IL PARTO naturale o cesareo?
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
IL PARTO OPERATIVO
In questa modalità di parto il medico deve ricorrere, nella fase espulsiva, a strumenti idonei ad agevolare una nascita altrimenti difficoltosa. Alla categoria appartiene anche il cesareo, ma in genere per parto operativo si intende quello effettuato con l’aiuto del forcipe o della ventosa oppure quello in cui l’intervento medico si renda assolutamente necessario, per esempio tramite la manovra di Kristeller (cioè, la spinta sul pancione della futura mamma per favorire l’uscita del neonato).
Questo genere di interventi si pratica quando la dilatazione è completa e la testolina del bambino già posizionata nella parte più bassa del canale del parto. Il forcipe, una sorta di grossa pinza metallica, non è quasi più utilizzato. Oggi si preferisce la ventosa, che aderisce alla testa del piccolo formando un vuoto d’aria, permettendo una trazione morbida e assecondando le spinte materne. La manovra di Kristeller è più traumatica e non può essere effettuata più di tre volte consecutive per non arrecare danno alla mamma o al bambino.
Il parto operativo può essere una soluzione quando le contrazioni diventano via via meno efficaci, a causa di una fase espulsiva prolungata o di una epidurale i cui effetti sono durati per troppo tempo, impedendo alla mamma di avvertire le spinte. Se la testolina del bimbo affiora dalla vagina ma non riesce ancora a uscire, questo intervento è l’unico possibile. E ancora: il parto operativo implica l’episiotomia, cioè il taglio del perineo. Nei primi giorni dopo la nascita del bebè, quindi, si può avvertire fastidio o bruciore e stare sedute può essere doloroso. Il bambino presenta spesso, nel punto d’applicazione dello strumento, un gonfiore (il cosiddetto trauma da parto), destinato però a scomparire nel giro di qualche giorno.
In questa modalità di parto il medico deve ricorrere, nella fase espulsiva, a strumenti idonei ad agevolare una nascita altrimenti difficoltosa. Alla categoria appartiene anche il cesareo, ma in genere per parto operativo si intende quello effettuato con l’aiuto del forcipe o della ventosa oppure quello in cui l’intervento medico si renda assolutamente necessario, per esempio tramite la manovra di Kristeller (cioè, la spinta sul pancione della futura mamma per favorire l’uscita del neonato).
Questo genere di interventi si pratica quando la dilatazione è completa e la testolina del bambino già posizionata nella parte più bassa del canale del parto. Il forcipe, una sorta di grossa pinza metallica, non è quasi più utilizzato. Oggi si preferisce la ventosa, che aderisce alla testa del piccolo formando un vuoto d’aria, permettendo una trazione morbida e assecondando le spinte materne. La manovra di Kristeller è più traumatica e non può essere effettuata più di tre volte consecutive per non arrecare danno alla mamma o al bambino.
Il parto operativo può essere una soluzione quando le contrazioni diventano via via meno efficaci, a causa di una fase espulsiva prolungata o di una epidurale i cui effetti sono durati per troppo tempo, impedendo alla mamma di avvertire le spinte. Se la testolina del bimbo affiora dalla vagina ma non riesce ancora a uscire, questo intervento è l’unico possibile. E ancora: il parto operativo implica l’episiotomia, cioè il taglio del perineo. Nei primi giorni dopo la nascita del bebè, quindi, si può avvertire fastidio o bruciore e stare sedute può essere doloroso. Il bambino presenta spesso, nel punto d’applicazione dello strumento, un gonfiore (il cosiddetto trauma da parto), destinato però a scomparire nel giro di qualche giorno.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
le persone che pensano che il parto cesario renda meno mamme sono proprio cretine!
molto spesso, come vediamo da molti racconti, il parto cesario è una necessità vitale....sia per la mamma che per il bimbo...
molta gente parla solo per parlare!!
molto spesso, come vediamo da molti racconti, il parto cesario è una necessità vitale....sia per la mamma che per il bimbo...
molta gente parla solo per parlare!!
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
io nonostante le 12 ore di travaglio molto doloroso e 1 ore di spinte estenuanti, ho subito considerato il parto (senza epidurale e senza episiotomia) un'esperienza meravigliosa.
Ne parlavo entusiasticamente, e ad un'amica che avrebbe voluto fare il cesareo elogiavo la meraviglia del parto naturale.
Beh, alla fine anche lei ha fatto un parto naturale , ed in 1 ora e mezza ha fatto tutto, eppure è rimasta traumatizzata, ha detto che non si aspettava un'esperienza così forte e animalesca, e che se avesse saputo avrebbe fatto il cesareo.
Mi sono quasi sentita in colpa!
Quindi ora mi guardo bene dal giudicare, effettivamente è un'esperienza che puo' lasciare traumatizzati!
Ne parlavo entusiasticamente, e ad un'amica che avrebbe voluto fare il cesareo elogiavo la meraviglia del parto naturale.
Beh, alla fine anche lei ha fatto un parto naturale , ed in 1 ora e mezza ha fatto tutto, eppure è rimasta traumatizzata, ha detto che non si aspettava un'esperienza così forte e animalesca, e che se avesse saputo avrebbe fatto il cesareo.
Mi sono quasi sentita in colpa!
Quindi ora mi guardo bene dal giudicare, effettivamente è un'esperienza che puo' lasciare traumatizzati!
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
IL PARTO CESAREO: QUELLO CHE DEVI SAPERE
l parto cesareo può essere:
d’elezione, cioè programmato per malattie materne o fetali, oppure
d’urgenza, ossia praticato durante il travaglio per l’improvviso insorgere di complicazioni (una posizione anomala del bambino, per esempio).
La tecnica è la medesima, che il cesareo sia d’urgenza o d’elezione. Un telo sterile viene teso, in modo che la donna possa ‘partecipare’ all’intervento, senza tuttavia vedere la parte inferiore del proprio corpo, alla quale ‘lavorano’ il medico, le infermiere e le ostetriche.
L’anestesia viene somministrata alla futura mamma. Il più delle volte si tratta di un’anestesia spinale: rispetto all’epidurale, l’ago va più in profondità e l’iniezione determina la completa perdita di sensibilità e motilità degli arti inferiori. Quindi il chirurgo estrae il bimbo direttamente dall’addome della mamma.
Può effettuare un’incisione trasversale di una decina di centimetri appena sopra il pube in modo che la cicatrice resti al di sotto della ‘linea bikini’. Dopo di che, taglia il sottocute e la fascia muscolare, divarica i muscoli addominali e apre il peritoneo fino ad arrivare a incidere la parte bassa dell’utero creando una breccia uterina.
In pochi minuti viene estratto il bambino. A quel punto la ferita viene suturata nei suoi diversi strati, per una durata complessiva dell’intervento da mezz’ora a un’ora: la cute è ricucita con una serie di graffette metalliche da togliere dopo una settimana.
In alternativa esiste la tecnica Stark: dopo aver tagliato la cute ed eseguito un piccolo ‘occhiello’, il chirurgo abbandona il bisturi e si fa strada usando soltanto le dita per separare e scollare i vari piani senza più incidere. In questo modo si rispetta di più l’anatomia, ma poi l’utero viene inciso come nella tecnica tradizionale. È più breve (circa 15 minuti) perché la fase della sutura è molto rapida: a parte la ricucitura dell’utero e delle fasce muscolari, i vari piani sono soltanto riavvicinati e per la cute bastano pochi punti in seta.
In seguito, la mamma deve restare a letto per un breve periodo con un catetere vescicale, prova dolore alla ferita e le vengono somministrati antibiotici e antidolorifici con la fleboclisi.
l parto cesareo può essere:
d’elezione, cioè programmato per malattie materne o fetali, oppure
d’urgenza, ossia praticato durante il travaglio per l’improvviso insorgere di complicazioni (una posizione anomala del bambino, per esempio).
La tecnica è la medesima, che il cesareo sia d’urgenza o d’elezione. Un telo sterile viene teso, in modo che la donna possa ‘partecipare’ all’intervento, senza tuttavia vedere la parte inferiore del proprio corpo, alla quale ‘lavorano’ il medico, le infermiere e le ostetriche.
L’anestesia viene somministrata alla futura mamma. Il più delle volte si tratta di un’anestesia spinale: rispetto all’epidurale, l’ago va più in profondità e l’iniezione determina la completa perdita di sensibilità e motilità degli arti inferiori. Quindi il chirurgo estrae il bimbo direttamente dall’addome della mamma.
Può effettuare un’incisione trasversale di una decina di centimetri appena sopra il pube in modo che la cicatrice resti al di sotto della ‘linea bikini’. Dopo di che, taglia il sottocute e la fascia muscolare, divarica i muscoli addominali e apre il peritoneo fino ad arrivare a incidere la parte bassa dell’utero creando una breccia uterina.
In pochi minuti viene estratto il bambino. A quel punto la ferita viene suturata nei suoi diversi strati, per una durata complessiva dell’intervento da mezz’ora a un’ora: la cute è ricucita con una serie di graffette metalliche da togliere dopo una settimana.
In alternativa esiste la tecnica Stark: dopo aver tagliato la cute ed eseguito un piccolo ‘occhiello’, il chirurgo abbandona il bisturi e si fa strada usando soltanto le dita per separare e scollare i vari piani senza più incidere. In questo modo si rispetta di più l’anatomia, ma poi l’utero viene inciso come nella tecnica tradizionale. È più breve (circa 15 minuti) perché la fase della sutura è molto rapida: a parte la ricucitura dell’utero e delle fasce muscolari, i vari piani sono soltanto riavvicinati e per la cute bastano pochi punti in seta.
In seguito, la mamma deve restare a letto per un breve periodo con un catetere vescicale, prova dolore alla ferita e le vengono somministrati antibiotici e antidolorifici con la fleboclisi.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
Tre le cause più frequente dell’intervento è un cesareo praticato nella gravidanza precedente (un quarto del totale). Ma questo tipo di parto è indicato soprattutto in presenza di patologie legate all’attesa, come l’ipertensione o nel caso in cui il bambino sia podalico.
Ma vi si ricorre anche anche quando insorgono problemi durante il travaglio oppure si registra una sofferenza fetale. Altre volte, è richiesto dalla futura mamma in assenza di indicazioni cliniche: è importante, però, prendere una decisione dopo aver valutato attentamente tutte le possibilità, perché i rischi non mancano e sono 3-4 volte maggiori rispetto a un parto naturale.
I rischi del parto cesareo: non sono pochi
Rischi del parto cesareo ce ne sono e riguardano principalmente il cesareo eseguito in assenza di indicazioni terapeutiche. Per la mamma, in particolare, questo tipo di intervento è quattro volte più pericoloso rispetto a un parto normale.
La probabilità di una lesione vescicale è di 36 volte superiore rispetto a un parto naturale;
Il rischio di dover affrontare un ulteriore intervento chirurgico aumenta di 17 volte e di 44 quello di subire un’isterectomia (asportazione dell’utero).
Il cesareo è un intervento chirurgico: comporta una perdita di sangue non trascurabile, il rischio di trombosi e di infezioni.
Inoltre, l’intervento altera inevitabilmente l’anatomia della donna e aumenta il rischio di complicazioni nel corso di gravidanze successive.
Ma anche il bambino non è esente da rischi: tra chi nasce con il cesareo sono infatti più frequenti i casi di distress respiratorio. La spiegazione più accreditata? La mancanza di travaglio: la compressione subita dal nascituro nel canale vaginale non solo stimola la produzione di ormoni deputati a sviluppare la sua attività respiratoria, ma permette anche ai polmoni di svuotarsi da fluidi che rendono difficile il primo respiro.
Ma vi si ricorre anche anche quando insorgono problemi durante il travaglio oppure si registra una sofferenza fetale. Altre volte, è richiesto dalla futura mamma in assenza di indicazioni cliniche: è importante, però, prendere una decisione dopo aver valutato attentamente tutte le possibilità, perché i rischi non mancano e sono 3-4 volte maggiori rispetto a un parto naturale.
I rischi del parto cesareo: non sono pochi
Rischi del parto cesareo ce ne sono e riguardano principalmente il cesareo eseguito in assenza di indicazioni terapeutiche. Per la mamma, in particolare, questo tipo di intervento è quattro volte più pericoloso rispetto a un parto normale.
La probabilità di una lesione vescicale è di 36 volte superiore rispetto a un parto naturale;
Il rischio di dover affrontare un ulteriore intervento chirurgico aumenta di 17 volte e di 44 quello di subire un’isterectomia (asportazione dell’utero).
Il cesareo è un intervento chirurgico: comporta una perdita di sangue non trascurabile, il rischio di trombosi e di infezioni.
Inoltre, l’intervento altera inevitabilmente l’anatomia della donna e aumenta il rischio di complicazioni nel corso di gravidanze successive.
Ma anche il bambino non è esente da rischi: tra chi nasce con il cesareo sono infatti più frequenti i casi di distress respiratorio. La spiegazione più accreditata? La mancanza di travaglio: la compressione subita dal nascituro nel canale vaginale non solo stimola la produzione di ormoni deputati a sviluppare la sua attività respiratoria, ma permette anche ai polmoni di svuotarsi da fluidi che rendono difficile il primo respiro.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
IL PARTO IN CASA: TUTTI I CONSIGLI
Il parto naturale per eccellenza dove tutto avviene tra le mura domestiche
Dal 3 dicembre 2014, in Gran Bretagna chi ha trascorso una gravidanza serena e senza complicazioni è incoraggiata caldamente a partorire in casa o nelle case del parto invece che in ospedale. Secondo i calcoli del servizio sanitario inglese dovrebbe nascere così almeno il 45% dei babies.
D’altra parte, la nascita nel calore del proprio appartamento è considerata il parto naturale per eccellenza: si svolge senza che sia necessario alcun tipo di intervento medico e il tutto avviene tra le mura domestiche, con l’assistenza di due ostetriche, pronte ad assecondare i ritmi e i desideri della futura mamma.
Se la donna sceglie questa modalità, è necessario che contatti un’ostetrica esperta nel parto extraospedaliero entro il settimo mese di gravidanza, in modo che possa valutare se ci sono le condizioni adatte per la nascita in casa e che si instauri un clima di fiducia reciproca.
Occorre, poi, predisporre tutto quello che potrà servire quindici giorni prima del parto, data a partire dalla quale le ostetriche dovranno essere reperibili 24 ore su 24. Se si presentano difficoltà, si decide il trasferimento in ospedale, con cui l’ostetrica è costantemente in contatto.
Non tutte le future mamme, però, possono scegliere di mettere al mondo il loro bimbo a casa propria. Esistono condizioni indispensabili legate all’andamento della gestazione e alla salute di mamma e bebè, che indicano i parametri necessari perché questo tipo di nascita avvenga in tutta sicurezza.
1) Innanzitutto la mamma deve vivere una gravidanza fisiologica.
2) Il bambino deve presentarsi in posizione cefalica.
3) Sono escluse le gravidanze gemellari.
4) La donna non deve soffrire di patologie quali ipertensione, anemie gravi e problemi di coagulazione, diabete, gestosi.
5) Se ha già altri figli, il parto precedente non deve essere avvenuto con un parto cesareo.
6) Il travaglio deve iniziare tra la 38ª e la 42ª settimana di gravidanza. Sono escluse, quindi, tutte le nascite premature e i casi in cui venga superata di quindici giorni la data presunta del parto.
7) L’ospedale di riferimento deve essere raggiungibile in un tempo non superiore a 30, massimo 40 minuti.
8) Per l’assistenza è necessaria la presenza di due ostetriche.
Dopo il parto, la mamma può contare sull’assistenza domiciliare anche nei primi giorni di vita del bebé. L’ostetrica è, infatti, la figura di riferimento che aiuta ad avviare l’allattamento, a prendersi cura del bimbo e a risolvere dubbi e paure comuni a tutte le neomamme alle prime armi. Il rapporto, in genere, non si interrompe neppure in seguito: le mamme che hanno partorito a casa possono affidarsi alle ostetriche anche in seguito e prendere parte a incontri loro riservati, su temi relativi alla cura e alla crescita del bambino, come il sonno, lo svezzamento o il gioco.
La tariffa del parto a domicilio varia a seconda delle zone e delle professioniste, ma in media si aggira intorno ai 2.000 euro. Alcune regioni, però, prevedono un rimborso della spesa, parziale o addirittura totale. Il consiglio, quindi, è informarsi prima del tempo per valutare la possibilità di ottenere esenzioni.
Il parto naturale per eccellenza dove tutto avviene tra le mura domestiche
Dal 3 dicembre 2014, in Gran Bretagna chi ha trascorso una gravidanza serena e senza complicazioni è incoraggiata caldamente a partorire in casa o nelle case del parto invece che in ospedale. Secondo i calcoli del servizio sanitario inglese dovrebbe nascere così almeno il 45% dei babies.
D’altra parte, la nascita nel calore del proprio appartamento è considerata il parto naturale per eccellenza: si svolge senza che sia necessario alcun tipo di intervento medico e il tutto avviene tra le mura domestiche, con l’assistenza di due ostetriche, pronte ad assecondare i ritmi e i desideri della futura mamma.
Se la donna sceglie questa modalità, è necessario che contatti un’ostetrica esperta nel parto extraospedaliero entro il settimo mese di gravidanza, in modo che possa valutare se ci sono le condizioni adatte per la nascita in casa e che si instauri un clima di fiducia reciproca.
Occorre, poi, predisporre tutto quello che potrà servire quindici giorni prima del parto, data a partire dalla quale le ostetriche dovranno essere reperibili 24 ore su 24. Se si presentano difficoltà, si decide il trasferimento in ospedale, con cui l’ostetrica è costantemente in contatto.
Non tutte le future mamme, però, possono scegliere di mettere al mondo il loro bimbo a casa propria. Esistono condizioni indispensabili legate all’andamento della gestazione e alla salute di mamma e bebè, che indicano i parametri necessari perché questo tipo di nascita avvenga in tutta sicurezza.
1) Innanzitutto la mamma deve vivere una gravidanza fisiologica.
2) Il bambino deve presentarsi in posizione cefalica.
3) Sono escluse le gravidanze gemellari.
4) La donna non deve soffrire di patologie quali ipertensione, anemie gravi e problemi di coagulazione, diabete, gestosi.
5) Se ha già altri figli, il parto precedente non deve essere avvenuto con un parto cesareo.
6) Il travaglio deve iniziare tra la 38ª e la 42ª settimana di gravidanza. Sono escluse, quindi, tutte le nascite premature e i casi in cui venga superata di quindici giorni la data presunta del parto.
7) L’ospedale di riferimento deve essere raggiungibile in un tempo non superiore a 30, massimo 40 minuti.
8) Per l’assistenza è necessaria la presenza di due ostetriche.
Dopo il parto, la mamma può contare sull’assistenza domiciliare anche nei primi giorni di vita del bebé. L’ostetrica è, infatti, la figura di riferimento che aiuta ad avviare l’allattamento, a prendersi cura del bimbo e a risolvere dubbi e paure comuni a tutte le neomamme alle prime armi. Il rapporto, in genere, non si interrompe neppure in seguito: le mamme che hanno partorito a casa possono affidarsi alle ostetriche anche in seguito e prendere parte a incontri loro riservati, su temi relativi alla cura e alla crescita del bambino, come il sonno, lo svezzamento o il gioco.
La tariffa del parto a domicilio varia a seconda delle zone e delle professioniste, ma in media si aggira intorno ai 2.000 euro. Alcune regioni, però, prevedono un rimborso della spesa, parziale o addirittura totale. Il consiglio, quindi, è informarsi prima del tempo per valutare la possibilità di ottenere esenzioni.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
PARTORIRE IN MODO “ATTIVO”
La modalità più vicina al parto naturale
Non esiste un parto ‘standard’.
Oggi più che mai il ventaglio di possibilità è ampio e la futura mamma può scegliere di dare alla luce il proprio bambino in modo ‘attivo’ o con parto cesareo, un parto indotto, un parto in acqua o addirittura un parto in casa propria. Senza dimenticare che la nascita può essere operativa o medicalizzata.
Conoscere le diverse possibilità è il modo migliore per poter operare una scelta con grande serenità.
Parto attivo
Fino a non molto tempo fa, partorire significava sottoporsi a pratiche di routine estremamente fastidiose e spesso inutili: dalla rasatura del pube (per evitare che i peli infettassero la ferita dell’episiotomia, che veniva eseguita a tutte) al clistere per svuotare l’intestino ed evitare che si svuotasse durante le spinte espulsive, alla rottura delle membrane per accelerare il travaglio del parto.
Risultato: travaglio spesso più doloroso del dovuto, parto scomodo e più che mai innaturale. Da diversi anni la tendenza è andata invertendosi e diverse strutture offrono alla donna la possibilità di un parto cosiddetto attivo. Si tratta senza dubbio della modalità più vicina a un parto naturale.
Le sue caratteristiche sono state definite a Londra negli anni Ottanta da Janet Balaskas, fondatrice dell’International Active Birth Movement.
Oggi si tratta di una realtà abbastanza diffusa e sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In pratica, viene concessa totale libertà di movimento e di iniziativa alla futura mamma, che mantiene, in tutte le fasi del travaglio e del parto, un ruolo da protagonista.
Proprio per questa sua peculiarità, il parto attivo non si può ricondurre a una tecnica precisa. Le ostetriche lasciano che sia la donna a ‘condurre le danze’, scegliendo i movimenti che le sembrano migliori in quel momento: può partorire in piedi, sdraiata su un fianco, accovacciata o appoggiata al compagno. Oppure utilizzare strumenti che le siano d’aiuto, come la spalliera, lo sgabello olandese, speciali lettini ribassati, materassini…
Il parto attivo è accessibile all’85% delle donne e vi si può ricorrere anche se si sono già rotte le acque (una volta si pensava che fosse una controindicazione).
Devono rinunciarvi soltanto le future mamme che, per qualsiasi ragione, non possono avere un travaglio normale e che sono quindi candidate a un taglio cesareo programmato.
Gli effetti del parto attivo sono molto positivi: le mamme che hanno mantenuto il controllo dell’evento si sentono psicologicamente più forti. Uno stato d’animo davvero prezioso nei primi giorni in compagnia del piccolo.
Anche le condizioni fisiche sono buone: con questa modalità, infatti, si riduce drasticamente l’impiego di manovre invasive (caratteristiche, invece, del parto operativo) e di episiotomie, cioè dell’incisione del perineo (il tessuto compreso tra la vagina e l’ano). Se la mamma può muoversi come preferisce, la testolina del bambino scende più facilmente.
La modalità più vicina al parto naturale
Non esiste un parto ‘standard’.
Oggi più che mai il ventaglio di possibilità è ampio e la futura mamma può scegliere di dare alla luce il proprio bambino in modo ‘attivo’ o con parto cesareo, un parto indotto, un parto in acqua o addirittura un parto in casa propria. Senza dimenticare che la nascita può essere operativa o medicalizzata.
Conoscere le diverse possibilità è il modo migliore per poter operare una scelta con grande serenità.
Parto attivo
Fino a non molto tempo fa, partorire significava sottoporsi a pratiche di routine estremamente fastidiose e spesso inutili: dalla rasatura del pube (per evitare che i peli infettassero la ferita dell’episiotomia, che veniva eseguita a tutte) al clistere per svuotare l’intestino ed evitare che si svuotasse durante le spinte espulsive, alla rottura delle membrane per accelerare il travaglio del parto.
Risultato: travaglio spesso più doloroso del dovuto, parto scomodo e più che mai innaturale. Da diversi anni la tendenza è andata invertendosi e diverse strutture offrono alla donna la possibilità di un parto cosiddetto attivo. Si tratta senza dubbio della modalità più vicina a un parto naturale.
Le sue caratteristiche sono state definite a Londra negli anni Ottanta da Janet Balaskas, fondatrice dell’International Active Birth Movement.
Oggi si tratta di una realtà abbastanza diffusa e sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In pratica, viene concessa totale libertà di movimento e di iniziativa alla futura mamma, che mantiene, in tutte le fasi del travaglio e del parto, un ruolo da protagonista.
Proprio per questa sua peculiarità, il parto attivo non si può ricondurre a una tecnica precisa. Le ostetriche lasciano che sia la donna a ‘condurre le danze’, scegliendo i movimenti che le sembrano migliori in quel momento: può partorire in piedi, sdraiata su un fianco, accovacciata o appoggiata al compagno. Oppure utilizzare strumenti che le siano d’aiuto, come la spalliera, lo sgabello olandese, speciali lettini ribassati, materassini…
Il parto attivo è accessibile all’85% delle donne e vi si può ricorrere anche se si sono già rotte le acque (una volta si pensava che fosse una controindicazione).
Devono rinunciarvi soltanto le future mamme che, per qualsiasi ragione, non possono avere un travaglio normale e che sono quindi candidate a un taglio cesareo programmato.
Gli effetti del parto attivo sono molto positivi: le mamme che hanno mantenuto il controllo dell’evento si sentono psicologicamente più forti. Uno stato d’animo davvero prezioso nei primi giorni in compagnia del piccolo.
Anche le condizioni fisiche sono buone: con questa modalità, infatti, si riduce drasticamente l’impiego di manovre invasive (caratteristiche, invece, del parto operativo) e di episiotomie, cioè dell’incisione del perineo (il tessuto compreso tra la vagina e l’ano). Se la mamma può muoversi come preferisce, la testolina del bambino scende più facilmente.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
IL PARTO DISTOCICO E IL VOCABOLARIO DEL PARTO
La nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico
Parto distocico: così si definisce la nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo. Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bambino oppure anomalie nella presentazione o nella posizione del bimbo o un suo peso eccessivo.
Il vocabolario del parto
Disimpegno, amnioressi, episiotomia, indice di Bishop: sono solo alcune delle espressioni impiegate in medicina per descrivere lo svolgimento del parto , ma possono risultare un po’ difficili ai “non addetti ai lavori”. E talvolta, per imbarazzo, si evita di chiedere spiegazioni. Per risolvere tutti i tuoi dubbi, ecco un piccolo glossario, che spiega in modo chiaro e semplice alcune delle parole-chiave legate alla nascita.
Amnioressi: è la rottura delle membrane, provocata artificialmente con l’aiuto di una piccola sonda, chiamata amniotomo. Viene di solito praticata durante il travaglio (sarebbe meglio non effettuarla prima che la dilatazione del collo dell’utero abbia raggiunto almeno 4-5 cm) per facilitare l’inizio della fase espulsiva.
Canale del parto: comprende canale cervicale (ultima parte dell’utero) e vagina; è il “tragitto” che il piccolo percorre per nascere.
Disimpegno: indica l’insieme dei movimenti che il bimbo compie nel corso del parto per permettere alla testa e alle spalle di uscire dall’ultimo tratto del canale del parto .
Episiotomia: piccola incisione della vagina e della cute del perineo (fascia muscolare compresa tra la vagina e l’ano), che può essere praticata nelle ultime fasi del parto , per facilitare l’uscita del bimbo, evitando possibili lacerazioni spontanee dei tessuti. Viene praticata soprattutto se il bimbo è troppo grosso per poter uscire dalla vagina o se lo spazio disponibile è un po’ esiguo per il bambino. Viene eseguita in anestesia locale.
Episiorrafia: si tratta dell’intervento di sutura che viene effettuato dall’ostetrico per ricucire il taglio provocato dall’episiotomia.
Impegno fetale: movimento con cui il bimbo entra nel canale del parto per prepararsi all’espulsione dall’utero. La parte del feto che normalmente viene “impegnata” è la testa. Quando il feto si presenta di podice (piedi o sedere) oppure di spalla, si esegue il taglio cesareo.
Indice (o punteggio pelvico) di Bishop: calcolo che permette di valutare se ci sono i presupposti per procedere alla stimolazione del parto . In particolare, si controllano le condizioni del collo dell’utero e i rapporti tra la testa del bambino e il canale del parto che dovrà attraversare.
La nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico
Parto distocico: così si definisce la nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo. Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bambino oppure anomalie nella presentazione o nella posizione del bimbo o un suo peso eccessivo.
Il vocabolario del parto
Disimpegno, amnioressi, episiotomia, indice di Bishop: sono solo alcune delle espressioni impiegate in medicina per descrivere lo svolgimento del parto , ma possono risultare un po’ difficili ai “non addetti ai lavori”. E talvolta, per imbarazzo, si evita di chiedere spiegazioni. Per risolvere tutti i tuoi dubbi, ecco un piccolo glossario, che spiega in modo chiaro e semplice alcune delle parole-chiave legate alla nascita.
Amnioressi: è la rottura delle membrane, provocata artificialmente con l’aiuto di una piccola sonda, chiamata amniotomo. Viene di solito praticata durante il travaglio (sarebbe meglio non effettuarla prima che la dilatazione del collo dell’utero abbia raggiunto almeno 4-5 cm) per facilitare l’inizio della fase espulsiva.
Canale del parto: comprende canale cervicale (ultima parte dell’utero) e vagina; è il “tragitto” che il piccolo percorre per nascere.
Disimpegno: indica l’insieme dei movimenti che il bimbo compie nel corso del parto per permettere alla testa e alle spalle di uscire dall’ultimo tratto del canale del parto .
Episiotomia: piccola incisione della vagina e della cute del perineo (fascia muscolare compresa tra la vagina e l’ano), che può essere praticata nelle ultime fasi del parto , per facilitare l’uscita del bimbo, evitando possibili lacerazioni spontanee dei tessuti. Viene praticata soprattutto se il bimbo è troppo grosso per poter uscire dalla vagina o se lo spazio disponibile è un po’ esiguo per il bambino. Viene eseguita in anestesia locale.
Episiorrafia: si tratta dell’intervento di sutura che viene effettuato dall’ostetrico per ricucire il taglio provocato dall’episiotomia.
Impegno fetale: movimento con cui il bimbo entra nel canale del parto per prepararsi all’espulsione dall’utero. La parte del feto che normalmente viene “impegnata” è la testa. Quando il feto si presenta di podice (piedi o sedere) oppure di spalla, si esegue il taglio cesareo.
Indice (o punteggio pelvico) di Bishop: calcolo che permette di valutare se ci sono i presupposti per procedere alla stimolazione del parto . In particolare, si controllano le condizioni del collo dell’utero e i rapporti tra la testa del bambino e il canale del parto che dovrà attraversare.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
Macrosomia: è una condizione che si verifica spesso nei figli di donne diabetiche. Non si tratta di una malattia e nemmeno di un’anomalia genetica, ma del semplice fatto che il neonato è un po’ più grosso della media. In genere, si parla di macrosomia se il bambino pesa più di 4,5 chili al momento della nascita.
Manovra di Kristeller: in caso di parto spontaneo, l’ostetrica può aiutare la nascita mediante una spinta sul fondo dell’utero, che si effettua premendo l’addome della donna per favorire l’uscita del neonato. Questa manovra va però praticata soltanto nei casi in cui il bambino ha difficoltà a uscire dal canale del parto , e le spinte non dovrebbero essere più di tre, in modo da non arrecare danno né alla mamma (come la frattura di una costola) né al bambino (diminuizione improvvisa dell’ossigeno).
Nullipara: è la donna che non ha mai partorito.
Ossitocina: è l’ormone che stimola la muscolatura dell’utero, aumentando l’intensità e la frequenza delle contrazioni. Per questo, spesso, durante il travaglio viene utilizzata una sostanza chimica simile per indurre l’utero a contrarsi maggiormente e accelerare, così, il parto .
Parto a termine: è il parto che si verifica tra la 37ª e la fine della 41ª settimana di gravidanza, cioè tra 259 e 294 giorni dall’ultima mestruazione.
Parto distocico: così si definisce la nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo. Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bimbo oppure anomalie nella presentazione o posizione del piccolo, o, ancora, un suo peso eccessivo.
Parto eutocico: è la nascita che si svolge per le vie naturali e che non richiede alcun intervento ostetrico. Il termine eutocico è usato anche come sinonimo di parto spontaneo (indica, cioè, l’evento che inizia in modo del tutto naturale, senza dover ricorrere a farmaci).
Partogramma: scheda simile a un grafico, compilata nel corso del parto per registrarne gli avvenimenti più importanti. Permette di avere una visione complessiva dell’evoluzione del travaglio e di capire se tutto procede nel modo migliore.
Manovra di Kristeller: in caso di parto spontaneo, l’ostetrica può aiutare la nascita mediante una spinta sul fondo dell’utero, che si effettua premendo l’addome della donna per favorire l’uscita del neonato. Questa manovra va però praticata soltanto nei casi in cui il bambino ha difficoltà a uscire dal canale del parto , e le spinte non dovrebbero essere più di tre, in modo da non arrecare danno né alla mamma (come la frattura di una costola) né al bambino (diminuizione improvvisa dell’ossigeno).
Nullipara: è la donna che non ha mai partorito.
Ossitocina: è l’ormone che stimola la muscolatura dell’utero, aumentando l’intensità e la frequenza delle contrazioni. Per questo, spesso, durante il travaglio viene utilizzata una sostanza chimica simile per indurre l’utero a contrarsi maggiormente e accelerare, così, il parto .
Parto a termine: è il parto che si verifica tra la 37ª e la fine della 41ª settimana di gravidanza, cioè tra 259 e 294 giorni dall’ultima mestruazione.
Parto distocico: così si definisce la nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo. Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bimbo oppure anomalie nella presentazione o posizione del piccolo, o, ancora, un suo peso eccessivo.
Parto eutocico: è la nascita che si svolge per le vie naturali e che non richiede alcun intervento ostetrico. Il termine eutocico è usato anche come sinonimo di parto spontaneo (indica, cioè, l’evento che inizia in modo del tutto naturale, senza dover ricorrere a farmaci).
Partogramma: scheda simile a un grafico, compilata nel corso del parto per registrarne gli avvenimenti più importanti. Permette di avere una visione complessiva dell’evoluzione del travaglio e di capire se tutto procede nel modo migliore.
Re: IL PARTO naturale o cesareo?
Fra le annotazioni principali:
rottura spontanea o provocata delle membrane,
esito delle registrazioni dell’attività cardiaca del feto,
caratteristiche del liquido amniotico,
impiego di farmaci, come l’ossitocina o antidolorifici,
ricorso a tecniche di anestesia,
progressione della dilatazione del collo dell’utero.
Parto indotto: avviene quando, in assenza totale di contrazioni, il travaglio viene provocato artificialmente con l’uso di farmaci. Questi vengono somministrati per fleboclisi (ossitocina) oppure introdotti in vagina con gel (prostaglandine) e provocano le contrazioni. Talvolta è sufficiente la semplice rottura artificiale delle membrane (amnioressi).
Le cause più frequenti sono:
diabete, ipertensione o altre malattie che possono provocare alterazioni alla placenta,
un’eccessiva riduzione del liquido amniotico rilevata prima della fine della gravidanza,
il bimbo troppo grosso (feto detto “macrosomico”),
il travaglio che non inizia in modo spontaneo, anche se è già avvenuta la rottura delle acque,
la gravidanza che si protrae oltre il termine (fine della 41ª settimana).
Parto operativo: viene definito in questo modo il parto che avviene grazie a un intervento chirurgico (cesareo) o con strumenti (forcipe e ventosa) usati per favorire la nascita del bambino.
Parto pilotato: un parto viene pilotato quando il travaglio comincia spontaneamente ma, poi, le contrazioni sono troppo deboli oppure non si susseguono in modo regolare. Vengono allora somministrati farmaci, come l’ossitocina, che stimolano la muscolatura dell’utero e abbreviano i tempi della nascita. È un metodo consigliato quando il travaglio si prolunga e la donna non ha più la forza sufficiente per assecondare le spinte.
Pluripara: la donna che ha partorito più di una volta.
Primipara: è la donna al suo primo parto.
Rottura delle membrane: lacerazione del sacco amniotico, che comporta la fuoriuscita di liquido amniotico in vagina. La donna che sta per partorire, infatti, avverte improvvisamente una sensazione di bagnato, provocata dalla perdita di liquido chiaro e inodore. Se si verifica prima dell’inizio del travaglio viene definita “prematura”, perché avviene prima delle contrazioni.
rottura spontanea o provocata delle membrane,
esito delle registrazioni dell’attività cardiaca del feto,
caratteristiche del liquido amniotico,
impiego di farmaci, come l’ossitocina o antidolorifici,
ricorso a tecniche di anestesia,
progressione della dilatazione del collo dell’utero.
Parto indotto: avviene quando, in assenza totale di contrazioni, il travaglio viene provocato artificialmente con l’uso di farmaci. Questi vengono somministrati per fleboclisi (ossitocina) oppure introdotti in vagina con gel (prostaglandine) e provocano le contrazioni. Talvolta è sufficiente la semplice rottura artificiale delle membrane (amnioressi).
Le cause più frequenti sono:
diabete, ipertensione o altre malattie che possono provocare alterazioni alla placenta,
un’eccessiva riduzione del liquido amniotico rilevata prima della fine della gravidanza,
il bimbo troppo grosso (feto detto “macrosomico”),
il travaglio che non inizia in modo spontaneo, anche se è già avvenuta la rottura delle acque,
la gravidanza che si protrae oltre il termine (fine della 41ª settimana).
Parto operativo: viene definito in questo modo il parto che avviene grazie a un intervento chirurgico (cesareo) o con strumenti (forcipe e ventosa) usati per favorire la nascita del bambino.
Parto pilotato: un parto viene pilotato quando il travaglio comincia spontaneamente ma, poi, le contrazioni sono troppo deboli oppure non si susseguono in modo regolare. Vengono allora somministrati farmaci, come l’ossitocina, che stimolano la muscolatura dell’utero e abbreviano i tempi della nascita. È un metodo consigliato quando il travaglio si prolunga e la donna non ha più la forza sufficiente per assecondare le spinte.
Pluripara: la donna che ha partorito più di una volta.
Primipara: è la donna al suo primo parto.
Rottura delle membrane: lacerazione del sacco amniotico, che comporta la fuoriuscita di liquido amniotico in vagina. La donna che sta per partorire, infatti, avverte improvvisamente una sensazione di bagnato, provocata dalla perdita di liquido chiaro e inodore. Se si verifica prima dell’inizio del travaglio viene definita “prematura”, perché avviene prima delle contrazioni.