rispetto delle esigenze del bimbo e della mamma
Consigli e vantaggi per il bebè

Il latte materno è il nutrimento migliore

Tutti gli studi scientifici, oltreché l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), sono concordi nell’affermare che il latte materno sia l’alimento più indicato per il neonato, in quanto contiene tutte le sostanze nutritive (grassi, proteine, zuccheri, vitamine e sali minerali) nelle giuste proporzioni per le esigenze di crescita del piccolo ed è facilmente assimilabile dal suo apparato digerente. Il latte materno, poi, grazie al suo ricco contenuto di anticorpi, cioè fattori di difesa, rafforza il sistema immunitario del bebè, proteggendolo dall’attacco di virus e batteri. È dimostrato, poi, che il bimbo allattato al seno è meno soggetto al rischio di allergie, in quanto le sostanze fornitegli attraverso il latte abituano il suo organismo ad avere una risposta di difesa più efficace di fronte agli agenti esterni. Inoltre, l’allattamento al seno previene il rischio di obesità nell’età adulta: sia perché c’è un più bilanciato apporto di nutrienti, sia perché induce il neonato ad autoregolamentarsi, poiché si abitua a mangiare solo ciò che gli serve. Infine, allattare in modo esclusivo al seno consente una straordinaria opportunità di interazioni psicologiche tra la mamma e il bambino che lo stesso atto del nutrire produce.

Due metodi diversi

Si tratta di uno degli interrogativi che si pongono le neomamme che allattano: secondo le ultime tendenze, l’allattamento al seno a richiesta permetterebbe al bimbo di nutrirsi in modo adeguato e preciso, in base ai suoi fabbisogni. Ma ci sono anche scuole di pensiero differenti, secondo cui l’allattamento a richiesta renderebbe troppo dipendenti uno dall’altro la mamma e il bebè. In realtà, non è possibile decidere a priori quale metodo di allattamento al seno seguire: la soluzione migliore è quella che ogni mamma riesce a trovare con il bambino, perché è frutto di una conoscenza reciproca che porta a capire il reale bisogno del piccolo. Per decidere con serenità, è utile valutare con attenzione i pro e i contro di ogni metodo in base al carattere e ai bisogni del bambino.

1 A richiesta

È adatto a bimbi “autonomi” che cercano il seno della mamma solo quando hanno fame. Consiste nell’attaccare il piccolo al capezzolo non secondo orari prestabiliti, ma ogni volta che egli lo richiede. Questo metodo presenta diversi vantaggi, tra cui quello di adeguarsi meglio alle esigenze nutritive del bebè e di consentire un continuo e adeguato svuotamento delle mammelle. Inoltre, prolunga l’allattamento nel tempo ed evita di dover conteggiare il numero dei pasti e l’intervallo che intercorre tra una poppata e l’altra. Questo metodo, però, è faticoso per la mamma, che si vede impegnata nelle poppate a ogni ora del giorno e della notte, soprattutto se il piccolo è vorace.

2 a orari fissi

Consiste nello scandire il numero di poppate giornaliere entro uno schema di orari ben definito. Non si adatta quindi ai bambini che manifestano continuamente il desiderio di attaccarsi al seno non per fame, ma per cercare un contatto fisico con il corpo materno. Una volta avviato, ha il vantaggio di permettere alla mamma di organizzare meglio il suo tempo nella giornata. Il metodo è utile anche per le mamme ansiose, che temono di non offrire un numero di pasti adeguato. L’allattamento a orari fissi non è indicato, invece, ai bambini che crescono poco o sono molto pigri: in questo caso, infatti, è consigliabile stimolare l’appetito dei piccoli attaccandoli più spesso al seno.
delissa
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Iscritto il: 11 giu 2015, 22:44

Re: Allattamento

Messaggio da delissa »

Per sapere se si nutre abbastanza

La mamma che allatta al biberon segue le indicazioni del pediatra per sapere quanto latte somministrare al piccolo in ogni poppata. Per chi è allattato al seno, invece, occorre guardare alcuni elementi per rassicurarsi sull’adeguatezza della quantità di latte assunta. Ecco quali sono: la frequenza delle poppate, per cui se anche a richiesta non devono passare mai più di 4 ore durante il giorno, la crescita settimanale (nei primi tre mesi la crescita è più veloce, sui 150-180 g alla settimana, poi rallenta un po), e il cambio di pannolini (7-8 al giorno come minimo), con urine non concentrate, cioè di colore trasparente.

In media 20-30 minuti per seno

È difficile stabilire un tempo ottimale che si adatti a ogni bebè nell’allattamento al seno: ci sono bimbi voraci che succhiano in modo vigoroso e svuotano le mammelle a tempo di record, altri più pigri che succhiano senza efficacia e si addormentano. La durata della poppata può oscillare quindi da pochi minuti o sfiorare la mezz’ora. In generale, dovrebbe durare 20-30 minuti in tutto, alternando i seni. Più che altro è il numero di poppate che può variare in base al carattere del neonato: i neonati più golosi fanno pasti abbondanti e meno frequenti; mentre i bebè più pigri fanno pasti piccoli e frequenti, intervallandoli magari a un sonnellino. A questo proposito, se il bimbo si addormenta durante la poppata, non è il caso di svegliarlo: con il pancino vuoto si sveglierà prima per richiedere la poppata successiva. Al contrario, se non si stacca dal seno, per interrompere la poppata si deve infilare un dito nell’angolo della bocca del bebè e spingere verso il basso.

Fino a quando allattarlo?

In genere, il bimbo succhia al seno fino all’inizio dello svezzamento, cioè fino al quinto-sesto mese, quando avviene il passaggio graduale ai cibi solidi. Tuttavia, non c’è motivo per interrompere le poppate, perché i vantaggi dell’allattamento al seno possono protrarsi fino all’anno di vita e oltre. Occorre sapere, però, che più il bambino succhia, più il latte nella mamma si riforma perché la suzione stimola il seno a produrne di più. Introducendo altri alimenti nella dieta, è quindi normale che la produzione di latte rallenti in modo graduale, fino a scomparire del tutto se il seno non viene più stimolato.

Per smettere basta non attaccare più il bimbo

La scelta di quanto continuare ad allattare dipende dalla mamma, tenendo conto di diversi aspetti, come la ripresa del lavoro o il senso di stanchezza fisica che può avvertire dopo un certo periodo. In ogni caso, quando si decide di smettere, il metodo è semplice: basta evitare di offrire il seno al bebè. Se la ghiandola mammaria non è più stimolata, automaticamente smetterà di produrre latte. Durante questa fase di passaggio, tuttavia, il seno può essere dolente e quindi può essere necessario togliere con un particolare strumento, il tiralatte, quella minima quantità di latte sufficiente per alleviare il senso di tensione. Nel caso in cui, però, sia necessario interrompere le poppate in maniera più veloce, in genere si prescrivono alla mamma appositi farmaci che bloccano la lattazione.

Doppia pesata: sì o no?

Non è rilevante calcolare la quantità di latte assunta con ogni poppata: il metodo della “doppia pesata”, oltre che stressante, è inutile. Meglio controllare che il bimbo cresca in modo regolare, misurando il suo peso una volta alla settimana, alla stessa ora, senza pannolino.
gaia
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Re: Allattamento

Messaggio da gaia »

Come avere più latte nel seno?
Il pediatra può aiutarti a scegliere la soluzione più adatta per incrementare l’allattamento al seno: erbe, omeopatia, agopuntura o semplicemente maggior contatto con il bebè
Quando, nonostante siano state messe in atto di tutte le misure volte al sostegno e al mantenimento dell’allattamento, allattare il piccolo è una vera e propria impresa, si può ricorrere ai cosiddetti “galattogoghi”, sostanze sia di origine naturale sia di sintesi in grado di stimolare la produzione di latte dal seno materno. Funzionano davvero? Si ipotizza che alcune erbe possano avere questa funzione perché utilizzate con questo scopo nelle diverse tradizioni popolari, ma non si può dire che gli studi scientifici lo dimostrino. Oltre ai galattagoghi naturali ci sono anche i farmaci sintetici. Qual è la scelta migliore, allora? Il pediatra saprà aiutare la neomamma nell’avvio e nel mantenimento dell’allattamento e in casi particolari di bassa produzione di latte saprà individuare il miglior rimedio. In generale, viene indicato l’uso di galattogoghi quando le pratiche assistenziali per il sostegno all’allattamento si rivelano inefficaci nelle madri che hanno una bassa produzione. Tale carenza può essere dovuta a malattie della mamma o del bambino, alla loro separazione prolungata, come per le donne che hanno partorito prematuramente. Tra le donne che più spesso ricorrono all’uso dei galattogoghi ci sono, proprio, le madri di neonati pretermine che sono costrette, per lunghi periodi, ad estrarre il latte con il tiralatte.

L’importanza dei primi momenti

È dimostrato che il più efficace “galattogogo” è un’appropriata gestione dell’allattamento materno. Ciò significa che esistono diverse pratiche in grado di supportare l’avvio dell’allattamento in caso di carenza e di sostenere il mantenimento. I bambini amano il contatto pelle a pelle e questa sensazione è fantastica anche per le mamme, che sono incoraggiate a stabilire questo contatto con il bambino entro alcuni minuti dal parto. Non solo il contatto rassicura il neonato sulla presenza della mamma, ma ne regola la temperatura, la respirazione e la glicemia (tasso di zucchero nel sangue). Il contatto, inoltre, stimola il rilascio degli ormoni per l’allattamento e, se effettuato regolarmente nelle prime settimane, favorisce l’allattamento. In quest’ottica quasi tutti gli ospedali, ormai, offrono il servizio del rooming- in, ossia la possiblità per la mamma di tenere il bambino in camera con sé 24 ore su 24 durante la degenza in ospedale, in modo da potersi prendere cura di lui fin da subito e anche di attaccarlo al seno in ogni momento. Già in ospedale le puericultrici insegnano alla mamma ad attaccare il bebè al seno in modo corretto: ciò favorisce l’avvio dell’allattamento e previene la formazione di ragadi e di altri possibili disturbi, come l’ingorgo mammario, che possono scoraggiare la mamma a proseguire le poppate.
gaia
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Re: Allattamento

Messaggio da gaia »

Adeguata frequenza delle poppate

La produzione di latte è direttamente proporzionale al numero delle poppate: in pratica, più il piccolo si attacca e succhia, e maggiore sarà la quantità di latte prodotta. Nel caso in cui queste strategie si rivelino insufficienti, il pediatra può suggerire alla madre l’assunzione di un galattagogo scegliendo la sostanza che riterrà più adeguata, in termini di efficacia e sicurezza, per lei e per il bambino.

Con la dieta

Per mantenere un’adeguata produzione di latte è importante seguire una dieta varia ed equilibrata e ricca di liquidi. Inoltre, la dieta dovrebbe garantire un apporto calorico superiore di almeno 500 calorie rispetto al normale. Il fabbisogno calorico, infatti, è direttamente proporzionale alla quantità di latte prodotta (500-600 grammi nei primi mesi, circa 800 nei mesi successivi ). Alcuni medici suggeriscono di dare la preferenza al latte e ai suoi derivati, alle verdure, alla frutta cotta e cruda, e di evitare i cibi piccanti, i salumi, i crostacei ed alcune verdure (aglio, asparagi, cavoli, cipolle) che possono dare al latte un sapore particolare e non sempre gradito al neonato. Non è, comunque, dimostrato che assumere certi alimenti possa impedire l’allattamento. Secondo alcuni esperti, una dieta varia regala al latte sapori via via diversi e quindi aiuta a far maturare il senso del gusto del piccolo. È sconsigliato il consumo di caffè, tè e alcolici. Anche Il fumo va eliminato o drasticamente ridotto: la nicotina può, infatti, passare nel latte, causando al bambino forme di intossicazione che si manifestano con diarrea e nausea.

Con le erbe

Nel corso della storia le mamme hanno sempre usato erbe o cibi particolari per aumentare la loro produzione di latte. Tra le erbe, quelle comunemente utilizzate come galattogoghi sono: il fieno greco, il cardo del latte, l’anice, il basilico, il cardo benedetto, i semi di finocchio, la malva, l’agnocasto, il cumino,il luppolo, il ribes e il torbangun. Tra tutti questi, però, alcuni sono da sempre più utilizzati di altri e alcuni sono stati anche oggetto di ricerche scientifiche.

Il fieno greco

È il rimedio fitoterapico consigliato più frequentemente, cui da migliaia di anni è attribuita alta considerazione come spezia o medicinale in India e nel Medio Oriente. Fa parte della famiglia dei piselli, ed è catalogato dalla Fda (Food and drug administration) statunitense come Gras, cioè considerato in genere sicuro. Gli studi clinici disponibili circa la sua efficacia sono, però, contraddittori; inoltre il fieno greco, anche negli studi, è somministrato sotto forma di infuso senza specificare dose e titolazione e composizione dell’infuso stesso, e ciò crea importanti problemi di riproducibilità e attendibilità dei risultati. In letteratura è segnalata la possibilità di reazioni allergiche anafilattoidi; quindi andrebbe sempre fatta attenta anamnesi da parte del pediatra prima di consigliarne l’assunzione.

La ruta caprina

È un galattagogo tradizionale, ampiamente utilizzato in Europa come infuso, sulla base dell’osservazione di un aumento della produzione di latte nella zootecnia. Non sono stati effettuati studi clinici controllati sull’uomo. Da segnalare la comparsa di sintomi neurologici quali sonnolenza, ipotonia, letargia, vomito in due neonati la cui madre assumeva un infuso contenente estratti di liquirizia finocchio, anice e, appunto, ruta caprina.

L’agnocasto

Riguardo questa erba esistono opinioni di esperti non univoche e ipotesi teoriche sul suo possibile utilizzo come galattagogo. Viste le proprietà fitoestrogeniche e fitoprogesteroniche, questa sostanza va utilizzata con estrema cautela.

Il cardo del latte

Utilizzato fin dai tempi antichi come epatoprotettore e come protezione contro l’intossicazione da Amanita phalloides (un fungo velenosissimo) e altre tossine, il cardo del latte (silibum marianum) è stato definito sicuro, se consumato in modo appropriato, dall’American herbal products association, che non ne controindica l’utilizzo durante l’allattamento. La silimarina, la componente attiva della pianta, è un estratto standardizzato costituito per circa il 70-80% da flavonolignani e flavonoidi, e per il rimanente 20-30% da composti polimerici e polifenolici ossidati. Possiede un’ampia gamma di effetti biologici e farmacologici, inclusi un’attività antiossidante, la stimolazione della sintesi proteica (caratteristica che la rende utile nel trattamento del danno tossico epatico e nella cirrosi). I frutti del silibum marianum sono stati usati tradizionalmente per stimolare la produzione di latte e recentemente è stato dimostrato che il cardo mariano aumenta la lattazione nelle mucche. Sulle donne a termine un singolo studio ha dimostrato un effetto favorente la produzione di latte. Non è stato rilevato nessun effetto collaterale e non è stata evidenziata la presenza della sostanza nel latte materno.
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