L’«eterna gravidanza» di chi attende l’arrivo di un figlio
Inviato: 03 giu 2015, 17:20
L’«eterna gravidanza» di chi attende l’arrivo di un figlio adottivo
Bambini selezionati come merci, come nel caso del provvedimento del tribunale dei minori di Roma che ha acconsentito a una coppia di adottare un bambini solo se «perfettamente sano». E famiglie lasciate sole, uomini e donne capaci di dare amore a un figlio che arriva da lontano costrette a pagare spese elevate perché lo Stato italiano lascia tutti gli oneri a loro carico. Torna a far discutere in Italia il tema delle adozioni internazionali. Storie diverse, ma con un denominatore comune.
Una “gravidanza eterna”. Una storia di ordinaria, estenuante, attesa. A cui si aggiunge una difficoltà spesso insormontabile: quella economica. In Italia adottare un bambino è un’impresa difficile. Se l’adozione è internazionale, lo è ancora di più.
Marta è una donna che ha deciso di accogliere un bambino e che da anni vive, come centinaia di altre, l‘attesa di poterlo crescere senza sapere per quanto tempo ancora dovrà aspettare. Marta fa la grafica e vive a Torino. È sposata con Andrea, anche lui libero professionista. Entrambi aspettano da cinque anni che un figlio varchi la porta di casa. E hanno dovuto accendere un mutuo di ventimila euro solo per pagare le spese iniziali, senza ancora sapere se qualcuno arriverà, chi sarà. In Italia, infatti, è la coppia a doversi sobbarcare i costi dell’adozione internazionale.
«Già prima di rendermi conto che non potevo avere bambini naturalmente – racconta Marta – avevo un desiderio fortissimo di adottarne uno. Poi, quando i figli non sono arrivati, e io e mio marito non eravamo più giovanissimi, abbiamo deciso di non tentare alcun approccio medico ma di adottare subito. Il mondo è pieno di creature che hanno difficoltà a trovare una famiglia».
Da allora, dal momento della scelta, Marta e Andrea vivono in un limbo costellato da mille difficoltà. Burocratiche ed economiche: «Siamo in ballo da anni con questa eterna gravidanza».
Dopo un anno dall’avvio del percorso di adozione, dopo i colloqui con gli psicologi e i controlli in casa, la coppia è riuscita ad ottenere il documento di idoneità sia per l’adozione nazionale che per quella internazionale. Quest’ultima resta ormai la loro unica concreta speranza, perché adottare un bambino italiano oggi, spiega Marta, «è un’impresa impossibile, soprattutto se non sei più così giovane. In due anni e mezzo nessuno ci ha chiamati e la posizione resta aperta solo per tre anni».
Dopo la presa di coscienza che l‘adozione nazionale non era realizzabile, è iniziata una fase lunga e dura. La presa di contatto con il maggiore dei problemi: quello economico. «Quando cerchi un ente a cui rivolgerti per un’adozione internazionale, ci si sente come al mercato. Ti chiedono tu cosa mi dai, e tu rispondi fino a dove puoi arrivare. Passi da una situazione del tutto emotiva a una in cui ti rendi conto che certe cose non te le potrai mai permettere. Tutto sembra diventare una questione di denaro. Il romanticismo si scontra con la realtà della vita».
Così Marta e Andrea devono rinunciare all’adozione di un bambino vietnamita perché costa troppo: oltre 20mila euro, solo per iniziare. Escluse, ovviamente, le spese di soggiorno nel paese natio, dove la coppia deve soggiornare per alcuni mesi per familiarizzare con il piccolo, assentandosi dal posto di lavoro, col rischio di perderlo «se sei un libero professionista». Marta però non molla. Conosce la Enzo B, associazione che si occupa di adozioni internazionali con cui inizia un percorso nuovo. «Ci siamo trovati bene e ci siamo sentiti compresi, come futuri genitori», racconta. «Mi sono sentita finalmente in una situazione di dialogo. Abbiamo scelto di adottare un bambino dal Congo e avviato un percorso».
Bambini selezionati come merci, come nel caso del provvedimento del tribunale dei minori di Roma che ha acconsentito a una coppia di adottare un bambini solo se «perfettamente sano». E famiglie lasciate sole, uomini e donne capaci di dare amore a un figlio che arriva da lontano costrette a pagare spese elevate perché lo Stato italiano lascia tutti gli oneri a loro carico. Torna a far discutere in Italia il tema delle adozioni internazionali. Storie diverse, ma con un denominatore comune.
Una “gravidanza eterna”. Una storia di ordinaria, estenuante, attesa. A cui si aggiunge una difficoltà spesso insormontabile: quella economica. In Italia adottare un bambino è un’impresa difficile. Se l’adozione è internazionale, lo è ancora di più.
Marta è una donna che ha deciso di accogliere un bambino e che da anni vive, come centinaia di altre, l‘attesa di poterlo crescere senza sapere per quanto tempo ancora dovrà aspettare. Marta fa la grafica e vive a Torino. È sposata con Andrea, anche lui libero professionista. Entrambi aspettano da cinque anni che un figlio varchi la porta di casa. E hanno dovuto accendere un mutuo di ventimila euro solo per pagare le spese iniziali, senza ancora sapere se qualcuno arriverà, chi sarà. In Italia, infatti, è la coppia a doversi sobbarcare i costi dell’adozione internazionale.
«Già prima di rendermi conto che non potevo avere bambini naturalmente – racconta Marta – avevo un desiderio fortissimo di adottarne uno. Poi, quando i figli non sono arrivati, e io e mio marito non eravamo più giovanissimi, abbiamo deciso di non tentare alcun approccio medico ma di adottare subito. Il mondo è pieno di creature che hanno difficoltà a trovare una famiglia».
Da allora, dal momento della scelta, Marta e Andrea vivono in un limbo costellato da mille difficoltà. Burocratiche ed economiche: «Siamo in ballo da anni con questa eterna gravidanza».
Dopo un anno dall’avvio del percorso di adozione, dopo i colloqui con gli psicologi e i controlli in casa, la coppia è riuscita ad ottenere il documento di idoneità sia per l’adozione nazionale che per quella internazionale. Quest’ultima resta ormai la loro unica concreta speranza, perché adottare un bambino italiano oggi, spiega Marta, «è un’impresa impossibile, soprattutto se non sei più così giovane. In due anni e mezzo nessuno ci ha chiamati e la posizione resta aperta solo per tre anni».
Dopo la presa di coscienza che l‘adozione nazionale non era realizzabile, è iniziata una fase lunga e dura. La presa di contatto con il maggiore dei problemi: quello economico. «Quando cerchi un ente a cui rivolgerti per un’adozione internazionale, ci si sente come al mercato. Ti chiedono tu cosa mi dai, e tu rispondi fino a dove puoi arrivare. Passi da una situazione del tutto emotiva a una in cui ti rendi conto che certe cose non te le potrai mai permettere. Tutto sembra diventare una questione di denaro. Il romanticismo si scontra con la realtà della vita».
Così Marta e Andrea devono rinunciare all’adozione di un bambino vietnamita perché costa troppo: oltre 20mila euro, solo per iniziare. Escluse, ovviamente, le spese di soggiorno nel paese natio, dove la coppia deve soggiornare per alcuni mesi per familiarizzare con il piccolo, assentandosi dal posto di lavoro, col rischio di perderlo «se sei un libero professionista». Marta però non molla. Conosce la Enzo B, associazione che si occupa di adozioni internazionali con cui inizia un percorso nuovo. «Ci siamo trovati bene e ci siamo sentiti compresi, come futuri genitori», racconta. «Mi sono sentita finalmente in una situazione di dialogo. Abbiamo scelto di adottare un bambino dal Congo e avviato un percorso».